Thursday, 22 August 2013

Maledetti Toscani

"Io son di Prato, m’accontento d’esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo. E dico questo non perché son pratese, e voglia lisciar la bazza ai miei pratesi, ma perché penso che il solo difetto dei toscani sia quello di non esser tutti pratesi.S’immagini quello che sarebbero stati un Dante, un Petrarca, un Boccaccio, un Donatello, un Arnolfo, un Brunelleschi, un Michelangelo, se invece di nascere qua e là, sparsi tutt’intorno a Prato, fossero nati a Prato: e quel che sarebbero Firenze, Pistoia, Pisa, Lucca, Siena, Arezzo, Livorno, se invece di crescere sparpagliate, come sobborghi tutt’in giro alle mura di Prato, fossero state costruite proprio dentro Prato! Sarebbe stato certo un bel guadagno per tutti: perché la storia di Prato sarebbe stata la storia d’Italia, mentre ora la storia d’Italia è la storia di Prato.
Non mi par giusto, perciò, che fiorentini e pistoiesi, non so se per gelosia o per prudenza, fingano di non conoscerci, e a chi domanda loro notizie dei pratesi fan le finte di non saperne nulla, di non averci mai sentiti nominare: “Prato? la mi riesce nova”, e intanto si dan nell’occhio, e cercano di sviare il discorso, parlando di quanto è bella Firenze, e di quanto è grande Pistoia: quando Firenze, per noi pratesi, non è altro che una Prato di fuor di Porta Fiorentina e Pistoia nemmeno esisterebbe se a Prato non ci fosse la Porta Pistoiese.
E mi fan ridere, quanti credono di offendere i pratesi dicendo che sono il popolo più becero che sia in Toscana, anzi in Italia. Come se becero fosse un' ingiuria. Un becero è un becero: cioè un toscano allo stato di grazia. E i pratesi son beceri, quando son beceri, non per il fatto che lavoran gli stracci, [...], bensì per il fatto che dicono a voce alta in piazza quel che gli altri italiani tacciono o sussurrano fra quattro mura, in famiglia, e che non han paura di parlare come pensano, mentre gli altri italiani pensano come parlano, cioè biascicando i pensieri come biascicano le parole, e che non temono di “bociare” anche quando hanno torto, mentre gli altri italiani temono di vociare anche quando han ragione, e che, finalmente, son beceri ma pratesi, mentre gli altri italiani son beceri senza neppure il beneficio d’esser toscani, e pratesi."


Curzio Malaparte



Bene, ora lo sapete. Questo e' un retaggio di quel tipo che non si sa bene se nasconderlo, o se andarne fieri. Perche' di cose buone ne ha, ma vien sempre presentato in un modo che, ad essere onesto, mi ha sempre un po' fatto vergognare. Ma poi guardo chi mi sta  d' intorno e penso: "Vergognarmi di cosa?"

Sunday, 18 August 2013

La casa (parte terza)

   Parte prima
   Parte seconda

    Due ore dopo Marco era in biblioteca, fermo davanti ad uno scrittoio che doveva essere del '700 francese. Un calamaio vuoto ed un set di tre penne d'oca stavano appoggiati su un panno verde sul lato sinistro del piano di scrittura... il precedente proprietario era mancino?... mentre nel mezzo stava un voluminoso diario rilegato in pelle nera. Marco lo apri' in un punto a caso: le pagine erano una macchia indistinta di inchiostro bluastro, come se fossero state bagnate. E i fogli erano arricciati sui bordi e pieni di grinze come la carta bagnata e poi asciugata. E non solo le prime pagine che aveva aperto, ma anche le successive. Tutto il diario si era in qualche modo bagnato e poi era stato asciugato. Solo qua e la' alcuni passaggi, scritti in una calligrafia elaborata e fitta, ricca di svolazzi. Il primo leggibile che trovo' diceva:

  They tried again to pass through. This time some passed the hedge but were not able to walk through out the l

   Non aveva senso. Poche pagine dopo c'erano poche altre parole:

   It holds!

   Reggeva? Cosa?
  Mentre continuava a sfogliare le pagine raggrinzite in cerca di altre parti leggibili senti' il rumore di un motore. Chiuse di scatto il diario e si giro' verso l'ingresso. Quindi scatto' deciso verso la porta.
   Arrivo' ad aprire il battente che tre uomini (due uomini ed un ragazzetto, a dire il vero) scendevano da un furgone nero e argento con una decalcomania a coprire l'intera fiancata. Sullo sfondo di un meadow in piena fioritura giganteggiava la scritta Eden Garden.
   I giardinieri, penso'. Poco fantasioso quel nome...
   Il guidatore, un uomo alto e con capelli biondi lunghi fino alle spalle, gli fece un cenno ed un sorriso. -Are you all right?
   Marco stava per rispondere negativamente e sciorinare tutti i suoi problemi, come spesso faceva quando gli rivolgevano quel tipo di saluto. Non mi abituero' mai, si disse. I due compagni del biondo biascicarono un saluto incomprensibile e si diressero verso il retro del furgone.
   -Hi-, rispose. -I'm Marco, the new owner.
   -Really?-  sorrise l'uomo  incamminandosi verso di lui e lasciando l'incombenza di scaricare gli attrezzi agli altri due, un uomo tarchiato e con stampato in faccia "sono un accanito bevitore" il primo, un ragazzo neanche maggiorenne, segaligno e brufoloso il secondo, probabilmente piu' dedito al fumo di marijuana a giudicare dallo sguardo letargico. -They sold it out in the end!
   -What do you mean?-chiese Marco. Di dov'e' questo qui? Che strano accento...
   -Oh, nothing bad. Just that was a long time the house was empty. Since the previous oner died, more than one year ago.
   Marco annui'.
   -Nice to meet you. I'm Sam. Will you move in? Or it's just for holidays?
   -Actually I thought to move in, but...- disse marco stringendo la mano che l'altro gli porgeva.
  Il giardiniere alzo' un sopracciglio. Dietro di lui i suoi sottoposti avevano scaricato gli attrezzi e stavano riempiendo i serbatoi.
   -Oh, nothing. Just everything went wrong since yesterday night. The food I got bad, the car doesn't start.- Marco scosse la testa. -And about the car... Could you give me help?
   -Let's have a look!. Is the key in?
   -Ehm...no. Here it is-, disse Marco frugandosi in tasca e, al cenno dell'altro, lanciandogliela. Marco rimase un attimo ad osservare gli altri due giardinieri che avevano iniziato a lavorare: il ragazzetto, armato di edging shears rifilava i bordi del prato, mentre l'uomo aveva iniziato a ripulire le aiuole dei fiori secchi e delle erbacce.
   -It's the battery!- grido' il giardiniere.
   Ma va?! penso' Marco camminando verso la sua auto.
   -You're lucky. I have a jumper box.
  Mentre Marco raggiungeva la sua auto Sam si diresse al furgone e, apertone lo sportello, si piego' a prendere qualcosa sotto il sedile. Quindi torno' indietro con una scatola di plastica rossa, tenendola per il manico e sollevandola per mostrargliela. Marco aggrotto' le sopracciglia, poi capi' di cosa si trattava e sorrise.
   Pochi minuti dopo Marco stava ringraziando Sam per l'aiuto stando di fianco all'auto in moto.
   -Well, I need to buy some food. I didn't have a breakfast, even.
   -Then you need to go down to the town-, commento' Sam.
  -You're right-, disse Marco storcendo la bocca. -Yesterday I went to the nearly village but I found just rough people and food got bad.
   Un'espressione perplessa comparve sulla faccia di Sam. -Nearby village? The town is the nearest centre.
   -No, there's the village. I don't know the name. It's just two or three miles far.
   -That's Cold Ash...but no one lives in there.
  -Cos... Sorry. What?- Mi vuole prendere per il culo? Ma l'espressione seria sul viso del giardiniere diceva tutt'altro.
   -You must have gone farer to find people. Cold Ash is a ghost village. There just the houses, but no one lives there since the 50s.
   -I don't understand.
  -The original village... It was called with another name before the Second World War... was destroyed during the Blitzkrieg...
   -We are far from London-, commento' Marco interrompendo l'altro.
  -Yes, we are far.  But when Nazis started dropping bombs on England they spotted military airport. London bombing started for a mistake. Well, a military airport stood few miles east of Cold Ash, and one night Nazi bombers dropped their loads on the village instead of the airport. No survivors.
  "After the war the Government rebuilt the village, I don't know why they did it, really. But the new inhabitants fled their homes after few years. No one knows why. Since then it's always been empty.
  Marco guardo' il giardiniere sconcertato. -Perhaps I drove farer then I think...- Ma le sue parole non suonarono convinte.
   Sam lo fisso' per un attimo quindi si strinse nelle spalle, un movimento appena accennato. -Perhaps. Now I have to help my boys. Forgive me.
   -No worries. Thanks again-, rispose Marco accennando all'auto.
   -Had better if you stop at the garage. They'll check the battery properly.
   -I'll do it.
   Sam lo lascio' e Marco ando' in casa per prendere il portafogli, rimuginando su quanto gli era stato detto. Paese vuoto? Lui la gente l'aveva vista. E sentita, anche, se ripensava al tipo che lo aveva urtato uscendo dal negozio. Non aveva guidato a lungo. Ci sara' un paese che lui non conosce, concluse con se stesso.

   Rientro' a casa nel pomeriggio. La prima cosa che aveva fatto arrivato in citta' era stato andare al garage. Avevano controllato la batteria e trovata perfettamente funzionante. Unica spiegazione era che si fosse dimenticato le luci accese. Marco era sicuro di no, ma non stette a discutere. Spero' solo che il problema non fosse dovuto a qualche altro guasto. I cleaners non sarebbero venuti fino al mercoledi' della settimana successiva, e rimanere bloccato la' per altri cinque giorni non lo entusiasmava. Dopo il garage ando' al supermercato, fece provviste abbondanti, e stava per mettersi sulla via del ritorno quando decise di dare un'occhiata in giro. Non che ci fosse molto da vedere, oltre un parco con una serie di piccoli laghi ed uno piu' grande per la pesca sportiva. A mezzogiorno trovo' un caffe' che serviva ancora le colazioni ed ordino' una Great British Breakfast: salsicce, funghi e uova e tutto il resto erano ottimi per pranzo. Dopo pranzo si fermo' a dare un'occhiata alla biblioteca locale, stranamente piu' ben fornita, sia per numero di volumi che per la loro importanza, di tutte le biblioteche che aveva visto a Londra.
   Fra una cosa e un'altra, arrivo' a casa che erano le due e tranta passate. Trovo' il prato rasato, con perfette strisce chiare e scure, i mix borders in ordine, il ghiaino del piazzale rastrellato e nessuna traccia dei giardinieri. Precisi, efficenti e veloci, a quanto pareva.
   Ma per pagarli? Non aveva idea di come funzionasse. Chiedero'.

  Dopo pranzo decise di fare una passeggiata all'interno della proprieta' e si incammino' nel boschetto di betulle, aceri e querce che si stendeva a ovest del cottage. Pochi passi lungo il sentiero di terra battuta e si senti' letteralmente piu' leggero. Come se tutti i pensieri e le brutte esperienze del giorno prima e di quel mattino non fossero accaduti.
    Cammino' un poco fra gli alberi, pieni di uccelli. Nessun passero, pero'. Non ne aveva mai visti molti in Inghilterra. Tanti altri uccelli della stessa famiglia, in genere piu' variopinti, ma i nugoli di passeri tipici dell'Italia non li aveva mai visti. Qualcuno, una volta, gli aveva detto che in passato ce n'erano tantissimi. Magari me lo hanno detto cosi', per farmi contento, penso'. Il sottobosco non era particolarmente fitto. C'erano felci, alcuni rovi carichi di more, ed un'infinita' di altri arbusti ed erbe che non conosceva.
Mangio' un po' di more, non le piu' saporite che avesse mai mangiato, ma grazie all'estate secca e calda, una stagione letteralmente presa in prestito dal Mediterraneo, non erano cattive. Poi, soddisfatto, e sazio pure, si rese conto con sua sorpresa, fece ritorno a casa. Trascorse il resto del pomeriggio in biblioteca, ceno' presto e si mise a letto con un libro. Ulysses, di James Joyce. Si era sempre ripromesso di leggerlo.
   Si addormento' mentre leggeva:

  Shouts from the open window startling evening in the quadrangle. A deaf gardener, aproned, masked with Matthew Arnold's face, pushes his mower on the sombre lawn watching narrowly the dancing motes of grasshalms.
   To ourselves... new paganism... omphalos.
   -Let him stay-, Stephen said. -There's nothing wrong with him except at night.

   Fece un incubo anche quella notte.

Pleasantville

     Ilford. East London. O Essex, secondo il post code. La nomea e' pessima, gia' si sapeva. Fino ad oggi non avevo avuto occasione di verificare di persona quanto tale nomea fosse meritata. Ci ero stato gia' qualche volta, ma ero arrivato alle vie principali subito ad est della North Circular, e non e' che sembrasse quella gran brutta cosa. Rumorosa, caotica e piena di traffico. Non particolarmente sporca, con sistemi dal dubbio buon gusto messi in atto dal Council per tenerla pulita.


      A parte questo non avevo visto altro. Fino a stamani, quando mi sono deciso di cercare un Lidl particolarmente grande situato in Ilford. Innanzitutto vi dico qualcosa che avrei dovuto realizzare molto prima: i supermarket piu' grandi (quelli della catena Lidl almeno) hanno molta meno scelta di quelli piccoli, in quanto per fornirli di parcheggio sono situati nelle periferie piu' fetide, abitate da relitti umani e da una sub-umanita' che, se non priva di soldi, lo e' certamente di gusti. Impossibile vendere loro qualcosa di buono. 
       Chiusa parentesi sulle scelte di marketing di Lidl, veniamo alla sub-umanita' che vagola ed abita questo out-skirt londinese. Stamani metto le sacche apposite sul portapacchi della bici, la inforco e mi dirigo verso Ilford pedalando lungo Romford Road (altra bella strada londinese, dovreste sentire i commenti del mio landlord al riguardo). Ho deciso di non prendere il cellulare con me, e me ne sono pentito, in quanto penso che qualcuno di voi non credera' o riuscira' ad afferrare lo stato reale delle cose che sto per descrivere senza una documentazione fotografica.
       Attraversata l'area contigua alla North Circular, lasciatami alle spalle la High Road dei negozi, un' area pedonale, dopo poche decine di metri sono entrato in un'area che e' un misto di ex-zona industriale e residenziale. Il Lidl che cercavo era subito li', in un gruppo di edifici commerciali intorno ad un grande parcheggio. Poco prima dell'ingresso del parcheggio un gruppo di alcolizzati faceva mucchio intorno ad un paio di panchine. Una quindicina di membri, ma in aumento, fra uomini ridotti a bruti e donne che sembravano uomini, la pelle scurita in quel modo che solo la vita all'aperto e l'essere abitualmente sporchi puo' dare. Il parcheggio era gia' pieno di auto per almeno tre quarti alle 11 di mattina, ma non dei clienti dei negozi. Nel Lidl c'era quasi nessuno e gli altri negozi erano ancora chiusi, eccettuata una palestra situata al primo piano dove un'ossessa di istruttrice gridava "Three! Four!- Three! Four!" senza interrompersi un momento. Il parcheggio era disseminato di vetri sbriciolati dagli pneumatici delle auto. Non tutti i vetri erano di bottiglie.
      Fra gli alcolizzati, zingare (e dite pure che non e' vero che gli Zingari rubano, se vi pare) ed altri individui dal dubbio aspetto, mi sono messo in cerca di un buon punto dove allucchettare la mia bici (D-lock con cavo per evitare che si rubino le ruote, ovviamente). Compiendo il mio giro di perlustrazione vedo, ad un muro, un cartello che dice "Pay here", con una freccia bianca che indica in basso. Il cartello doveva essere la rimanenza di qualcosa da lungo tempo smantellato (probabilmente il tassametro), ma la freccia sembrava l'avessero messa apposta, in quanto guardando nello spazio fra due auto vedo, abbandonato nella nicchia
murata a mattoni di quella che era una grande porta di un magazzino, il piu' abbrutito dei membri di quel clan di alcolizzati cui ho accennato prima. Probabile che se gli avvicinavo un fiammifero avrebbe preso fuoco.
       Trovato il parcheggio per le bici, allucchettato il mio beater appropriatamente, entro nel supermercato. Alla delusione per la carenza di varieta' nei prodotti in vendita (non raggiunge il nadir del Lidl di West Ham, devo ammettere, ma quello ad Ilford e' quasi il doppio) si e' aggiunto il fastidio datomi da bambini frignanti i cui genitori non li degnavano della minima attenzione e da un bimbo figlio di genitori di non ben definita nazionalita' che lo apostrofavano in un inglese da capre, il quale correva da tutte le parti, ignorando totalmente i richiami neanche troppo convinti dei due disgraziati che qualcuno con un minimo di buon senso avrebbe dovuto sterilizzare quando ancora erano in giovane eta'. 
      Il limite l'ho raggiunto mentre cercavo, nella misera varieta' offerta, di scegliere un vino decente. Un uomo alle mie spalle, un pakistano dall'aspetto, lascia cadere un oggetto di plastica che si affretta a raccogliere. Era il tappo di una bottiglietta di profumo che aveva aperto, ritenevo stupidamente, per odorarne la fragranza. Perche' stupidamente? Perche' siamo a East London! Ha iniziato a versarsi il profumo sulle mani e passarselo sui polsi, sulla gola e sul collo. Una successiva manciata di liquido e' servita per la fronte e i vestiti. Quindi si e' capovolto la boccetta sulla testa e si e' rovesciato il profumo nei capelli (radi). Quando ha posato la bottiglia il profumo gli ruscellava lungo il collo fin dentro la camicia. 
     Sicurezza in giro zero. Mentre il pakistano apriva una seconda boccetta di profumo ho preso una bottiglia di vino, un bianco siciliano che avevo gia' provato e che non sa troppo di chimico ma che non vale un terzo di quello che costa (come la maggior parte dei vini che potete trovare a Londra, del resto) e me ne sono andato alla cassa. Il manager a cui ho riferito la cosa l'ha presa come una cosa normale, cosa che non mi ha stupito affatto. 
     La mia esperienza ad Ilford si e' conclusa in un'ora circa. Non intendo tornarci. 
    Commento: girate al largo da Ilford. Non c'e' niente che valga la pena di essere visto. A meno che non siate antropologi, ovviamente.

Saturday, 17 August 2013

Ai nuovi arrivati

Parrebbe che, di tanto in tanto, un nutrito gruppo di neo-espatriati abbia il vizio di venire a leggersi qualcosa su questo blog. Chi in cerca di consigli, chi di un diverso punto di vista. Beh, ne approfitto per mettervi sull'avviso. Quello scampolo di estate sud-europea che il Mediterraneo ha benevolmente prestato a quest'isola e' praticamente finito. Preparatevi psicologicamente a cieli velati, piu' o meno grigi, e a temperature che invogliano a stare al chiuso e a bere. Preparate le pasticchine di vitamina D (senza sole non la si metabolizza) e se vi riuscira' stranamente difficile svegliarvi, se anche dopo una notte di buon sonno vi sentirete stanchi, e' segno che quelle pasticchine dovete prenderle. L'ultimo mese e poco piu' e' stato ottimo, e chi sia arrivato nel frattempo potrebbe farsi un'idea sbagliata di quella che e' la vera situazione, cosi' come se la fece chi venne lo scorso anno durante le Olimpiadi. Beccarono due settimane scarse di sole e ci accusarono di lamentarci del meteo per niente. Ma se nella stazione di Angel, in data 13 giugno 2012, qualcuno scrisse questo, un motivo ci sara' stato.


Ma alla fin fine il meteo qui non e' che sia poi cosi' male. Se sei un'anatra. O una rana.
Se siete meteropatici vi conviene mettervi avanti col lavoro e tagliarvi subito le vene.

Thursday, 15 August 2013

House of the Rising Sun




There is a house in Charming Town 
They call the Rising Son 
And it's been the ruin of many a poor girl 
And me, Oh God, I'm one 
If I listened to my mama Lord I'd be home today 
But I was young and foolish 
A handsome rider led me astray 
Go tell my baby sister never do what I've done 
To shun the house in Charming Town 
They call the Rising Son 
My Mother, she's a tailor 
She sewed my new blue jeans 
My sweetheart he's a rambler 
Lord he rides an old machine.

Now the only thing a rambler needs 
Is a suitcase and a gun 
The only time he's satisfied 
Is when he's on the run 
He fills his chamber up with lead 
And takes his pain to town 
Only pleasure he gets out of life 
Is bringing another man down 
He's got one hand on the throttle 
The other on the brake 
He's riding back to Redwood 
To own his father's stake 
And me I wait in Charming Town 
The game my love has won 
I'm staying here to end my life 
Down in the Rising Son.

From the season 4 Finale of Sons of Anarchy

Wednesday, 14 August 2013

How indications are given in England

      Yesterday was told me I would have worked in a new area of the Olympic Park, an area just converted from simple parking to parking with some raised beds. They call it SC21. Does it say something to you? No? Neither to me. I asked were it was and my Manager told me that it was on the border of the Park, in front of the Cow Pub. Good, I knew the same than before. Pubs, venues and shops, buildings in general don't make an impression on me. I had seen that pub many and many times I realized later, but I didn't remember it.
      -I have no idea-, I said. -I don't notice pubs and shops. Tell me about a tree and maybe I understand, but I don't remember pubs.
      -It isn't good-, stepped-in a member of my team. -It's with pubs that we give indication here.
      -I know. Indeed I always get lost in London.
      The Pub, or Public House, is an essential place in Briton's lives. Living in houses that are small and uncomfortable, conceived just like shelter for the night where rarely they invite guests, the Britons spend the most part of socializing hours at the Pub. Friends, colleagues and sometimes, apparently, even relatives are met at the Pub. It's hard they let them in home. Probably the Pub is the evolution of the Common Building typical of many settlements in North Europe, that big building which stood at the village center and was used for every public event and more. From this the importance of the Pub in the British culture.
      They don't use the Pubs just for indication. Once I asked to a coworker commuting from the countryside how much big his community was. The answer was: -There are 4 or 5 pubs.

      I looked on internet for a pubs/inhabitants converter but I didn't find it. Is someone of you able to convert it? Since I don't still know how much that community was.

Tuesday, 13 August 2013

Come si danno le indicazioni stradali in Inghilterra

     Stamani mi viene detto che devo recarmi a lavorare in una zona nuova del Parco Olimpico, un'area appena trasformata da semplice parcheggio a parcheggio con due grandi aiuole rialzate. Viene chiamata SC21. Vi dice qualcosa questa siglia? Neanche a me. Chiedo dove sia e il mio manager mi dice che e' ai margini del Parco, proprio davanti al Cow Pub. Bene, ne sono quanto prima. Pub, locali e negozi, edifici in genere non mi restano impressi nella memoria. Quel pub l'ho visto centinaia di volte, ho realizzato piu' tardi, ma proprio non lo ricordavo.
      -Non ne ho la minima idea-, rispondo. -Pub e negozi non li noto proprio. Dimmi di un albero e magari capisco, ma i pub proprio non li ricordo.
      -Non va bene,- interviene uno del mio team, -e' coi pub che noi diamo le indicazioni stradali qua.
      -Eh, lo so. E infatti io mi perdo sempre a Londra.
       Il Pub, o per esteso Public House, e' un luogo fondamentale della vita dei Britons. Abitando in case piccole e scomode, per lo piu' concepite come semplice rifugio per la notte e dove quasi mai invitano ospiti, i Britons svolgono la maggior parte della loro vita sociale al Pub. Il commento che feci in un altro post riguardo alla metropolitana come luogo di contatto fra le differenti classi sociali, razze e nazionalita' si riferiva, appunto, a qualcosa di diverso: amici, colleghi di lavoro e talvolta, a quanto pare, pure i parenti vengono incontrati al Pub. A e' casa difficile che li facciano entrare. E' probabile che il Pub sia l'evoluzione della Casa Comune tipica dei centri abitati di molti popoli del Nord Europa, quel grande edificio che stava al centro del villaggio e che veniva usato per tutti gli eventi pubblici e non solo. Da qui l'importanza del Pub nella cultura britannica.
       E non usano i pub solo per dare indicazioni stradali. Una volta chiesi ad un collega proveniente da fuori Londra quanto era grande il luogo dove abitava. La risposta fu: -Ci sono 4 o 5 pubs.

       Ho cercato in internet un convertitore pubs/abitanti ma non l'ho trovato. Qualcuno di voi sa fare questa conversione? Perche' io ancora non so quanto fosse grande quella cittadina.

Thursday, 8 August 2013

La casa (parte seconda)

...in casa era buio, quel buio che c'e' poco prima del crepuscolo mattutino, quando gli oggetti gia' cominciano a delinearsi e riesci a dare loro dimensione e posizione nello spazio, ma non certo a distinguerne i particolari e spesso scambi una cosa per un'altra. La sua camera era silenziosa, ma qualcosa lo aveva svegliato. Col cuore che inspiegabilmente gli batteva forte rimase immobile, in ascolto, a tratti trattenendo il respiro perche' gli risuonava forte nelle orecchie. Niente, nessun suono. Niente di niente. Ma una strana sensazione era all'origine della sua ansia, si rese conto, la sensazione che qualcuno o qualcosa fosse in attesa di lui.
In attesa? Non aveva senso... oppure si'? Incerto, si alzo' dal letto e, a piedi scalzi, raggiunse la finestra. E li vide. Stavano sul prato davanti alla casa, eccetto che al posto del prato c'era una distesa di erbe alte al ginocchio e parzialmente seccate dall'inverno. Nel buio non riusciva a contarli in maniera precisa, ma erano diverse decine. Uomini e donne, disposti disordinatamente, immobili a fissare la casa. A fissare la finestra a cui si era affacciato. A fissare lui. E gli occhi... riflettevano come gli occhi dei gatti la poca luce che filtrava dalle nubi. Non producevano nessun rumore, si limitavano a fissarlo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il capo inclinato all'indietro. Vestivano panni grezzi, incolori; alcuni uomini portavano un cappello, alcune delle donne avevano i capelli racchiusi in un fazzoletto. I capelli lunghi delle donne, insieme all'erba alta e alle loro sottane, erano le uniche cose che si muovessero, agitati di tanto in tanto da un refolo di vento...

...Marco fissava la porta della casa. I colpi di pugni contro il battente erano incessanti. Qualcuno stava addirittura battendo contro lo stipite e i muri di pietra. Nessuno parlava o emetteva un suono. Stavano tutti ammassati dietro la porta, premendo per aprirla.
Improvvisamente la serratura gemette, il legno dello stipite si scheggio' e il battente si piego' verso l'interno, minacciando di cedere. Con un grido, Marco si lancio' contro la porta, premendo con la spalla per opporsi alla spinta che giungeva dall'esterno. Il battente si piego' ancor di piu' nella parte superiore e quello che era uno spiraglio si allargo' al punto che Marco vide una porzione di viso al di la' della porta.
Poi la serrattura cedette con uno schianto...

...Marco era in piedi al centro della strada. La notte era fredda e sferzata da un vento umido che soffiava a raffiche, agitando i pantaloni del pigiama intorno alle sue gambe scarne. L'asfalto freddo risucchiava il calore dai suoi piedi nudi. Due file di case uguali si allontanavano parallele nel buio. Il villaggio dove era stato a fare la spesa? Nessuna luce filtrava da una delle finestre, nessun lampione era acceso in strada. Poi, Marco si rese conto che di lampioni non ce n'erano: ne' pali, ne' fissati alle pareti delle case o sospesi da cavi al disopra della strada. E le finestre erano occhiaie vuote da cui gli infissi erano stati letteralmente strappati. Le porte di ingresso giacevano abbattute all'interno degli edifici.
Una raffica di vento piu' forte levatosi alle sue spalle lo prese di sorpresa, facendolo barcollare verso le file delle case. Si era appena risollevato quando un altro colpo di vento lo costrinse a fare un passo in piu'. La terza raffica non lo colse impreparato, ed opponendosi inclinando in corpo contro vento rimase sul posto. Il vento comincio' a soffiare in maniera continuata, crescendo di intensita'. Fogli, sacchetti vuoti e altra spazzatura prese a volargli intorno, insieme ad erba e foglie e nuvole di polvere. Marco oppose tutto il suo corpo alla spinta del vento, spinse nella direzione opposta, ma piano piano il vento comincio' a prevalere su di lui. Gli parve che quasi diventasse qualcosa di corporeo, tanto lo aveva avvolto intorno alle gambe e alle spalle. era come se delle mani premessero, lo spingessero verso il villaggio deserto. Un passo dopo l'altro, Marco inizio' a muoversi verso gli edifici abbandonati. Ormai il vento lo aveva costretto a girarsi, il viso rivolto alle case, mentre continuava a premere sulle gambe, le braccia allargate e sulla schiena, fecendo forza in modo migliore. Marco era costretto a sollevare i piedi e a muovere un passo dopo un altro, solo per evitare che il vento lo trascinasse.
Le case si facevano sempre piu' vicine...

...la porta era spalancata. La folla stava di fronte alla casa, nel buio della notte silenziosa e immota. Occhi lucenti come quelli dei gatti. Figure scolorite nella notte, volti anonimi i cui lineamenti non rimanevano nella memoria. Improvvisamente un uomo fece un passo verso la porta aperta e il resto della folla lo segui'.
Marco li vide venire verso di lui...

...con un ansito Marco si sollevo' a sedere sul letto. La luce del sole entrava dalle finestre prive di tende.
"E' gia' giorno?"
Ansimando, una patina di sudore a coprirgli la fronte, allungo' una mano verso il cellulare.
"Le 4:30? Cazzo!"
Con un gemito si lascio' ricadere sul cuscino. E niente campo, si rese conto guardando lo schermo del cellulare. Lasciando cadere l'apparecchio inutile sul letto al suo fianco, rimase a fissare il soffitto. Che fare? Di riprendere sonno non c'era alcuna possibilita', lo sapeva benissimo. Ma non aveva nessuna voglia di alzarsi. Non aveva neanche pensato di prendersi un libro dalla fornitissima biblioteca del piano di sotto.
Una pressione sempre piu' forte alla vescica e i brontolii dello stomaco lo costrinsero infine a decidere di alzarsi. Uso' il bagno della camera, quindi, ancora in pigiama, scese in cucina per fare colazione.
Prese il latte dal frigo, una tazza e i cereali dalla credenza e programmo' il microonde. Apri' la bottiglia del latte e lo verso'. Il latte colo' nella tazza con un risucchio liquido, una massa di yogurt acido. Marco non sapeva se essere esterrefatto o infuriato. Alzo' la bottiglia all'altezza degli occhi per leggere la data di scadenza solo per scoprire che dove la l'etichetta la riportava era cosi' scolorita da essere illeggibile.
-Assurdo-, mormoro'.
Colto da una strana idea afferro' la scatola dei cereali e la apri'. Il sacchetto di plastica all'interno del cartone era rotto. Quello che venne fuori quando lo scosse era simile a segatura di legno. I brontolii del suo stomaco aumentarono.
Colazione in citta', decise. Gettata la confezione dei cereali nella pattumiera, svuotato il latte nel lavandino e mandata la bottiglia a seguire i cereali, Marco risali' le scale verso la camera da letto. La tazza l'avrebbe lavata al suo ritorno, insieme alle stoviglie della sera prima.
Dieci minuti dopo era seduto al volante della sua auto, girando ripetutamente ed inutilmente la chiave, ascoltando i click-click che ogni volta si producevano, e fissando incredulo il quadro che non dava segni di vita. La batteria era morta.
La testa gli cadde contro il volante mentre un paio di singhiozzi gli sfuggivano dalle labbra. Auto in panne, cellulare senza campo, in un posto sperduto e dimenticato da Dio, col villaggio piu' vicino a oltre due miglia e abitato dalle persone piu' incivili che avesse mai incontrato, e la cittadina successiva a quindici miglia e piu'.
Ma chi glielo aveva fatto fare di rimanere per la notte?


Wednesday, 7 August 2013

La casa (parte prima)


-E' proprio sicuro di volerla prendere?
Marco fisso' l'agente immobiliare, un ometto alto si e no un metro e mezzo, col viso rotondo e occhialini dalla montatura di metallo.
-Non capisco, Non la vuole vendere?
-No, no. Sono gia' stato pagato, non posso rifiutarmi di vendere al miglior offerente.- L'agente scrollo' le spalle. -Lei e' il miglior offerente. Ed anche l'unico, a dire il vero.
"Domani comincero' a prepare i documenti. Se intanto non le dispiace firmare l'offerta...
Marco prese il foglio e la penna che l'altro gli porgeva, un modulo prestampato, in inglese, i cui spazi vuoti lui e l'agente avevano riempito insieme durante il corso della visita alla casa, e lo firmo' sul cofano della sua auto.
-Quando pensa che potro' entrarci?- chiese restituendo il modulo.
-Immediatamente. Le mie istruzioni sono di consegnarle le chiavi non appena formalizzata l'offerta.
E tiro' fuori dalla tasca della giacca il mazzo di chiavi che aveva usato per entrare nell'edificio. Marco le prese, rivolgendo all'altro uno sguardo perplesso.
-Non e' una procedura...inusuale?
-Molto.
Marco continuo' a fissarlo.
Comprendendo che Marco si aspettava una spiegazione, l'altro aggiunse, stringendosi nelle spalle: -Non so che dirle. Non ho mai incontrato il venditore. Posso solo assicurarle che e' tutto in regola. La mia agenzia va fiera di sbrigare tutte le procedure alla perfezione e di fornire un servizio perfetto agli acquirenti.
Marco annui.
-Ora devo andare, la prego di scusarmi. Non posso proprio trattenermi.
-Certo, si figuri.
-Le faro' sapere non appena i documenti saranno pronti.
-Grazie.
L'agente immobiliare raggiunse la sua auto, poso' la ventiquattrore sul sedile del passeggero, poi, come per un ripensamento, un piede gia' nell'auto, torno' a rivolgersi a Marco: -Pensa di passare la notte qui?
-Eh? Come? No, non penso. Perche'?
-Curiosita'-, rispose l'altro stringendosi nelle spalle. -La chiamero' quanto prima. Lei ha la mia card. Se ha bisogno di qualcosa non esiti a chiamarmi.
-Certo. Grazie.
L'agente entro' in auto e chiuse lo sportello, accese il motore e parti', facendo inversione sull'ampio piazzale inghiaiato antistante la casa. Pochi secondi dopo era scomparso dietro l'alta siepe che delimitava la proprieta'.
Dopo un lungo momento speso a fissare la strada lungo la quale l'auto dell'agente immobiliare era appena scomparsa, Marco rivolse la sua attenzione al cottage, una tipica struttura della campagna inglese. Tetti a spiovente coperti di lastre di ardesia, muri in pietre non squadrate. Le finestre erano di tipo europeo, non quelle a ghigliottina cui cinque anni a Londra lo avevano abituato. Era una stranezza? Non sapeva rispondersi. In cinque anni aveva visto poco e niente della restante parte del Regno Unito: un viaggio in Galles, un paio di escursioni nel Sussex, qualche weekend a Brighton, e quel famigerato viaggio in coach a Stonehenge che non avrebbe mai fatto avesse saputo prima che i monoliti non erano stati ricollocati nella posizione originale. Il lavoro aveva assorbito quasi completamente tutto il suo tempo e le sue energie.
Si accorse che aveva in mano la mappa della proprieta'. Vi dette uno sguardo veloce. La casa aveva un grande giardino sul fronte, un ampio prato delimitato da siepi formali, privo di alberi ma pieno di aiuole di erbacee perenni che una squadra di giardinieri reclutati in una cittadina non distante venivano a curare una volta a settimana. Hemerocallis, rose, Hosta, lupini, ortensie ed Iris si affollavano contro i muri della casa e lungo una seconda siepe, una clouding hedge che racchiudeva un giardino piu' piccolo, cui si poteva accedere solo dal conservatory, quest'ultimo solo parzialmente visibile a sinistra del corpo principale della casa, dietro la clouding hedge. A ridosso del retro della casa iniziava un boschetto di betulle, di cui solo pochi metri erano nella proprieta', che qui era delimitata dal Lee Creek, un piccolo corso d'acqua che Marco non aveva idea ne' dove iniziasse ne' tantomeno dove andasse a finire.
I venditori avevano mantenuto tutto in perfetto stato, nonostante la casa fosse vuota da lungo tempo, a detta dell'agente immobiliare. Cosi' come una squadra di giardinieri veniva a prendersi cura del giardino e della restante parte della proprieta', una squadra di cleaners veniva a tenere l'interno della casa in ordine. Pulivano, davano aria, rinfrescavano la biancheria e cambiavano regolarmente le lenzuola ai letti che nessuno usava. Si assicuravano addirittura che i topi non entrassero. Praticamente la casa era mantenuta in stato abitabile. Che aveva chiesto l'agente? Se Marco intendeva passarci la notte? E perche' no? C'era tutto. mancava solo il cibo.
Marco prese il cellulare, intenzionato a chiamare l'agente per chiedergli se sapeva dove poteva comprarne. Ma mentre ancora cercava il biglietto da visita che l'ometto gli aveva messo in mano appena incontrato, si accorse che il cellulare non aveva campo. Zero. Mai successo prima... Con una scrollata di spalle se lo lascio' cadere in tasca: a poco piu' di due miglia c'era il paese di... Com'era il nome del paese? Non lo ricordava. Poco male, la strada la sapeva ritrovare.
A passo deciso giro' intorno all'auto, solo per rendersi conto che era andato sul lato sinistro del veicolo. Con una risata fece il giro: a londra non aveva mai guidato (grazie al Cielo non ne aveva mai avuta necessita') e non si era ancora abituato al fatto che il volante era sul lato opposto a quello delle auto italiane. E francesi, e tedesche, e spagnole, eccetera eccetera eccetera.

Quindici minuti piu' tardi Marco parcheggio' in paese, di fronte a quello che gli parve l'unico negozio di alimentari. Il paese consisteva di due file di case lungo una strada larga appena per far incrociare due auto. Edifici anonimi, tutti uguali, intonacati con quell'orribile plaster bitorzoluto usato per le costruzioni piu' economiche, sporco e pieno di scrostature. Delle insegne indicavano, piu' avanti lungo la strada e uno di fronte all'altro, l'ufficio postale e un off license. Il paese, di cui ancora non sapeva il nome, aveva un aspetto grigio. Non c'erano auto in vista, solo pochi abitanti erano in strada, tutti fra i cinquanta e i sessant'anni. Anche loro avevano un aspetto grigio.
Con una strana sensazione, con la pelle del collo che pareva tirargli vicino alla nuca, marco scese dall'auto e fece per entrare nel negozio. Nel momento stesso in cui apri' la porta un uomo usci' urtandolo per passare. Marco barcollo' all'indietro e si riprese quando l'altro era gia' due metri piu' avanti lungo il marciapiede, il capo girato per guardarlo in cagnesco da sopra la spalla, rivolgendogli una frase a denti stretti di cui lui afferro' solo un Fuck.
-Excuse me...- tento' Marco, ma quello tiro' a diritto ignorandolo.
"E meno male che nel countryside dovrebbero essere more friendly", penso' Marco, fissando la schiena dell'uomo che si allontanava.
-Shut the door!
L'urlo giunto da dentro il negozio riporto' Marco al motivo per cui si era recato li'. Entro' nel negozio, un ambiente angusto di una sola lunga stanza, con scaffali lungo le pareti e pure nel mezzo a creare due corridoi non larghi a sufficienza per fare incrociare due persone.
-Hello-, saluto' Marco.
Dal fondo del negozio, una donna lo fisso' senza rispondere, ingobbita dietro al registratore di cassa e pile di prodotti che ingombravano il banco su cui il registratore stava. Cosa gli aveva detto l'agente riguardo la gente di questa zona? Che non ti davano confidenza a meno che la tua famiglia risiedesse in zona da almeno trent'anni? Al momento Marco non gli aveva creduto, lo aveva preso per il commento del tipico italiano scontento di vivere in questa nazione, nonostante i lauti stipendi elergitigli. Ora cominciava a ricredersi.
Un po' in imbarazzo sotto lo sguardo fisso e silenzioso della donna, Marco prese uno dei tre cestelli che stavano a fianco della porta d'ingresso... Tre cestelli? Li' non c'era spazio per piu' di due clienti a volta!... e comincio' a cercare qualcosa da mangiare, sia per la cena che per la colazione del giorno dopo.
Prese del latte a lunga conservazione, l'unico in vendita, e cereali per la colazione; Lincoshire sausage e una confenzione di pomodori per cena. Cerco' inutilmente dell'olio d'oliva, quindi si accontento' col burro. Lo spreadable, ovviamente, di una marca mai vista. Fra gli ingredienti vegetable oils non meglio identificati in percentuale del 36 per cento. Due panini dall'aspetto gia' rinsecchito era tutto cio' che rimaneva nel cestino del pane. Li mise in un sacchetto trasperente per alimenti che fece cadere nel cestino. Sale ne trovo' solo di roccia, in una scatola di cartone consumato che pareva aver preso l'umido.
-Do you have wine?- chiese alla proprietaria del negozio. Lo sguardo stolido con cui lo fisso' lo spinse a ripetere la domanda. "Ma che ha questa? E' sorda?"
-Go to the o' 'cense a' th' end o' road.- rispose infine la donna.
"Cazzo! Ma qui parlano peggio che a Londra?"
Marco annui, mormorando un thanks che l'altra ignoro'. Quindi raggiunse la cassa col suo cestino e lo appoggio' sul banco, occupandone l'ultimo spazio libero. La proprietaria prese una busta di plastica da sotto il banco, e letteralmete la getto' contro di lui. Marco non era ancora riuscito ad aprirlo quando la donna inizio' a prendere la roba dal cestino e poi a ributtarcela dentro. La scatola del burro lo urto' sulla pancia e ricadde nel cesto, quella del sale urto' contro il suo braccio che aveva allungato per prendere il burro e cadde in terra. Marco' si chino' per raccoglierlo, accompagnato da un grugnito sprezzante della donna.
-Twen' free an sixsy p-, disse la donna mentre Marco ancora doveva finire di mettere i suoi acquisti nel sacchetto che reggeva con la sinistra senza poterlo appoggiare da nessuna parte.
"Piu' caro che a Londra!" Il pensiero gli esplose letteralmente nel cervello, mentre la donna allungava una mano tesa sopra il cestino impedendogli di prendere il resto della roba. Esterrefatto Marco sfilo' il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e ne prese la carta di credito.
-Cash-, sibilo' la donna.
Marco la fisso' senza capire.
-Only cash.
Rimettendo la carta al suo posto Marco prese una banconota da venti e una da cinque sterline e le porse alla donna. Riprese a raccogliere i suoi acquisti ma la donna lo blocco' di nuovo, allungando la mano col resto sopra il cestino. Marco la lascio' rovesciare le monete del resto nella sua mano aperta e fece per mettersele in tasca, quando si rese conto che non erano abbastanza.
-It's wrong-, disse guardando la donna.
Quella sbuffo' e allungo' una mano nel cassetto del registratore di cassa, quindi sbatte' una moneta da una sterlina nella mano di Marco. Esterrefatto, Marco si caccio' le monete in tasca, afferro' il sacchettino del pane e le salsicce che ancora rimaneva nel cestello e si volto' per andarsene.
-Take i' back!- gli urlo' dietro la donna con voce stridula, sbatacchiando il cestello metallico sul piano del banco. Marco la ignoro', apri' con difficolta' la porta, avendo ambo le mani impegnate, quindi usci'. Si fermo' di fronte alla sua auto, scuotendo la testa. Era stato cosi' scioccato dalla maleducazione della donna che non era riuscito a reagire. Ancora scuotendo la testa armeggio' per mettere tutti gli acquisti nella busta.
In quel momento noto' che un uomo lo fissava dall'altro lato della strada. Non gli levava gli occhi di dosso, uno sguardo cupo e minaccioso. "Ma che hanno in questo posto?"
Il vino. La donna aveva detto di andare all'off license. Marco mosse un passo in direzione del negozio, poi si fermo'. L'idea di trovare un altro negoziante cafone come la donna lo agghiaccio'. Meglio bere acqua del rubinetto che affrontare un'altra persona simile. Reso impacciato dallo sguardo fisso dell'uomo sull'altro lato della strada, Marco apri' la portiera dell'auto, si sedette tenendo la busta della spesa in mano e schiacciandola fra il suo corpo ed il volante. Quando riusci' a liberarla la poso' sull'altro sedile, quindi armeggio' con la cintura di sicurezza che si era bloccata, ed infine parti' rinunciando ad allacciarla. Voleva togliersi da quello sguardo fisso e malevolo.

Rientro' a casa stremato. Letteralmente stremato. Fece uno sforzo per cucinarsi la cena, usando il burro per le salsicce e condendo i pomodori col solo sale. Mise tutto in un piatto, riempi' una caraffa d'acqua al rubinetto della cucina, e si sedette per mangiare.
Il primo pezzo di salsiccia gli ando' letteralmente di traverso. Quando smise di tossire, mezzo soffocato, verso' dell'acqua nel bicchiere e bevve. Com'era fresca! E quasi dolce! Gli ricordava l'acqua che beveva da ragazzo nei torrenti del Pratomagno, giu' in Italia. Posato il bicchiere, inforco' uno spicchio di pomodoro e se lo mise in bocca. Mastico' disgustato il vegetale insapore. Neanche il sale aveva sapore... Con un sospiro taglio' un altro pezzo di salsiccia.
"Smettila, e' solo autosuggestione. A Londra non e' che il cibo faccia meno schifo."
Come morse la salsiccia l'unto e il grasso che la impregnavano, con un retrogusto rancido, lo afferrarono alla gola. facendolo quasi vomitare. Si sforzo' di continuare a masticare, mettendosi in bocca anche uno spicchio di pomodoro per mitigare l'unto della carne. Mando' giu' il boccone ed allontano' disgustato il piatto. Mangiare quella roba era impossibile!
Bevve un sorso d'acqua per sciacquar via il sapore cattivo della salsiccia. L'acqua era cosi' dolce che ne bevve un altro lungo sorso. E prima di rendersene conto aveva bevuto l'intera caraffa.
Un po' sorpreso si alzo' per svuotare il piatto nella spazzatura, quindi lo lascio' nell'acquaio. Tempo di dormire, si disse. Sali' al piano di sopra, entro' nella spaziosa camera che si era scelto, dove sotto al cuscino del letto king size trovo' un pigiama della sua taglia. Lo indosso' e si infilo' sotto le coperte. Spense la luce della lampada sul comodino e dopo neanche un minuto dormiva.
E cominciarono gli incubi...


Taken home!


Monday, 5 August 2013

Una serata alla Bahavarian Beerhouse

       Sabato ho passato la serata con un gruppo di italiani, messi insieme da due social forum per una uscita (una di molte) organizzate apposta per conoscere nuove persone (cosa che gli inglesi non fanno ed addirittura troverebbero sospetta se glielo proponi) e reincontrare chi gia' si conosceva. Insomma, giusto per spendere un po' di tempo con persone con le quali la comunicazione e' piu' semplice. O per lo meno dovrebbe essere, ma non sempre lo e', purtroppo.
        Il locale scelto, la Bahavarian Beerhouse, lo ricordavo meno rumoroso, ma ci ero stato solo una volta precedentemente e magari ero capitato in una serata piu' tranquilla del normale. Questa volta il nostro gruppo di una quindicina di persone, arrivato li' dopo il pomeriggio passato al The Geffrye Museum, si e' trovato circondato da gruppi di inglesi, un paio li' per festeggiare il compleanno, uno per una festa (?) in maschera ed un altro per uno "Stag Do" party, ovvero un addio al celibato.
      Solo servizio al tavolo, alla Bahavarin Beerhouse, cosi' le cameriere non hanno i clienti tra i piedi alla mescita delle birre. E il nostro tavolo era servito da una cameriera (greca) con le tette che erano li' li' per esploderle fuori dal bustino. A parte che nel tentativo di ottenere una mancia ci si strusciava addosso ad ogni passaggio, e che quando veniva a prendere le ordinazioni ci piazzava le tette in faccia, ma se noi facevamo tanto di guardarla negli occhi lei diceva, candida candida: "No, caro, le mie tette sono piu' in basso." Qualcuno del gruppo e' stato visto comprare birre in boccali da 2 pinte che non avevano nessuna intenzione di bere.
       Beh, noi abbiamo trascorso la serata bevendo e mangiando e parlando, o per meglio dire urlando, al punto che quando ho lasciato il locale ero rauco. Ma fra gli inglesi che urlavano e un musicista che cantava canzoni bavaresi con l'amplificatore al massimo, non si poteva comunicare in altro modo che urlando. Alcuni aeroplanini di carta fatti con pagine del menu' sono cominciati a planare fra gli avventori, ad un certo punto della serata, mentre le urla delle persone agli altri tavoli subivano un deciso crescendo, fra birra bevuta dalle scarpe e cori di "Shame shame shame" (sul tune del nostro "scemo scemo scemo"), che non avrebbero avuto niente di strano non fosse che erano indirizzati ad un poveretto che, sedutosi troppo in punta ad una panca, l'aveva ribaltata, e che sono andati avanti per 10 minuti buoni senza interruzioni. Ho visto solo un paio di ubriachi (ma era ancora presto): un ragazzo in kilt scozzese che e' stato riaccompagnato a casa (?) con lo sballo allegro da un paio di amici, ed un altro che quando me ne sono andato se ne stava ancora seduto su una panca per lo piu' ignorato dagli amici e in preda dello sballo triste.
       Il pezzo forte, pero', e' stato nel gruppo dello Stag do party. Dopo aver dovuto subire la cameriera greca che gli scriveva in faccia "Almost married" (e fin qui posso capire che non abbia protestato anche perche' aveva il naso ficcato praticamente fra le tette della tipa), il futuro sposo ha dovuto poi sottoporsi a quanto potete vedere nelle foto, compreso ballare con un ragazzo di un altro gruppo (e qui la cameriera non c'era piu', quindi mi resta un po' piu' arduo comprendere come ci si possa far umiliare in questo modo).




      Comunque, contento lui...

      Rientrando a casa per entrare nella tube abbiamo dovuto aprirci un varco in un flusso contrario di persone: per mezza Londra la serata cominciava quando per noi stava finendo.

Saturday, 3 August 2013

La Zona del Crepuscolo

   
Ormai e' un'abitudine. Gli occhi si aprono da soli ben prima che la sveglia suoni, la mente immediatamente sveglia e attivamente lucida. Poco importa che oggi la sveglia non dovesse suonare. Come al solito ci ho messo un poco a realizzare che potevo dormire ancora, che non avevo impegni di lavoro. E come d'abitudine non ho ripreso sonno.
      Sono rimasto a guardare cio' che si vede dalle due finestre aperte sulla parete alla sinistra del mio letto: un riquadro immobile, come bloccato nel tempo, avvolto da una luce grigia che non si capisce da dove provenga, soffusa nell'aria, che giunge da ogni direzione, mentre il sole si trova ancora ben sotto l'orizzonte. Il cielo aveva questa luminosita' grigia e i rami di una quercia vi si stagliavano contro, delineati in ogni foglia. Immobili. L'aria stessa era immobile, immobile e silenziosa. Il Crepuscolo. E questa porzione di tempo, fra quando il Mondo sfugge al mantello della notte e prima di cadere nelle fauci del sole, questa porzione di tempo e' la sua Zona. Non uno spazio fisico, bensi' uno spazio temporale, durante cui il respiro e' trattenuto, niente si muove, nessuna creatura fatta di carne infesta apertamente le sue strade e i suoi campi. In questo momento il Mondo puo' pretendere di essere qualunque cosa, puo' pretendere di essere un luogo migliore.
       Poi un colpo di vento ha rotto l'incanto, ha agitato i rami della quercia, ha riportato il suono nel mondo e i liquidi confini del Crepuscolo si sono disfatti, sono ruscellati come mercurio e scomparsi come rugiada al sole. Dal lago si sono levati gli starnazzamenti delle oche selvatiche, che chiamandosi l'un altra dai vari punti dell'isoletta boscosa su cui dormono si sono organizzate in gruppi, hanno raggiunto la riva e attraversato la fascia di alte erbe sbiancate da oltre un mese di inusuale sole estivo, per venire a pascolare sul prato del parco. Poco fa il sole e' sorto, rosso e cangiante, colpendomi direttamente sul viso mentre ancora ero disteso sul letto, insinuando i suoi raggi fra l'orizzonte e la chioma di una quercia. Le foglie della quercia, coperte di rugiada, riflettevano la luce del sole. Potevo perfino vedere il filo di una ragnatela lontano almeno venti metri metri, sottilo filo di luce teso fra due rami.
        Il sole ed il rumore hanno fatto il loro ingresso nel Mondo anche oggi: lo starnazzare delle anatre e il rombo distante e continuo degli aerei nel cielo di Londra, voci umane e veicoli a motore. Il Crepuscolo e' scomparso, cosi' come una bolla di sapone scompare se la tocchi col dito. Tornera' domani, sfuggira' dall'abbraccio della notte, per fronteggiare il sole inconsapevole. E per un breve tempo ancora il Mondo potra' pretendere di essere un luogo migliore.

Friday, 2 August 2013

Son pochi i danari... son pochi... son pochi...

   
Alla fine, un mormorar più forte della folla che occupava i luoghi superiori fece volgere a tutti il viso verso quella parte, e passando di bocca in bocca giunse la nuova, che già si scorgeva il drappello francese. Pochi minuti dopo compariva alla voltata d'una strada, che usciva di dietro una collina, ed avanzandosi, venne a porsi in battaglia nella parte superiore del campo, volgendo la fronte al mare. Scavalcati i guerrieri ed un centinajo e mezzo di compagni ed amici che eran con loro, lasciaron ai famigli i cavalli, e, saliti al luogo dei giudici, si dispersero sotto i lecci aspettando l'arrivo degli Italiani. Sulla strada di Barletta un nuvolo di polvere, fra il quale si potè presto distinguere il lampeggiar dell'armi, mostrò che non eran per farsi troppo aspettare. Le turbe sin allora disperse si strinsero ai confini della lizza, studiando ognuno di cacciarsi avanti, malgrado che i fanti di guardia, con que' modi amorevoli che in ogni tempo ha sempre usato la soldatesca in simili occasioni, battendo sul suolo, e talvolta sulle punte dei piedi i calci delle ronche e delle picche, ricacciassero indietro l'onda che tentava di sopraffarli.
     Giunsero gl'Italiani, si fermarono in faccia ai loro avversarj nell'ordinanza medesima, e scavalcati, salirono anch'essi sul rialzo degli elci. Dopo i saluti e le cortesie scambievoli, il signor Prospero e Bajardo, che erano i due padrini, s'abboccarono, e decisero che prima di tutto conveniva trarre a sorte i giudici. Il lettore si maraviglierà, son certo, di non trovar il famoso Bajardo fra i combattenti in così importante occasione, e vederlo invece adempiere le parti di padrino: gli dirò dunque che non ne abbiam provata minor maraviglia di lui, nè sapremmo formar su questo fatto altra congettura se non supporre che qualche ferita non interamente sanata gl'impedisse di trattar l'armi, o che forse la quartana che lo travagliava in quel tempo, troppo gli scemasse le forze: a ogni modo sappiamo certissimo che egli non era fra i campioni.
     Scritti dunque i nomi di alcuni caporali de' due eserciti spagnuoli, francesi ed italiani in egual numero; rotolati i brevi, e posti in un elmo, cadde la sorte su Fabrizio Colonna, Aubignì e Diego Garcia di Paredes; i quali, sedendo al luogo preparato per loro, aprirono su una tavola il libro dei Vangeli, e ricevettero il giuramento de' ventisei guerrieri: col quale s'impegnavano a non adoperar frode nel combattere; asserivano non aver incanti nè sui loro corpi, nè sull'arme; ed incontrar quel cimento valendosi della sola virtù e delle forze naturali. Furon letti di nuovo ad alta voce i patti coi quali si rimaneva d'accordo che ogni uomo potesse riscattar sè, l'arme e 'l cavallo mediante cento ducati: ed uno fra gl'Italiani, votando sulla tavola il sacco del danaro che avean recato, lo contò, e lo consegnò ai giudici. S'aspettava quindi che i Francesi facessero
altrettanto: visto che nessuno si moveva, Prospero Colonna disse loro più modestamente che potè: 
— Signori, e il vostro danaro?
Si fece avanti La Motta, e rispose sorridendo: — Signor Prospero, vedrete che questo basterà. Montò la stizza al barone romano per la millanteria inopportuna, ma si frenò, e disse soltanto: — Prima di vender la pelle conviene ammazzar l'orso. Ma non importa; e quantunque fosse patto fra noi di portar il riscatto, neppur per questo non vogliamo metter ostacoli alla battaglia. Signori, — aggiunse poi volto ai suoi, — avete udito: questo cavaliere tien la cosa per fatta; sta a voi a chiarirlo del suo errore.
     Sarà inutile il dire che' questi modi sprezzanti fecero ribollire il sangue agl'Italiani, ma nessuno rispose nè a La Motta, nè al signor Prospero, fuorchè con qualche digrigno, o qualche occhiata fulminante. Terminati questi apparecchi, furon dai giudici licenziate le due parti e data loro una mezz'ora per prepararsi; dopo la quale un trombetta a cavallo, situato all'ombra degli elci, accanto ai giudici, darebbe tre squilli di tromba, segnale dell'assalto.
     Ritornati a' loro cavalli e montati in sella, furon dai padrini disposti in fila a quattro passi di distanza l'uno dall'altro; e tanto il Colonna quanto Bajardo osservarono di nuovo i barbazzali, le cigne delle selle, le corregge e le fibbie dell'armature; e, se v'eran occhi esercitati ne' due campi, eran senza dubbio i loro.
     Finita questa rivista, fermato il cavallo nel mezzo della linea, il signor Prospero disse ad
alta voce: — Signori! non crediate ch'io voglia dirvi parola per eccitarvi a combattere da uomini pari vostri: vedo fra voi Lombardi, Napoletani, Romani, Siciliani. Non siete forse tutti figli d'Italia ugualmente? Non sarà ugualmente diviso fra voi l'onore della vittoria? Non siete voi a fronte di stranieri che gridan gl'Italiani codardi? Una cosa sola vi dico: vedete là quel traditor scellerato, Grajano d'Asti. Egli combatte per mantener l'infamia sul capo de' suoi compagni!... m'intendete!... Ch'egli non esca vivo di questo campo.
[...]
     Un araldo alla fine venne avanti in mezzo al campo, e bandì ad alta voce, che alcuno non ardisse favorire o disfavorire nessuna delle parti nè con fatti, nè con voci, nè con cenni: ritornato presso i giudici, il trombetta diede il primo squillo di tromba: diede il secondo... si sarebbe sentito volar una mosca: diede il terzo, i cavalieri con moto simultaneo allentate le briglie, curvati i dorsi sul collo dei cavalli, e piantando spronate che li levavan di peso, si scagliarono a slanci prima, poi di carriera serrata rapidissima gli uni su gli altri, levando il grido viva Italia! da una parte, e viva Francia! dall'altra, che s'udì fino al mare. Avean circa centocinquanta passi da correre per incontrarsi. S'alzò a poco a poco la polvere, crebbe, si fece più densa, gli avvolse prima che si fossero giunti, li coperse e nascose affatto come un nuvolo quando si dieder di cozzo, urtandosi i cavalli fronte contra fronte, e i cavalieri rompendo le lance sugli scudi e le corazze degli avversarj con quel fragore che produce una frana di massi che rovinano su un pendìo senza ostacoli da prima, poi trova una selva nella quale si caccia, e fiacca, sradica, fracassa ciò che trova. Fu tolto così agli spettatori la vista del primo scontro, ed appena in quell'ammasso confuso e polveroso d'uomini e di cavalli potevan distinguere il balenar dell'armi percosse dal sole, e qualche brano di penne, che la furia dei colpi aveva lacerate, volare avvolgendosi in quel turbine, ed allontanarsene poi sollevati dal vento. Il frastuono rimbombò per le valli dei dintorni; Diego Garcia si percosse col pugno sulla coscia per la maraviglia e per la smania di non esser anch'esso là in mezzo; e questo fu il solo atto che si notasse fra gli spettatori attoniti ed immoti.
     Rimase per alcuni secondi riunito quel gruppo di battaglia, ed un certo luccicar più sottile che qua e là balenava a traverso la polvere, mostrò che i cavalieri avevan posto mano alle spade: s'udiva uno scrosciar di ferri, un martellar così a minuto, come se in quello spazio fossero state in opera dieci paja d'incudini. Tutto quell'ammasso pieno d'una luce vivissima, e direi guizzante in se stessa, era simile ad una macchina di fuoco d'artifizio, quando è velata in parte dal fumo: tanto era complicato e rapido il muoversi, lo stringersi, l'aprirsi, il ravvolgersi che faceva in tutte le sue parti.
      L'ansietà di poter veder qualche cosa e sapere a chi toccasse il primo onore, era tale che ormai si stava per prorompere in grida; e già s'udiva un crescente bisbiglio, che fu però soffocato dai cenni degli araldi, non meno che dal vedere uscir fuori da quel viluppo un cavallo sciolto, talmente coperto di polvere, che neppur più si capiva di che colore avesse la sella: scorrendo pel campo di mezzo galoppo si trascinava fra le zampe la briglia mezza lacerata, e, mettendovi su or un piede, or un altro, si veniva dando strappate al freno che gli facevan abbassar il capo, e lo mettevano a rischio di cadere; una larga ferita dietro la spalla versava una fontana di sangue nero e segnava la traccia; dopo non molti passi cadde sulle ginocchia sfinito, e si arrovesciò sul terreno. Fu conosciuto esser della parte francese.
      Gli uomini d'arme intanto accoppiatisi combattevano spada a spada, e così due a due dando e ribattendo quei grandissimi colpi, e volteggiandosi intorno scambievolmente, per torre il lor vantaggio, venivan dilatando la zuffa serrata dal primo assalto; la polvere cacciata dal vento più non toglieva la vista dei combattenti; si conobbe che l'uomo d'armi scavalcato era Martellin de Lambris. Fanfulla, per disgrazia del Francese, gli si trovò contra, e con quella sua pazza furia, nella quale era pur molta virtù e somma perizia, gli appiccò alla visiera la lancia in modo che lo spinse quant'era lunga a fargli assaggiar s'era soda la terra, e nel fare il bel colpo alzò la voce in modo che s'udì fra tanto strepito, e gridò: — E uno! — poi vedendosi non lontano La Motta che al colpo di Fieramosca avea perduta una staffa, seguitava: — I danari non basteranno... sono pochi i danari...
[...]
     Nel tempo impiegato a conseguir questa prima vittoria, Ettore Fieramosca aveva bensì colla lancia fatto staffeggiare La Motta, ma non gli era riuscito scavalcarlo. Era d'altra forza, e d'altro valore che il prigioniere di Fanfulla. Fieramosca geloso dell'onore riportato da questo, avea cominciato colla spada a lavorare in modo che lo sprezzatore degli Italiani con tutta la sua virtù a stento potea stargli contra. Le ingiurie profferite da lui la sera della cena, quando avea detto che un uomo d'arme francese non si sarebbe degnato aver un Italiano per ragazzo di stalla, tornarono in mente a Fieramosca; e mentre spesseggiava stoccate e fendenti, schiodando e rompendo l'arnese del suo nemico, e talvolta ferendolo, gli diceva con ischerno: — Almeno la striglia la sappiamo menare? Ajutati, ajutati, che ora son fatti, e non parole.
      Non potè colui sopportar lo scherno, e menò un colpo al capo con tal furia che, non giugnendo Ettore ad opporre lo scudo, tentò ribatterlo colla spada; ma non resse, volò in pezzi, e quella del Francese cadendo sul collarino della corazza lo tagliò netto, e ferì la spalla poco sopra la clavicola. Fieramosca non aspettò il secondo: spintosi sotto, l'abbracciò tentando batterlo in terra; l'altro, lasciata la spada pendente, tentava di sferrarsi. Ciò appunto volea Fieramosca: sviluppatosi da lui prima che avesse potuto riprender la spada, dato di sprone al cavallo, lo fece lanciarsi da una parte; ed ebbe tempo di spiccar l'azza che pendea dall'arcione, colla quale tornò addosso all'avversario.
      Il buon destriere di Fieramosca ammaestrato ad ogni qualità di battaglia, cominciò, avvertito da un leggier cenno di briglia e di sprone, a rizzarsi come un ariete che voglia cozzare, e far volate avanti, senza mai scostarsi tanto dall'avversario che il suo signore non lo potesse giungere. Vedendolo lavorare con tanta intelligenza, pensava Fieramosca: "Ho pur fatto bene a condurti meco!". E si portò tanto virtuosamente coll'azza, che venne riacquistando sul Francese il vantaggio che aveva perduto.
       La zuffa di questi antagonisti che potean dirsi i migliori delle due parti, se non decideva della somma della battaglia, quasi però avrebbe deciso dell'onore. Sarebbe stato doppio biasimo per La Motta esser vinto, avendo egli manifestato tanto disprezzo pe' suoi nemici; doppia gloria a Fieramosca il riportarne vittoria. I suoi compagni, conoscendo che egli era atto a tal impresa, si guardarono dal prendervi parte; si guardavano anche i Francesi dal porgere ajuto al loro campione, onde non si dicesse che dopo tanti vanti non gli era bastata la vista di star contra un solo. Perciò, quasi senz'avvedersene, per alcuni minuti restaron tutti dal combattere fissando gli occhi ne' due guerrieri. In questi pensieri che abbiam accennati produssero un incredibile impegno di vincere, e combattevano con un accanimento, un'attenzione a non commetter errori, un'alacrità a profittar dei vantaggi, che la loro zuffa poteva dirsi un modello dell'arte cavalleresca.
      Diego Garcia di Paredes, che avea passata la sua vita nei fatti d'arme, pur colpito da maraviglia alla vista di così maestrevole battaglia, non potendo più star alle mosse, si era alzato in piedi; poi, venuto sull'estremo ciglio del greppo che dominava il campo, gli stava guardando avidamente. Veduto da lontano, con quel suo busto gigantesco piantato su due gambe erculee, e colle braccia naturalmente pendenti, pareva immobile al pari d'una statua; ma, ai vicini, il contrarsi de' muscoli sotto le strette vesti di pelle che portava, lo stringer delle pugna, e più di tutto lo sfavillar degli occhi, palesavano quanto bollisse internamente, e si rodesse di non poter essere ivi altro che spettatore.
      I riguardi che impedivano agli altri di turbar questa battaglia, o non vennero in mente, o non furon curati da Fanfulla che, lasciato il signor Prospero, veniva scorrendo pel campo; punse il cavallo, e colla spada in alto si serrò contro La Motta. Se n'avvide Ettore e gli gridò: —Indietro! — ma ciò non bastando, spinse il cavallo in traverso a quello del Lodigiano, e col calcio dell'azza gli diede a man rovescia sul petto onde con poco buon garbo gli fece rattener le briglie: — Basto io per costui, e son di troppo, — gli disse istizzito.
      Fu da tutti lodato l'atto cortese verso La Motta fuorchè da Fanfulla, che prorompendo in una di quelle esclamazioni italiane che non si possono scrivere, disse, mezzo in collera mezzo in riso: — Hai la lingua nelle mani!
     Voltò il cavallo, e messosi a guisa di pazzo fra i nimici, gli sconvolse senza assalirne nessuno in particolare; e finito così quel momento d'inazione, si rinnovò più calda che mai la battaglia. Fin dal principio, Brancaleone fisso nel suo proposito avea corso la lancia con Grajano d'Asti, e la fortuna si era mostrata uguale fra loro. Venuti alla spada, si mantennero ancora senza deciso vantaggio per nessun de' due: Brancaleone era forse superiore al suo nemico per robustezza ed anche per maestria, ma il Piemontese era gran giocator di tempo; e chi conosce l'arte dello schermire, sa quanto sia utile questa qualità.
      Fra i combattenti dell'altre coppie la vittoria era per tutto in forse, e quantunque la battaglia non durasse che da un'ora e mezzo circa, era stata però tanto ostinata e calda che si poteva facilmente conoscere gli uomini ed i cavalli aver bisogno d'un breve respiro, che venne loro conceduto di comune accordo dai giudici. La tromba ne diede il segno, ed i re d'armi entrando in mezzo spartirono i combattenti.
     Quel bisbiglio che udiamo sorger istantaneo nei nostri teatri al calar del sipario dopo uno spettacolo che si sia cattivata l'attenzione degli spettatori, nacque egualmente fra le turbe che circondavano il campo. I cavalieri tornati alla prima ordinanza scavalcarono: chi si traea la barbuta per rinfrescarsi la fronte e tergerne il sudore; chi, trovando l'arnese o la bardatura de' cavalli guasta in qualche parte, s'ingegnava di racconciarla. I cavalli, scotendo il capo e dimenando le mascelle, cercavan sollievo al dolore cagionato dalle scosse de' freni. E non sentendo più l'uomo in sella, si piantavan sulle quattro zampe, ed a capo basso davano un crollo prolungato facendo risonare le loro armature. I venditori del contorno trovandosi a polmoni freschi, alzaron più alte le grida, e i due padrini, mossi i cavalli, vennero a trovare i loro guerrieri.
      Per la prigonia d'uno de' Francesi, e per trovarsi gli altri malmenati e feriti quasi tutti, fu giudicato da ognuno, gli Italiani aver la meglio; e fra i molti che aveano scommesso per l'una o per l'altra parte, quelli che tenevan pe' primi cominciavano ad accigliarsi ed a dubitare. Il buon Bajardo aveva troppa esperienza di simili fatti per non accorgersi che le cose voltavan male pe' suoi. Studiando di non mostrar questo sospetto, gli incoraggiava, li poneva in ordinanza e veniva ricordando ad ognuno le regole dell'arte, i colpi da tentarsi ed il modo di difendersi.
      Prospero Colonna che vedeva i suoi avere minor bisogno di riposo per esser meno maltrattati dei nemici, dopo una mezz'ora, domandò che si riprendesse la battaglia, ed i giudici ne fecero dare il cenno. I cavalli, ai quali un ansar frequente facea ancora battere i fianchi, stimolati dallo sprone rialzarono il capo; e si lanciaron di nuovo gli uni contra gli altri. Ormai la vittoria si dovea decidere in pochi momenti: crebbe il silenzio, l'immobilità negli spettatori, l'accanimento e la furia nei combattenti. Le gale del vestire, le penne, gli ornamenti eran volati in brani, o bruttati di polvere e di sangue. Dal fianco di Fieramosca pendeva tagliata da un fendente la sua tracolla azzurra, l'elmo era rimasto nudo e basso, ma egli, ferito soltanto leggermente nel collo, si sentiva gagliardo del resto, e stringeva La Motta col quale si era di nuovo accozzato. Fanfulla avea a fronte Jacques de Guignes. Brancaleone seguitava la sua battaglia con Grajano, avvisando al modo di coglierlo sull'elmo, e gli altri compagni qua e là per il campo si raggiravano accoppiati coi Francesi combattendo la maggior parte coll'azza, e stringendoli mirabilmente.
      A un tratto s'alzò un grido fra gli spettatori: tutti, e persino i combattenti, volgendosi per conoscerne la causa, videro che la zuffa tra Brancaleone e Grajano era finita. Questi, curvo sul collo del destriere, coll'elmo ed il cranio aperti pel traverso, perdeva a catinelle il sangue che scorreva nei buchi della visiera sull'arme e giù per le gambe del cavallo, il quale stampava le pedate sanguigne. Rovinò in terra alla fine, e risonò sul suolo come un sacco pieno di ferraglia.
       Brancaleone alzò l'azza sanguinosa brandendola sul capo, e gridò con voce maschia e terribile:
— Viva l'Italia: e così vadano i traditor rinnegati!


da "Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta" di Massimo D'Azeglio