Wednesday, 7 August 2013

La casa (parte prima)


-E' proprio sicuro di volerla prendere?
Marco fisso' l'agente immobiliare, un ometto alto si e no un metro e mezzo, col viso rotondo e occhialini dalla montatura di metallo.
-Non capisco, Non la vuole vendere?
-No, no. Sono gia' stato pagato, non posso rifiutarmi di vendere al miglior offerente.- L'agente scrollo' le spalle. -Lei e' il miglior offerente. Ed anche l'unico, a dire il vero.
"Domani comincero' a prepare i documenti. Se intanto non le dispiace firmare l'offerta...
Marco prese il foglio e la penna che l'altro gli porgeva, un modulo prestampato, in inglese, i cui spazi vuoti lui e l'agente avevano riempito insieme durante il corso della visita alla casa, e lo firmo' sul cofano della sua auto.
-Quando pensa che potro' entrarci?- chiese restituendo il modulo.
-Immediatamente. Le mie istruzioni sono di consegnarle le chiavi non appena formalizzata l'offerta.
E tiro' fuori dalla tasca della giacca il mazzo di chiavi che aveva usato per entrare nell'edificio. Marco le prese, rivolgendo all'altro uno sguardo perplesso.
-Non e' una procedura...inusuale?
-Molto.
Marco continuo' a fissarlo.
Comprendendo che Marco si aspettava una spiegazione, l'altro aggiunse, stringendosi nelle spalle: -Non so che dirle. Non ho mai incontrato il venditore. Posso solo assicurarle che e' tutto in regola. La mia agenzia va fiera di sbrigare tutte le procedure alla perfezione e di fornire un servizio perfetto agli acquirenti.
Marco annui.
-Ora devo andare, la prego di scusarmi. Non posso proprio trattenermi.
-Certo, si figuri.
-Le faro' sapere non appena i documenti saranno pronti.
-Grazie.
L'agente immobiliare raggiunse la sua auto, poso' la ventiquattrore sul sedile del passeggero, poi, come per un ripensamento, un piede gia' nell'auto, torno' a rivolgersi a Marco: -Pensa di passare la notte qui?
-Eh? Come? No, non penso. Perche'?
-Curiosita'-, rispose l'altro stringendosi nelle spalle. -La chiamero' quanto prima. Lei ha la mia card. Se ha bisogno di qualcosa non esiti a chiamarmi.
-Certo. Grazie.
L'agente entro' in auto e chiuse lo sportello, accese il motore e parti', facendo inversione sull'ampio piazzale inghiaiato antistante la casa. Pochi secondi dopo era scomparso dietro l'alta siepe che delimitava la proprieta'.
Dopo un lungo momento speso a fissare la strada lungo la quale l'auto dell'agente immobiliare era appena scomparsa, Marco rivolse la sua attenzione al cottage, una tipica struttura della campagna inglese. Tetti a spiovente coperti di lastre di ardesia, muri in pietre non squadrate. Le finestre erano di tipo europeo, non quelle a ghigliottina cui cinque anni a Londra lo avevano abituato. Era una stranezza? Non sapeva rispondersi. In cinque anni aveva visto poco e niente della restante parte del Regno Unito: un viaggio in Galles, un paio di escursioni nel Sussex, qualche weekend a Brighton, e quel famigerato viaggio in coach a Stonehenge che non avrebbe mai fatto avesse saputo prima che i monoliti non erano stati ricollocati nella posizione originale. Il lavoro aveva assorbito quasi completamente tutto il suo tempo e le sue energie.
Si accorse che aveva in mano la mappa della proprieta'. Vi dette uno sguardo veloce. La casa aveva un grande giardino sul fronte, un ampio prato delimitato da siepi formali, privo di alberi ma pieno di aiuole di erbacee perenni che una squadra di giardinieri reclutati in una cittadina non distante venivano a curare una volta a settimana. Hemerocallis, rose, Hosta, lupini, ortensie ed Iris si affollavano contro i muri della casa e lungo una seconda siepe, una clouding hedge che racchiudeva un giardino piu' piccolo, cui si poteva accedere solo dal conservatory, quest'ultimo solo parzialmente visibile a sinistra del corpo principale della casa, dietro la clouding hedge. A ridosso del retro della casa iniziava un boschetto di betulle, di cui solo pochi metri erano nella proprieta', che qui era delimitata dal Lee Creek, un piccolo corso d'acqua che Marco non aveva idea ne' dove iniziasse ne' tantomeno dove andasse a finire.
I venditori avevano mantenuto tutto in perfetto stato, nonostante la casa fosse vuota da lungo tempo, a detta dell'agente immobiliare. Cosi' come una squadra di giardinieri veniva a prendersi cura del giardino e della restante parte della proprieta', una squadra di cleaners veniva a tenere l'interno della casa in ordine. Pulivano, davano aria, rinfrescavano la biancheria e cambiavano regolarmente le lenzuola ai letti che nessuno usava. Si assicuravano addirittura che i topi non entrassero. Praticamente la casa era mantenuta in stato abitabile. Che aveva chiesto l'agente? Se Marco intendeva passarci la notte? E perche' no? C'era tutto. mancava solo il cibo.
Marco prese il cellulare, intenzionato a chiamare l'agente per chiedergli se sapeva dove poteva comprarne. Ma mentre ancora cercava il biglietto da visita che l'ometto gli aveva messo in mano appena incontrato, si accorse che il cellulare non aveva campo. Zero. Mai successo prima... Con una scrollata di spalle se lo lascio' cadere in tasca: a poco piu' di due miglia c'era il paese di... Com'era il nome del paese? Non lo ricordava. Poco male, la strada la sapeva ritrovare.
A passo deciso giro' intorno all'auto, solo per rendersi conto che era andato sul lato sinistro del veicolo. Con una risata fece il giro: a londra non aveva mai guidato (grazie al Cielo non ne aveva mai avuta necessita') e non si era ancora abituato al fatto che il volante era sul lato opposto a quello delle auto italiane. E francesi, e tedesche, e spagnole, eccetera eccetera eccetera.

Quindici minuti piu' tardi Marco parcheggio' in paese, di fronte a quello che gli parve l'unico negozio di alimentari. Il paese consisteva di due file di case lungo una strada larga appena per far incrociare due auto. Edifici anonimi, tutti uguali, intonacati con quell'orribile plaster bitorzoluto usato per le costruzioni piu' economiche, sporco e pieno di scrostature. Delle insegne indicavano, piu' avanti lungo la strada e uno di fronte all'altro, l'ufficio postale e un off license. Il paese, di cui ancora non sapeva il nome, aveva un aspetto grigio. Non c'erano auto in vista, solo pochi abitanti erano in strada, tutti fra i cinquanta e i sessant'anni. Anche loro avevano un aspetto grigio.
Con una strana sensazione, con la pelle del collo che pareva tirargli vicino alla nuca, marco scese dall'auto e fece per entrare nel negozio. Nel momento stesso in cui apri' la porta un uomo usci' urtandolo per passare. Marco barcollo' all'indietro e si riprese quando l'altro era gia' due metri piu' avanti lungo il marciapiede, il capo girato per guardarlo in cagnesco da sopra la spalla, rivolgendogli una frase a denti stretti di cui lui afferro' solo un Fuck.
-Excuse me...- tento' Marco, ma quello tiro' a diritto ignorandolo.
"E meno male che nel countryside dovrebbero essere more friendly", penso' Marco, fissando la schiena dell'uomo che si allontanava.
-Shut the door!
L'urlo giunto da dentro il negozio riporto' Marco al motivo per cui si era recato li'. Entro' nel negozio, un ambiente angusto di una sola lunga stanza, con scaffali lungo le pareti e pure nel mezzo a creare due corridoi non larghi a sufficienza per fare incrociare due persone.
-Hello-, saluto' Marco.
Dal fondo del negozio, una donna lo fisso' senza rispondere, ingobbita dietro al registratore di cassa e pile di prodotti che ingombravano il banco su cui il registratore stava. Cosa gli aveva detto l'agente riguardo la gente di questa zona? Che non ti davano confidenza a meno che la tua famiglia risiedesse in zona da almeno trent'anni? Al momento Marco non gli aveva creduto, lo aveva preso per il commento del tipico italiano scontento di vivere in questa nazione, nonostante i lauti stipendi elergitigli. Ora cominciava a ricredersi.
Un po' in imbarazzo sotto lo sguardo fisso e silenzioso della donna, Marco prese uno dei tre cestelli che stavano a fianco della porta d'ingresso... Tre cestelli? Li' non c'era spazio per piu' di due clienti a volta!... e comincio' a cercare qualcosa da mangiare, sia per la cena che per la colazione del giorno dopo.
Prese del latte a lunga conservazione, l'unico in vendita, e cereali per la colazione; Lincoshire sausage e una confenzione di pomodori per cena. Cerco' inutilmente dell'olio d'oliva, quindi si accontento' col burro. Lo spreadable, ovviamente, di una marca mai vista. Fra gli ingredienti vegetable oils non meglio identificati in percentuale del 36 per cento. Due panini dall'aspetto gia' rinsecchito era tutto cio' che rimaneva nel cestino del pane. Li mise in un sacchetto trasperente per alimenti che fece cadere nel cestino. Sale ne trovo' solo di roccia, in una scatola di cartone consumato che pareva aver preso l'umido.
-Do you have wine?- chiese alla proprietaria del negozio. Lo sguardo stolido con cui lo fisso' lo spinse a ripetere la domanda. "Ma che ha questa? E' sorda?"
-Go to the o' 'cense a' th' end o' road.- rispose infine la donna.
"Cazzo! Ma qui parlano peggio che a Londra?"
Marco annui, mormorando un thanks che l'altra ignoro'. Quindi raggiunse la cassa col suo cestino e lo appoggio' sul banco, occupandone l'ultimo spazio libero. La proprietaria prese una busta di plastica da sotto il banco, e letteralmete la getto' contro di lui. Marco non era ancora riuscito ad aprirlo quando la donna inizio' a prendere la roba dal cestino e poi a ributtarcela dentro. La scatola del burro lo urto' sulla pancia e ricadde nel cesto, quella del sale urto' contro il suo braccio che aveva allungato per prendere il burro e cadde in terra. Marco' si chino' per raccoglierlo, accompagnato da un grugnito sprezzante della donna.
-Twen' free an sixsy p-, disse la donna mentre Marco ancora doveva finire di mettere i suoi acquisti nel sacchetto che reggeva con la sinistra senza poterlo appoggiare da nessuna parte.
"Piu' caro che a Londra!" Il pensiero gli esplose letteralmente nel cervello, mentre la donna allungava una mano tesa sopra il cestino impedendogli di prendere il resto della roba. Esterrefatto Marco sfilo' il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e ne prese la carta di credito.
-Cash-, sibilo' la donna.
Marco la fisso' senza capire.
-Only cash.
Rimettendo la carta al suo posto Marco prese una banconota da venti e una da cinque sterline e le porse alla donna. Riprese a raccogliere i suoi acquisti ma la donna lo blocco' di nuovo, allungando la mano col resto sopra il cestino. Marco la lascio' rovesciare le monete del resto nella sua mano aperta e fece per mettersele in tasca, quando si rese conto che non erano abbastanza.
-It's wrong-, disse guardando la donna.
Quella sbuffo' e allungo' una mano nel cassetto del registratore di cassa, quindi sbatte' una moneta da una sterlina nella mano di Marco. Esterrefatto, Marco si caccio' le monete in tasca, afferro' il sacchettino del pane e le salsicce che ancora rimaneva nel cestello e si volto' per andarsene.
-Take i' back!- gli urlo' dietro la donna con voce stridula, sbatacchiando il cestello metallico sul piano del banco. Marco la ignoro', apri' con difficolta' la porta, avendo ambo le mani impegnate, quindi usci'. Si fermo' di fronte alla sua auto, scuotendo la testa. Era stato cosi' scioccato dalla maleducazione della donna che non era riuscito a reagire. Ancora scuotendo la testa armeggio' per mettere tutti gli acquisti nella busta.
In quel momento noto' che un uomo lo fissava dall'altro lato della strada. Non gli levava gli occhi di dosso, uno sguardo cupo e minaccioso. "Ma che hanno in questo posto?"
Il vino. La donna aveva detto di andare all'off license. Marco mosse un passo in direzione del negozio, poi si fermo'. L'idea di trovare un altro negoziante cafone come la donna lo agghiaccio'. Meglio bere acqua del rubinetto che affrontare un'altra persona simile. Reso impacciato dallo sguardo fisso dell'uomo sull'altro lato della strada, Marco apri' la portiera dell'auto, si sedette tenendo la busta della spesa in mano e schiacciandola fra il suo corpo ed il volante. Quando riusci' a liberarla la poso' sull'altro sedile, quindi armeggio' con la cintura di sicurezza che si era bloccata, ed infine parti' rinunciando ad allacciarla. Voleva togliersi da quello sguardo fisso e malevolo.

Rientro' a casa stremato. Letteralmente stremato. Fece uno sforzo per cucinarsi la cena, usando il burro per le salsicce e condendo i pomodori col solo sale. Mise tutto in un piatto, riempi' una caraffa d'acqua al rubinetto della cucina, e si sedette per mangiare.
Il primo pezzo di salsiccia gli ando' letteralmente di traverso. Quando smise di tossire, mezzo soffocato, verso' dell'acqua nel bicchiere e bevve. Com'era fresca! E quasi dolce! Gli ricordava l'acqua che beveva da ragazzo nei torrenti del Pratomagno, giu' in Italia. Posato il bicchiere, inforco' uno spicchio di pomodoro e se lo mise in bocca. Mastico' disgustato il vegetale insapore. Neanche il sale aveva sapore... Con un sospiro taglio' un altro pezzo di salsiccia.
"Smettila, e' solo autosuggestione. A Londra non e' che il cibo faccia meno schifo."
Come morse la salsiccia l'unto e il grasso che la impregnavano, con un retrogusto rancido, lo afferrarono alla gola. facendolo quasi vomitare. Si sforzo' di continuare a masticare, mettendosi in bocca anche uno spicchio di pomodoro per mitigare l'unto della carne. Mando' giu' il boccone ed allontano' disgustato il piatto. Mangiare quella roba era impossibile!
Bevve un sorso d'acqua per sciacquar via il sapore cattivo della salsiccia. L'acqua era cosi' dolce che ne bevve un altro lungo sorso. E prima di rendersene conto aveva bevuto l'intera caraffa.
Un po' sorpreso si alzo' per svuotare il piatto nella spazzatura, quindi lo lascio' nell'acquaio. Tempo di dormire, si disse. Sali' al piano di sopra, entro' nella spaziosa camera che si era scelto, dove sotto al cuscino del letto king size trovo' un pigiama della sua taglia. Lo indosso' e si infilo' sotto le coperte. Spense la luce della lampada sul comodino e dopo neanche un minuto dormiva.
E cominciarono gli incubi...


Taken home!


Monday, 5 August 2013

Una serata alla Bahavarian Beerhouse

       Sabato ho passato la serata con un gruppo di italiani, messi insieme da due social forum per una uscita (una di molte) organizzate apposta per conoscere nuove persone (cosa che gli inglesi non fanno ed addirittura troverebbero sospetta se glielo proponi) e reincontrare chi gia' si conosceva. Insomma, giusto per spendere un po' di tempo con persone con le quali la comunicazione e' piu' semplice. O per lo meno dovrebbe essere, ma non sempre lo e', purtroppo.
        Il locale scelto, la Bahavarian Beerhouse, lo ricordavo meno rumoroso, ma ci ero stato solo una volta precedentemente e magari ero capitato in una serata piu' tranquilla del normale. Questa volta il nostro gruppo di una quindicina di persone, arrivato li' dopo il pomeriggio passato al The Geffrye Museum, si e' trovato circondato da gruppi di inglesi, un paio li' per festeggiare il compleanno, uno per una festa (?) in maschera ed un altro per uno "Stag Do" party, ovvero un addio al celibato.
      Solo servizio al tavolo, alla Bahavarin Beerhouse, cosi' le cameriere non hanno i clienti tra i piedi alla mescita delle birre. E il nostro tavolo era servito da una cameriera (greca) con le tette che erano li' li' per esploderle fuori dal bustino. A parte che nel tentativo di ottenere una mancia ci si strusciava addosso ad ogni passaggio, e che quando veniva a prendere le ordinazioni ci piazzava le tette in faccia, ma se noi facevamo tanto di guardarla negli occhi lei diceva, candida candida: "No, caro, le mie tette sono piu' in basso." Qualcuno del gruppo e' stato visto comprare birre in boccali da 2 pinte che non avevano nessuna intenzione di bere.
       Beh, noi abbiamo trascorso la serata bevendo e mangiando e parlando, o per meglio dire urlando, al punto che quando ho lasciato il locale ero rauco. Ma fra gli inglesi che urlavano e un musicista che cantava canzoni bavaresi con l'amplificatore al massimo, non si poteva comunicare in altro modo che urlando. Alcuni aeroplanini di carta fatti con pagine del menu' sono cominciati a planare fra gli avventori, ad un certo punto della serata, mentre le urla delle persone agli altri tavoli subivano un deciso crescendo, fra birra bevuta dalle scarpe e cori di "Shame shame shame" (sul tune del nostro "scemo scemo scemo"), che non avrebbero avuto niente di strano non fosse che erano indirizzati ad un poveretto che, sedutosi troppo in punta ad una panca, l'aveva ribaltata, e che sono andati avanti per 10 minuti buoni senza interruzioni. Ho visto solo un paio di ubriachi (ma era ancora presto): un ragazzo in kilt scozzese che e' stato riaccompagnato a casa (?) con lo sballo allegro da un paio di amici, ed un altro che quando me ne sono andato se ne stava ancora seduto su una panca per lo piu' ignorato dagli amici e in preda dello sballo triste.
       Il pezzo forte, pero', e' stato nel gruppo dello Stag do party. Dopo aver dovuto subire la cameriera greca che gli scriveva in faccia "Almost married" (e fin qui posso capire che non abbia protestato anche perche' aveva il naso ficcato praticamente fra le tette della tipa), il futuro sposo ha dovuto poi sottoporsi a quanto potete vedere nelle foto, compreso ballare con un ragazzo di un altro gruppo (e qui la cameriera non c'era piu', quindi mi resta un po' piu' arduo comprendere come ci si possa far umiliare in questo modo).




      Comunque, contento lui...

      Rientrando a casa per entrare nella tube abbiamo dovuto aprirci un varco in un flusso contrario di persone: per mezza Londra la serata cominciava quando per noi stava finendo.

Saturday, 3 August 2013

La Zona del Crepuscolo

   
Ormai e' un'abitudine. Gli occhi si aprono da soli ben prima che la sveglia suoni, la mente immediatamente sveglia e attivamente lucida. Poco importa che oggi la sveglia non dovesse suonare. Come al solito ci ho messo un poco a realizzare che potevo dormire ancora, che non avevo impegni di lavoro. E come d'abitudine non ho ripreso sonno.
      Sono rimasto a guardare cio' che si vede dalle due finestre aperte sulla parete alla sinistra del mio letto: un riquadro immobile, come bloccato nel tempo, avvolto da una luce grigia che non si capisce da dove provenga, soffusa nell'aria, che giunge da ogni direzione, mentre il sole si trova ancora ben sotto l'orizzonte. Il cielo aveva questa luminosita' grigia e i rami di una quercia vi si stagliavano contro, delineati in ogni foglia. Immobili. L'aria stessa era immobile, immobile e silenziosa. Il Crepuscolo. E questa porzione di tempo, fra quando il Mondo sfugge al mantello della notte e prima di cadere nelle fauci del sole, questa porzione di tempo e' la sua Zona. Non uno spazio fisico, bensi' uno spazio temporale, durante cui il respiro e' trattenuto, niente si muove, nessuna creatura fatta di carne infesta apertamente le sue strade e i suoi campi. In questo momento il Mondo puo' pretendere di essere qualunque cosa, puo' pretendere di essere un luogo migliore.
       Poi un colpo di vento ha rotto l'incanto, ha agitato i rami della quercia, ha riportato il suono nel mondo e i liquidi confini del Crepuscolo si sono disfatti, sono ruscellati come mercurio e scomparsi come rugiada al sole. Dal lago si sono levati gli starnazzamenti delle oche selvatiche, che chiamandosi l'un altra dai vari punti dell'isoletta boscosa su cui dormono si sono organizzate in gruppi, hanno raggiunto la riva e attraversato la fascia di alte erbe sbiancate da oltre un mese di inusuale sole estivo, per venire a pascolare sul prato del parco. Poco fa il sole e' sorto, rosso e cangiante, colpendomi direttamente sul viso mentre ancora ero disteso sul letto, insinuando i suoi raggi fra l'orizzonte e la chioma di una quercia. Le foglie della quercia, coperte di rugiada, riflettevano la luce del sole. Potevo perfino vedere il filo di una ragnatela lontano almeno venti metri metri, sottilo filo di luce teso fra due rami.
        Il sole ed il rumore hanno fatto il loro ingresso nel Mondo anche oggi: lo starnazzare delle anatre e il rombo distante e continuo degli aerei nel cielo di Londra, voci umane e veicoli a motore. Il Crepuscolo e' scomparso, cosi' come una bolla di sapone scompare se la tocchi col dito. Tornera' domani, sfuggira' dall'abbraccio della notte, per fronteggiare il sole inconsapevole. E per un breve tempo ancora il Mondo potra' pretendere di essere un luogo migliore.

Friday, 2 August 2013

Son pochi i danari... son pochi... son pochi...

   
Alla fine, un mormorar più forte della folla che occupava i luoghi superiori fece volgere a tutti il viso verso quella parte, e passando di bocca in bocca giunse la nuova, che già si scorgeva il drappello francese. Pochi minuti dopo compariva alla voltata d'una strada, che usciva di dietro una collina, ed avanzandosi, venne a porsi in battaglia nella parte superiore del campo, volgendo la fronte al mare. Scavalcati i guerrieri ed un centinajo e mezzo di compagni ed amici che eran con loro, lasciaron ai famigli i cavalli, e, saliti al luogo dei giudici, si dispersero sotto i lecci aspettando l'arrivo degli Italiani. Sulla strada di Barletta un nuvolo di polvere, fra il quale si potè presto distinguere il lampeggiar dell'armi, mostrò che non eran per farsi troppo aspettare. Le turbe sin allora disperse si strinsero ai confini della lizza, studiando ognuno di cacciarsi avanti, malgrado che i fanti di guardia, con que' modi amorevoli che in ogni tempo ha sempre usato la soldatesca in simili occasioni, battendo sul suolo, e talvolta sulle punte dei piedi i calci delle ronche e delle picche, ricacciassero indietro l'onda che tentava di sopraffarli.
     Giunsero gl'Italiani, si fermarono in faccia ai loro avversarj nell'ordinanza medesima, e scavalcati, salirono anch'essi sul rialzo degli elci. Dopo i saluti e le cortesie scambievoli, il signor Prospero e Bajardo, che erano i due padrini, s'abboccarono, e decisero che prima di tutto conveniva trarre a sorte i giudici. Il lettore si maraviglierà, son certo, di non trovar il famoso Bajardo fra i combattenti in così importante occasione, e vederlo invece adempiere le parti di padrino: gli dirò dunque che non ne abbiam provata minor maraviglia di lui, nè sapremmo formar su questo fatto altra congettura se non supporre che qualche ferita non interamente sanata gl'impedisse di trattar l'armi, o che forse la quartana che lo travagliava in quel tempo, troppo gli scemasse le forze: a ogni modo sappiamo certissimo che egli non era fra i campioni.
     Scritti dunque i nomi di alcuni caporali de' due eserciti spagnuoli, francesi ed italiani in egual numero; rotolati i brevi, e posti in un elmo, cadde la sorte su Fabrizio Colonna, Aubignì e Diego Garcia di Paredes; i quali, sedendo al luogo preparato per loro, aprirono su una tavola il libro dei Vangeli, e ricevettero il giuramento de' ventisei guerrieri: col quale s'impegnavano a non adoperar frode nel combattere; asserivano non aver incanti nè sui loro corpi, nè sull'arme; ed incontrar quel cimento valendosi della sola virtù e delle forze naturali. Furon letti di nuovo ad alta voce i patti coi quali si rimaneva d'accordo che ogni uomo potesse riscattar sè, l'arme e 'l cavallo mediante cento ducati: ed uno fra gl'Italiani, votando sulla tavola il sacco del danaro che avean recato, lo contò, e lo consegnò ai giudici. S'aspettava quindi che i Francesi facessero
altrettanto: visto che nessuno si moveva, Prospero Colonna disse loro più modestamente che potè: 
— Signori, e il vostro danaro?
Si fece avanti La Motta, e rispose sorridendo: — Signor Prospero, vedrete che questo basterà. Montò la stizza al barone romano per la millanteria inopportuna, ma si frenò, e disse soltanto: — Prima di vender la pelle conviene ammazzar l'orso. Ma non importa; e quantunque fosse patto fra noi di portar il riscatto, neppur per questo non vogliamo metter ostacoli alla battaglia. Signori, — aggiunse poi volto ai suoi, — avete udito: questo cavaliere tien la cosa per fatta; sta a voi a chiarirlo del suo errore.
     Sarà inutile il dire che' questi modi sprezzanti fecero ribollire il sangue agl'Italiani, ma nessuno rispose nè a La Motta, nè al signor Prospero, fuorchè con qualche digrigno, o qualche occhiata fulminante. Terminati questi apparecchi, furon dai giudici licenziate le due parti e data loro una mezz'ora per prepararsi; dopo la quale un trombetta a cavallo, situato all'ombra degli elci, accanto ai giudici, darebbe tre squilli di tromba, segnale dell'assalto.
     Ritornati a' loro cavalli e montati in sella, furon dai padrini disposti in fila a quattro passi di distanza l'uno dall'altro; e tanto il Colonna quanto Bajardo osservarono di nuovo i barbazzali, le cigne delle selle, le corregge e le fibbie dell'armature; e, se v'eran occhi esercitati ne' due campi, eran senza dubbio i loro.
     Finita questa rivista, fermato il cavallo nel mezzo della linea, il signor Prospero disse ad
alta voce: — Signori! non crediate ch'io voglia dirvi parola per eccitarvi a combattere da uomini pari vostri: vedo fra voi Lombardi, Napoletani, Romani, Siciliani. Non siete forse tutti figli d'Italia ugualmente? Non sarà ugualmente diviso fra voi l'onore della vittoria? Non siete voi a fronte di stranieri che gridan gl'Italiani codardi? Una cosa sola vi dico: vedete là quel traditor scellerato, Grajano d'Asti. Egli combatte per mantener l'infamia sul capo de' suoi compagni!... m'intendete!... Ch'egli non esca vivo di questo campo.
[...]
     Un araldo alla fine venne avanti in mezzo al campo, e bandì ad alta voce, che alcuno non ardisse favorire o disfavorire nessuna delle parti nè con fatti, nè con voci, nè con cenni: ritornato presso i giudici, il trombetta diede il primo squillo di tromba: diede il secondo... si sarebbe sentito volar una mosca: diede il terzo, i cavalieri con moto simultaneo allentate le briglie, curvati i dorsi sul collo dei cavalli, e piantando spronate che li levavan di peso, si scagliarono a slanci prima, poi di carriera serrata rapidissima gli uni su gli altri, levando il grido viva Italia! da una parte, e viva Francia! dall'altra, che s'udì fino al mare. Avean circa centocinquanta passi da correre per incontrarsi. S'alzò a poco a poco la polvere, crebbe, si fece più densa, gli avvolse prima che si fossero giunti, li coperse e nascose affatto come un nuvolo quando si dieder di cozzo, urtandosi i cavalli fronte contra fronte, e i cavalieri rompendo le lance sugli scudi e le corazze degli avversarj con quel fragore che produce una frana di massi che rovinano su un pendìo senza ostacoli da prima, poi trova una selva nella quale si caccia, e fiacca, sradica, fracassa ciò che trova. Fu tolto così agli spettatori la vista del primo scontro, ed appena in quell'ammasso confuso e polveroso d'uomini e di cavalli potevan distinguere il balenar dell'armi percosse dal sole, e qualche brano di penne, che la furia dei colpi aveva lacerate, volare avvolgendosi in quel turbine, ed allontanarsene poi sollevati dal vento. Il frastuono rimbombò per le valli dei dintorni; Diego Garcia si percosse col pugno sulla coscia per la maraviglia e per la smania di non esser anch'esso là in mezzo; e questo fu il solo atto che si notasse fra gli spettatori attoniti ed immoti.
     Rimase per alcuni secondi riunito quel gruppo di battaglia, ed un certo luccicar più sottile che qua e là balenava a traverso la polvere, mostrò che i cavalieri avevan posto mano alle spade: s'udiva uno scrosciar di ferri, un martellar così a minuto, come se in quello spazio fossero state in opera dieci paja d'incudini. Tutto quell'ammasso pieno d'una luce vivissima, e direi guizzante in se stessa, era simile ad una macchina di fuoco d'artifizio, quando è velata in parte dal fumo: tanto era complicato e rapido il muoversi, lo stringersi, l'aprirsi, il ravvolgersi che faceva in tutte le sue parti.
      L'ansietà di poter veder qualche cosa e sapere a chi toccasse il primo onore, era tale che ormai si stava per prorompere in grida; e già s'udiva un crescente bisbiglio, che fu però soffocato dai cenni degli araldi, non meno che dal vedere uscir fuori da quel viluppo un cavallo sciolto, talmente coperto di polvere, che neppur più si capiva di che colore avesse la sella: scorrendo pel campo di mezzo galoppo si trascinava fra le zampe la briglia mezza lacerata, e, mettendovi su or un piede, or un altro, si veniva dando strappate al freno che gli facevan abbassar il capo, e lo mettevano a rischio di cadere; una larga ferita dietro la spalla versava una fontana di sangue nero e segnava la traccia; dopo non molti passi cadde sulle ginocchia sfinito, e si arrovesciò sul terreno. Fu conosciuto esser della parte francese.
      Gli uomini d'arme intanto accoppiatisi combattevano spada a spada, e così due a due dando e ribattendo quei grandissimi colpi, e volteggiandosi intorno scambievolmente, per torre il lor vantaggio, venivan dilatando la zuffa serrata dal primo assalto; la polvere cacciata dal vento più non toglieva la vista dei combattenti; si conobbe che l'uomo d'armi scavalcato era Martellin de Lambris. Fanfulla, per disgrazia del Francese, gli si trovò contra, e con quella sua pazza furia, nella quale era pur molta virtù e somma perizia, gli appiccò alla visiera la lancia in modo che lo spinse quant'era lunga a fargli assaggiar s'era soda la terra, e nel fare il bel colpo alzò la voce in modo che s'udì fra tanto strepito, e gridò: — E uno! — poi vedendosi non lontano La Motta che al colpo di Fieramosca avea perduta una staffa, seguitava: — I danari non basteranno... sono pochi i danari...
[...]
     Nel tempo impiegato a conseguir questa prima vittoria, Ettore Fieramosca aveva bensì colla lancia fatto staffeggiare La Motta, ma non gli era riuscito scavalcarlo. Era d'altra forza, e d'altro valore che il prigioniere di Fanfulla. Fieramosca geloso dell'onore riportato da questo, avea cominciato colla spada a lavorare in modo che lo sprezzatore degli Italiani con tutta la sua virtù a stento potea stargli contra. Le ingiurie profferite da lui la sera della cena, quando avea detto che un uomo d'arme francese non si sarebbe degnato aver un Italiano per ragazzo di stalla, tornarono in mente a Fieramosca; e mentre spesseggiava stoccate e fendenti, schiodando e rompendo l'arnese del suo nemico, e talvolta ferendolo, gli diceva con ischerno: — Almeno la striglia la sappiamo menare? Ajutati, ajutati, che ora son fatti, e non parole.
      Non potè colui sopportar lo scherno, e menò un colpo al capo con tal furia che, non giugnendo Ettore ad opporre lo scudo, tentò ribatterlo colla spada; ma non resse, volò in pezzi, e quella del Francese cadendo sul collarino della corazza lo tagliò netto, e ferì la spalla poco sopra la clavicola. Fieramosca non aspettò il secondo: spintosi sotto, l'abbracciò tentando batterlo in terra; l'altro, lasciata la spada pendente, tentava di sferrarsi. Ciò appunto volea Fieramosca: sviluppatosi da lui prima che avesse potuto riprender la spada, dato di sprone al cavallo, lo fece lanciarsi da una parte; ed ebbe tempo di spiccar l'azza che pendea dall'arcione, colla quale tornò addosso all'avversario.
      Il buon destriere di Fieramosca ammaestrato ad ogni qualità di battaglia, cominciò, avvertito da un leggier cenno di briglia e di sprone, a rizzarsi come un ariete che voglia cozzare, e far volate avanti, senza mai scostarsi tanto dall'avversario che il suo signore non lo potesse giungere. Vedendolo lavorare con tanta intelligenza, pensava Fieramosca: "Ho pur fatto bene a condurti meco!". E si portò tanto virtuosamente coll'azza, che venne riacquistando sul Francese il vantaggio che aveva perduto.
       La zuffa di questi antagonisti che potean dirsi i migliori delle due parti, se non decideva della somma della battaglia, quasi però avrebbe deciso dell'onore. Sarebbe stato doppio biasimo per La Motta esser vinto, avendo egli manifestato tanto disprezzo pe' suoi nemici; doppia gloria a Fieramosca il riportarne vittoria. I suoi compagni, conoscendo che egli era atto a tal impresa, si guardarono dal prendervi parte; si guardavano anche i Francesi dal porgere ajuto al loro campione, onde non si dicesse che dopo tanti vanti non gli era bastata la vista di star contra un solo. Perciò, quasi senz'avvedersene, per alcuni minuti restaron tutti dal combattere fissando gli occhi ne' due guerrieri. In questi pensieri che abbiam accennati produssero un incredibile impegno di vincere, e combattevano con un accanimento, un'attenzione a non commetter errori, un'alacrità a profittar dei vantaggi, che la loro zuffa poteva dirsi un modello dell'arte cavalleresca.
      Diego Garcia di Paredes, che avea passata la sua vita nei fatti d'arme, pur colpito da maraviglia alla vista di così maestrevole battaglia, non potendo più star alle mosse, si era alzato in piedi; poi, venuto sull'estremo ciglio del greppo che dominava il campo, gli stava guardando avidamente. Veduto da lontano, con quel suo busto gigantesco piantato su due gambe erculee, e colle braccia naturalmente pendenti, pareva immobile al pari d'una statua; ma, ai vicini, il contrarsi de' muscoli sotto le strette vesti di pelle che portava, lo stringer delle pugna, e più di tutto lo sfavillar degli occhi, palesavano quanto bollisse internamente, e si rodesse di non poter essere ivi altro che spettatore.
      I riguardi che impedivano agli altri di turbar questa battaglia, o non vennero in mente, o non furon curati da Fanfulla che, lasciato il signor Prospero, veniva scorrendo pel campo; punse il cavallo, e colla spada in alto si serrò contro La Motta. Se n'avvide Ettore e gli gridò: —Indietro! — ma ciò non bastando, spinse il cavallo in traverso a quello del Lodigiano, e col calcio dell'azza gli diede a man rovescia sul petto onde con poco buon garbo gli fece rattener le briglie: — Basto io per costui, e son di troppo, — gli disse istizzito.
      Fu da tutti lodato l'atto cortese verso La Motta fuorchè da Fanfulla, che prorompendo in una di quelle esclamazioni italiane che non si possono scrivere, disse, mezzo in collera mezzo in riso: — Hai la lingua nelle mani!
     Voltò il cavallo, e messosi a guisa di pazzo fra i nimici, gli sconvolse senza assalirne nessuno in particolare; e finito così quel momento d'inazione, si rinnovò più calda che mai la battaglia. Fin dal principio, Brancaleone fisso nel suo proposito avea corso la lancia con Grajano d'Asti, e la fortuna si era mostrata uguale fra loro. Venuti alla spada, si mantennero ancora senza deciso vantaggio per nessun de' due: Brancaleone era forse superiore al suo nemico per robustezza ed anche per maestria, ma il Piemontese era gran giocator di tempo; e chi conosce l'arte dello schermire, sa quanto sia utile questa qualità.
      Fra i combattenti dell'altre coppie la vittoria era per tutto in forse, e quantunque la battaglia non durasse che da un'ora e mezzo circa, era stata però tanto ostinata e calda che si poteva facilmente conoscere gli uomini ed i cavalli aver bisogno d'un breve respiro, che venne loro conceduto di comune accordo dai giudici. La tromba ne diede il segno, ed i re d'armi entrando in mezzo spartirono i combattenti.
     Quel bisbiglio che udiamo sorger istantaneo nei nostri teatri al calar del sipario dopo uno spettacolo che si sia cattivata l'attenzione degli spettatori, nacque egualmente fra le turbe che circondavano il campo. I cavalieri tornati alla prima ordinanza scavalcarono: chi si traea la barbuta per rinfrescarsi la fronte e tergerne il sudore; chi, trovando l'arnese o la bardatura de' cavalli guasta in qualche parte, s'ingegnava di racconciarla. I cavalli, scotendo il capo e dimenando le mascelle, cercavan sollievo al dolore cagionato dalle scosse de' freni. E non sentendo più l'uomo in sella, si piantavan sulle quattro zampe, ed a capo basso davano un crollo prolungato facendo risonare le loro armature. I venditori del contorno trovandosi a polmoni freschi, alzaron più alte le grida, e i due padrini, mossi i cavalli, vennero a trovare i loro guerrieri.
      Per la prigonia d'uno de' Francesi, e per trovarsi gli altri malmenati e feriti quasi tutti, fu giudicato da ognuno, gli Italiani aver la meglio; e fra i molti che aveano scommesso per l'una o per l'altra parte, quelli che tenevan pe' primi cominciavano ad accigliarsi ed a dubitare. Il buon Bajardo aveva troppa esperienza di simili fatti per non accorgersi che le cose voltavan male pe' suoi. Studiando di non mostrar questo sospetto, gli incoraggiava, li poneva in ordinanza e veniva ricordando ad ognuno le regole dell'arte, i colpi da tentarsi ed il modo di difendersi.
      Prospero Colonna che vedeva i suoi avere minor bisogno di riposo per esser meno maltrattati dei nemici, dopo una mezz'ora, domandò che si riprendesse la battaglia, ed i giudici ne fecero dare il cenno. I cavalli, ai quali un ansar frequente facea ancora battere i fianchi, stimolati dallo sprone rialzarono il capo; e si lanciaron di nuovo gli uni contra gli altri. Ormai la vittoria si dovea decidere in pochi momenti: crebbe il silenzio, l'immobilità negli spettatori, l'accanimento e la furia nei combattenti. Le gale del vestire, le penne, gli ornamenti eran volati in brani, o bruttati di polvere e di sangue. Dal fianco di Fieramosca pendeva tagliata da un fendente la sua tracolla azzurra, l'elmo era rimasto nudo e basso, ma egli, ferito soltanto leggermente nel collo, si sentiva gagliardo del resto, e stringeva La Motta col quale si era di nuovo accozzato. Fanfulla avea a fronte Jacques de Guignes. Brancaleone seguitava la sua battaglia con Grajano, avvisando al modo di coglierlo sull'elmo, e gli altri compagni qua e là per il campo si raggiravano accoppiati coi Francesi combattendo la maggior parte coll'azza, e stringendoli mirabilmente.
      A un tratto s'alzò un grido fra gli spettatori: tutti, e persino i combattenti, volgendosi per conoscerne la causa, videro che la zuffa tra Brancaleone e Grajano era finita. Questi, curvo sul collo del destriere, coll'elmo ed il cranio aperti pel traverso, perdeva a catinelle il sangue che scorreva nei buchi della visiera sull'arme e giù per le gambe del cavallo, il quale stampava le pedate sanguigne. Rovinò in terra alla fine, e risonò sul suolo come un sacco pieno di ferraglia.
       Brancaleone alzò l'azza sanguinosa brandendola sul capo, e gridò con voce maschia e terribile:
— Viva l'Italia: e così vadano i traditor rinnegati!


da "Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta" di Massimo D'Azeglio

Wednesday, 31 July 2013

Una giornata a Pratolino fra gli americani e il "buon" vino

      Qualche anno fa, in Italia, un amico americano, direttore della succursale fiorentina di una universita' dell'Arkansas, mi chiese una mano nell'organizzazione di una festa. Per chi non lo sapesse ci sono (o c'erano) ben 16 universita' americane con una succursale a Firenze e dintorni, il che significa un bel numero di studenti americani sul suolo italiano, a cui vanno aggiunti quelli delle basi militari e quelli che si trovano in Italia per lavoro. Insomma, un numero sufficientemente alto perche' valga la pena organizzare un party in grande stile per l' Independence Day, che negli USA cade il 4 luglio, ma che gli americani in Italia festeggiano il sabato piu' vicino al 4 luglio. Lo fanno ogni anno a Pratolino, sopra Firenze, nel Parco di Villa Demidoff, facente parte delle proprieta' della famiglia Demidoff (in origine origine era di una villa medicea, veramente). Si ritrovano da Firenze, da Roma (viene anche 
l'Ambasciatore Americano) e dalle basi militari. Molto meno formali degli italiani, diplomatici, studenti, professori e soldati si mescolano e lavorano come volontari per organizzare il party. Ovviamente non manca la Firenze Bene: Sindaco e Assessori, industrialotti in giacca e cravatta, con le signore che non fosse per il caldo afoso dell'estate fiorentina verrebbero in pelliccia (dovrebbero trasferirsi a Londra, tra l'altro qui nessuno nota se giri in pelliccia a luglio o in bermuda e infradito a Natale). E non mancano gli sponsor, aziende varie che per l'opportunita' di presentarsi a tali personalita' riforniscono il party di cibo e bevande gratis. Quando andai io c'era anche McDonalds: meglio gli hamburger pieni di ormoni di Camp Darby che quelli lavati nell' ammoniaca di McDonalds. Quelli militari sono piu' grossi e saporiti.
     Ma torniamo a me e all'aiuto richiestomi. Una cosa semplice: dovevo venire col mio camion per trasportare dei tavolini da Scandicci (sede dell'universita') al Parco (sede del party). Ovviamente ero invitato con la famiglia. Venne solo mio figlio, bimbetto all'epoca dei fatti, ma poco importa ai fini di questo racconto. Bene, caricati i tavolini a Scandicci, trasportati e scaricati i tavolini al Parco, ero libero di divertirmi. Giocai un poco a frisbee, giocai un poco a pallavolo, mangiai qualche hamburger e qualche hot dog, e poi cominciai ad annoiarmi. Ero sposato e quindi non potevo certo correre dietro alle studentesse americane, ed ero piu' abituato a lavorare che a giocare. Quindi mi offrii di aiutare.
        "Certo che puoi!" mi rispose Robby. "Puoi servire il vino, che' i ragazzi non lo possono toccare."
       Dovete sapere che gli studenti di molte universita' cristiane, negli USA, firmano un contratto, per essere accettati nel college, in cui si impegnano a non toccare alcolici per tutto il tempo degli studi. E intendo proprio toccare, non intendo bere. Pena la sospensione. Questo creava qualche problema, dato che i volontari ai tavoli dove distribuivano da mangiare e da bere erano tutti studenti che avevano firmato questo agreement. E di vino da servire ce n'era in abbondanza. Una stanza piena di scatole e casse di Chianti, Brunello e Rosso di Montalcino, Barolo e Barbera, e molti altri ancora. Fra gli altri, due bottiglie azzurre di Ice Wine tedesco (porcheria assurda di cui parlero' un'altra volta, magari) e numerosi tetrapack da 5 litri ciascuno di vino Ronco. Vi ricordate quella pubblicita' in cui la moglie si alza da una tavola con ospiti, va in cucina, riempie una caraffa di vino e poi col dito in bocca fa il rumore del bottiglia stappata? La scena in cui lei fa il gesto dell'ombrello agli ospiti che non possono vederla e' stata tagliata, ma vi assicuro che nello spot originale c'era. Non sono sicuro, comunque, che fosse lo spot del Ronco o di un altro pseudo-vino, ma ci siamo capiti.
        Dunque, offertomi volontario, sguscio in veste di ospite sotto la fila di tavoli su cui e' disposto il cibo e risorgo sull'altro lato in qualita' di mescitore di vini, con tanto di cavatappi. Non era d'argento, pero'. Inizio a stappare bottiglie di vino a tutta manetta, fra le esclamazioni di giubilo degli ospiti italiani, i quali faticavano a mandare giu' minestra di pane, insalata russa, affettati ed altre prelibatezze del catering con Coca-Cola, Fanta e Sprite. Del buon vino to wash down tutto quel cibo ci voleva proprio.
        Il pomeriggio scorre pigro, ora dopo ora, portata dopo portata, e bicchiere dopo bicchiere. Di fronte ai tavoli del cibo e' tutto un milling di uomini e donne, che si intensifica nell'angolo dove mi trovo io. E dove si trovano le bottiglie di vino, ovviamente. Ci sono pure i Bersaglieri e gli Sbandieratori di Firenze, che hanno fatto parte dell'intrattenimento e ora si godono un paio di bicchieri. Paio? Vedevo le stesse facce ricomparire ogni dieci minuti. Sebbene indaffarato a stappar bottiglie, ci scappava qualche chiacchiera, ora con la signora ingioiellata, ora con l'imprenditore strozzato dalla cravatta (avevamo intorno ai 40 gradi, quel giorno, anche se la tipica afa fiorentina non era riuscita a salire fino in collina). Complice qualche richiesta di consiglio, ho cominciato a darmi arie da sommelier, aiutato nell'inganno dalle mie conoscenze di agraria. "Cosa mi consigli con la minestra di pane?" "Sicuramente un Chianti che e' piu' tanninico!" Del resto nella ribollita ci sono fagioli e cotica, i' tannino ci vole sihuramente!
       
Quelli trincavano piu' di Nonno Trinchetto, e non erano ancora le 6 di sera quando il vino fini'. Rimanevano solo le due bottiglie azzurre di Ice Wine tedesco (argh!) e una parete di tetrapack di Ronco. Leggete "una parete di tetrapack di Ronco" col tono fatalistico di Fantozzi. Voi avreste osato portare in tavola il Ronco, dopo che quelli si erano scolati Chianti, Barbera, Barolo, Rosso e Brunello? Si bevevano pure la Montalcini se faceva tanto di apparire. Be', io osai. Sotto gli sguardi increduli di Bersaglieri e fiorentini della Firenze Bene, mi presentai con questi scatoloni di risciacquatura dei tini e glieli piazzai li'.
       Servitevi.
      E loro si servirono. "Alessiooo", mi fece una voce di donna, lamentosa e anche un poco alticcia, "ma non ce n'e' piu' di quello buono?" "Mi spiace", risposi contrito (e lo ero veramente, c'era da rischiare il linciaggio), "ma e' rimasto solo questo." Quindici minuti e mi ritrovai il tavolo coperto da bicchieri di plastica pieni fino all'orlo di vino assaggiato e lasciato li'. Il Ronco era stato schifato perfino da un Alpino di passaggio. Urgeva un rimedio.
      "David", dissi a un ragazzo troppo giovane per essere iscritto all'universita', "dammi una mano. Prendi tutti i bicchieri col vino, anche quelli dove ci hanno sputato dentro, e portali nell'altra stanza, dove nessuno ci vede."
        E nella stanza sul retro, attorniato dai tetrapack di Ronco e davanti ad un tavolo coperto di bicchieri pieni del medesimo liquido, mi applicai ad una azione degna delle Nozze di Cana. Prese le bottiglie di vino svuotate dai Santi Bevitori fuori nel Parco, le riempii di Ronco. Sia dai tetrapack che dai bicchieri sbevazzati. Gesu' trasformo' l'acqua in vino, io trasformai il Ronco in Chianti, Rosso, Brunello, Barolo e Barbera. Me ne tornai esultante da fuori con le bottiglie ripienate. "Mi ero sbagliato!" annunciai. "Avevano messo delle scatole di vino in un'altra stanza e non lo sapevo." E ripresi a portare bottiglie di vino buono al banco.
        "Sicuramente", penserete voi, "quelli se ne sono accorti." "E a quel punto si' che ti hanno linciato." "Avrai corso piu' veloce di un ghepardo per salvare la buccia." E invece no! Quelli han bevuto senza accorgersi di niente e quando se ne sono andati il Ronco (fornito in quantita' industriale dallo sponsor - non so chi fosse il folle) era quasi terminato. Era stato bevuto pure l'Ice Wine...
        Beh, io, vi assicuro, non vi so dire se un vino e' buono oppure no; pero' vi so dire se mi piace o no. Cosa che, a quanto pare, la maggior parte della gente non e' in grado di fare. Si fa sviare dall'etichetta. Capita anche a voi?

       La giornata fini' verso mezzanotte, con una ventina di studenti che necessitavano di raggiungere la strada principale caricati sul cassone del camion. Arrivati in cima al Parco sollevai il ribaltabile. Solo un pochino, per fargli prender paura. 

      Ah, me ne tornai a casa con alcune bottiglie di vino. Di quello buono, ovviamente.

Monday, 29 July 2013

Purtroppo non ho scattato nessuna foto

       Londra era, in principio, solo il primo passo del mio viaggio. Una tappa forzata nella ricerca di un lavoro in una terra dove non conoscevo niente e nessuno. La stessa lingua inglese la conoscevo a malapena a sufficienza da farmi capire. Spesso a fatica. Poi, l'alterna onnipotenza delle umane sorti mi hanno costretto a rimanenere nella capitale britannica, i sentimenti provati per la quale ritengo di averli ampiamente spiegati altrove. Ma da lungo tempo nutro l'idea che la possibilita' di vivere lontano da Londra mi riappacificherebbe col Regno Unito. Ora ne ho la certezza.
       Il fine settimana appena trascorso sono stato in Galles. Ho noleggiato un'auto e, insieme alla mia ragazza, siamo andati a trovare un amico che vive nelle valli a nord di Cardiff. Circa 300 chilometri attraverso le campagne inglesi e poi gallesi. La campagna inglese e' piatta, divisa in campi recintati e priva di boschi, sebbene alberi siano stati piantati in fasce frangirumore lungo tutte le strade e in filari a delimitare le proprieta'. I pochi boschetti che si incontrano li attraversi a piedi in un tempo non superiore ai 30 minuti. Datele un'occhiata con Google Earth per rendervi conto di come sia. Disegnata col righello. Al contrario delle sue strade che, non si perche', non riescono ad andare diritte per neanche un chilometro, ma ondeggiano come serpenti in ogni direzione. Forse volevano farle passare vicino ad ogni centro abitato, oppure hanno dovuto evitare delle proprieta'. Non saprei dire, ora come ora. Manco a fare le strade dritte hanno imparato dai Romani.
        Il cambiamento, entrando in Galles, e' graduale. In principio cambia la vegetazione: ci sono piu' pini marittimi, piu' felci, il colore e' piu' verde. D'improvviso cominciano i rilievi. Niente a che vedere con l'Appennino, ma i crinali sono coperti di boschi, oppure di eriche e altra vegetazione arbustiva tipo il common gorse, la' dove la roccia affiora in superficie o le pendenze sono eccessive per il bosco. Si sentono anche gli odori, del bosco. Non forti come in Italia, ma dopo Londra sono apprezzabilissimi. La viabilita' non e' incasinata come nell'area londinese e dintorni, anche se la segnaletica in inglese e gaelico mi ha messo un po' in difficolta'; le strade molto meno trafficate. Perfino le case sono costruite meglio che in inghilterra. Un poco ripetitive, magari, tirate su a schiere che spesso seguono le isoipse delle colline, in file spesso color confetto, ma con muri in pietra propriamente eretti (quelli esterni e i portanti, per lo meno). Con buoni infissi, tetti robusti e pavimenti e scale stabili che non cigolano e minacciano di cedere sotto il tuo peso appena ci appoggi un piede sopra.
       In due giorni, piu' il viaggio di andata di venerdi' pomeriggio e quello di ritorno di questa mattina, ho avuto la possibilita' di avere una buona vista delle zone costiere di Newport, delle valli a nord di Cardiff, di Caerphilly e del suo festival medioevale, e della campagna tra Cardiff e Swansea. Per quello che ho visto non posso che dire che il Galles e' molto ma molto piu' bello dell'inghilterra. Non che ne conosca una vasta area, intendiamoci: conosco l'Hertfordshire per averci abitato (che poi e' uguale al Cambridgeshire e mi sa anche alle altre contee confinanti), conosco il Berkshire e il Surrey per averci lavorato, il Kent e il Sussex per averci viaggiato. Non una conoscenza approfondita, certo. Ma che devo dire: sara' che i boschi del Galles assomigliano a quelli dell'Appennino e ci puoi trovare pure i funghi, ma a me il Galles piace. Mi ci trasferirei seduta stante, avendone la possibilita'. Ho visto segni che mi fanno pensare che anche il giardinaggio sia condotto con uno stile piu' simile a quello italiano. Insomma, credo che mi ci troverei bene.
        Qualcuno non ha mancato di farmi notare alcuni lati negativi, ovviamente. Il tempo molto piu' variabile e piovoso di Londra e le donne "che sono inguardabili". Piovere piove effettivamente piu' che a Londra, dove le precipitazioni annue sono meno che a Dallas e Roma ma distribuite su piu' giorni in una pioggerellina, la drizzle, che non arriva neanche a bagnare il suolo. Rompe solo i coglioni. In Galles le precipitazioni sono piu' forti, come in Italia, e alla grigia monotonia londinese si sostituisce una variabilita' fatta di acquazzoni e cielo aperto e pulito, con nubi basse che passano veloci. In quanto alle donne, hanno, effettivamente, la tendenza a svaccare in giovane eta', probabilmente per una conincidenza di fattori genetici e cattiva alimentazione. Ma questo problema non mi riguarda. Una donna inglese mi ha spiegato la cosa con un commento sprezzante: "Mangiano tutti male la', come in Scozzia." Certo, in Inghilterra mangiano bene... Poi ha aggiunto: "Mangiano e bevono. Vivono tutti di benefits." Che strano, mi e' sembrato che parlasse di Londra e dintorni...
        Durante il viaggio dalla campagna inglese a quella gallese, mi e' venuto da pensare che Tolkien, quando a creato Mordor pensasse a Londra. Ci sta tutta, se si identificano i signorotti inglesi di campagna con gli Hobbits: Londra, vista come concetto di crescita economica, ha depauperato la naturale bellezza della campagna inglese, distruggendo lo stile di vita delle sue popolazioni, lasciando una pianura che, sebbene a primo acchitto possa apparire bella, e' in realta' monotona e squallida. Cosi' come la citta' di Londra stessa, che si ripete quasi uguale in ogni sua zona. In Galles non hanno distrutto la loro campagna, probabilmente solo perche' non hanno potuto, e sono molto meno benestanti degli inglesi. Ma potrebbero avere una qualita' della vita decisamente superiore.

       Il rientro a Londra e' stato traumatico. Il peggior rientro che abbia mai sperimentato. Dopo i boschi e il verde e gli odori, le colline e la terra che e' terra e non il top-soil o il compost con cui i londinesi coprono i loro giardini, Londra appare ancor piu' desolante. Per non parlare del contrasto dato dalla totale assenza, in Galles, di quella immigrazione sub-umana che tanto contribuisce a rendere la capitale invivibile. Dovessi, nei prossimi anni, rendermi conto che saro' impossibilitato a lasciare questa isola, credo che rivolgero' i miei sforzi a trasferirmi in Galles. I rapporti umani sono gli stessi che a Londra, intendiamoci. Da est a ovest, da nord a sud, gli abitanti dell'isola sono repressi e falsi, incapaci di reali rapporti umani se non, forse, all'interno della loro famiglia (vivono ancora divisi in clan, anche se non se ne rendono conto). Ma almeno l'ambiente e' migliore.

Sunday, 21 July 2013

Punti di vista

      Nel team di landscaping che lavora al Parco Olimpico ci sono molti rumeni che parlano l'italiano meglio dell'inglese, avendo vissuto alcuni anni in Italia, di cui, chi più chi meno, hanno buoni ricordi. Durante una pausa, parlando appunto dell'Italia e delle impressioni che abbiamo riguardo il paese dove insieme risiediamo attualmente e che ci accomunano in quanto a nessuno di noi il Regno Unito piace, uno di loro mi ha detto, testuali parole: "Mi dispiace per ciò che sta succedendo in Italia. Mi dispiace perché l'Italia a me ha dato la vita."
       La cosa mi ha dato sensazioni contrastanti: piacevoli perché qualcuno apprezzava l'Italia, tristi perché un immigrato è quasi sempre e quasi ovunque voluto e tollerato per sopperire ai bisogni della nazione ospite. Ma lui aveva avuto qualcosa in cambio, qualcosa che era stato di gran valore nella sua situazione di allora. Poco dopo mi è capitato di parlare con un altro rumeno. Questo non era mai stato in Italia né parlava italiano. Aveva lavorato 5 anni in Israele, prima di trasferirsi a Londra. Una persona con una gran desiderio di tornare a casa sua, che si portava dietro una tristezza intima che traspariva da certi modi di dire e dallo sguardo, e che insieme alla tristezza aveva però anche una profonda gratitudine per Londra, perché gli aveva dato la possibilità di ottenere qualcosa nella vita, possibilità negatagli dalla sua nazione. Anche lui aveva ottenuto qualcosa in cambio, qualcosa di gran valore.
     Abbiamo parlato un poco di questa gratitudine, gratitudine che lui provava e che io non riuscivo, non riesco né mai riuscirò a provare. Nonostante le possibilità che qui sono riuscito ad ottenere e che l'Italia mi avrebbe negato, non riesco a non sentire la sensazione di essere usato. In due anni ho ricevuto da molte persone diverse, sia a lavoro che fuori, un'infinità di promesse e rassicurazioni puntualmente disattese, fatte solo per tenermi a disposizione nell'eventualità che non trovassero qualcuno più adatto alle loro esigenze. Never speaking clear, always keeping every door open till the last moment. In the end an email of apologies will be enough. Questo è il motto egli inglesi, che mai mentono ma mai sono chiari. "Falso come un inglese" equivale a dire "Falso fino al midollo".
     In questi due anni sono stato costretto a cambiare lavoro due volte per pressioni dei miei manager a cui risultavo non gradito, forse perché ero gradito ai titolari; sono stato aggredito una volta e ricevuto risate in faccia dal mio manager come risposta alla richiesta di sistemare la cosa; fatto oggetto di delazione da un collega su cose false; da tre ditte differenti sono stato costretto, per lavorare, a provvedere in proprio all'antifortunistica quando fornirla è obbligo specifico del datore di lavoro, e in un caso parte del mio equipaggiamento è stato fatto scomparire durante le ferie estive quando solo managers e titolari avevano accesso al magazzino. In due casi sono stato insultato dai miei sottoposti, una volta con sfondo razzista, e mi sono sentito dire dal mio manager che devo stare attento a come parlo perché "in questa nazione i lavoratori hanno molti diritti e se usi le parole sbagliate ti puoi ritrovare in tribunale". Evidentemente questi diritti non si estendono agli stranieri? Una volta, lasciando una compagnia, non mi sono state rimborsate le spese anticipate per parcheggio e materiali (e che dovessi anticipare le spese la dice già lunga); due volte hanno provato a non pagarmi le ferie ed una volta hanno provato a non pagarmi tutte le ore, costringendomi a tampinarli per mesi; una volta da un datore di lavoro che ha fatto bancarotta, invece di spiegazioni sul perché non poteva pagarmi il dovuto ho ricevuto minacce. Lasciando la penultima ditta per cui ho lavorato, la sera dell'ultimo giorno, dopo aver lavorato e fatto lavorare più duramene del solito tutto il team in una giornata con temperature sotto zero per completare un lavoro, ho dovuto litigare col boss perché avevo "usato il tempo pagato da lui per cose della ditta a cui mi stavo trasferendo": in pratica lui aveva annullato il mio pass di accesso al Villaggio Olimpico prima ancora che finisse la giornata ed io avevo provveduto ad averne uno nuovo con l'altra ditta. A parte il fatto che senza non sarei potuto uscire dal recinto che racchiudeva il Villaggio, lo avevo fatto nella mia pausa pranzo. Una volta un affittatore ha provato a non restituirmi il deposito per la camera in cui avevo alloggiato, senza fornire alcuna motivazione, semplicemente non ha restituito i soldi finché non ho minacciato le vie legali.
       Tutte le persone coinvolte in questi fatti erano inglesi, eccettuato per gli insulti razzisti ricevuti che mi furono fatti da una donna gallese.

No, non riesco proprio a provare il più piccolo briciolo di gratitudine.

Saturday, 20 July 2013

Se questo e' un uomo

Di persone che vivono in condizioni indegne ne ho incontrate non poche in Italia, anche se dagli anni '80 in poi, fino al 2011 anno in cui sono venuto a vivere in UK, non ne ho incontrate in numero eguale a quante ne ho incontrate a Londra in due anni. Anche se conto i cinesi a Prato con cui ho avuto a che fare. I motivi erano ignoranza, malattia e problemi economici, per lo piu'. In una nazione tanto piu' ricca dell' Italia com'e' l'Inghilterra ti aspetteresti di trovare un altro trend, ma non e' cosi'. Guardate come qualcuno "decide" di vivere. La persona in questione ha un buon lavoro, e' proprietaria della casa, paga il dogwalker per la bestiola in fotografia svariate ore al giorno.



La camera da letto si trova oltre un bagno che non e' ensuite, cioe' il bagno privato della camera...  




























...bensi' il bagno principale della casa. 

Fortuna ce n'e' uno piu' piccolo al piano inferiore, con doccia ma senza lavandino. Quindi quando il tipo  e' sveglio si deve usare il lavandino della cucina.






Il cagnolino vive praticamente sul letto, notte e giorno, tranne quando e' con la dogwalker. Ci ha pure la sua cuccia. Che non usa, come vedete




E spesso ci porta anche il cibo sul letto.































Il caos, credetemi, e' perenne... 









...mentre il ventilatore e' per le calde notti d'estate. Non ci sono calde notti nella British Summer? Provate a stare dentro questa stanzetta senza mai, dico mai, aprire la finestra e vi accorgerete che anche in Inghilterra le notti diventano calde.


Sapete perche' non apre mai la finestra, neanche quando e' casa? Perche' qua "vicino ci sono dei ladri", che mandano i bambini dentro le case attraverso le finestre per poi aprire la porta principale. Gia', tanti piccoli Spider-Man, capaci di arrivare senza scala alle finestre del primo piano e che percorrono i giardini sul retro di queste case a schiera, indisturbati ovviamente, saltando le innumerevoli recinzioni fra un giardino e l'altro, cercando le finestre aperte.







Friday, 19 July 2013

Traduzione Anglo-EU


Turn, turn, turn


Turn! Turn! Turn!
Music by Pete Seeger
(Adapted from Ecclesiastes)

To everything (turn, turn, turn)
There is a season (turn, turn, turn)
And a time to every purpose under heaven

A time to be born, a time to die
A time to plant, a time to reap
A time to kill, a time to heal
A time to laugh, a time to weep

To everything (turn, turn, turn)
There is a season (turn, turn, turn)
And a time to every purpose, under heaven

A time to build up, a time to break down
A time to dance, a time to mourn
A time to cast away stones, a time to gather stones together

To everything (turn, turn, turn)
There is a season (turn, turn, turn)
And a time to every purpose, under Heaven

A time of love, a time of hate
A time of war, a time of peace
A time you may embrace, a time to refrain from embracing

To everything (turn, turn, turn)
There is a season (turn, turn, turn)
And a time to every purpose, under Heaven

A time to gain, a time to lose
A time to rend, a time to sew
A time for love, a time for hate
A time for peace, I swear it's not too late

Thursday, 18 July 2013

Ecco in cosa siamo veramente diversi

Mi hanno fatto leggere questo interessante articolo riguardo la minaccia britannica di bandire gli studenti Erasmus italiani dal Regno Unito quale ritorsione per il taglio delle paghe dei "lecturers", ovvero laureati stranieri abilitati in Italia all'insegnamento della loro lingua madre. Un taglio alquanto sostanziale deciso dalla Legge Gelmini, dato che l'abbattersi della scure ha portato via circa il 60% della loro paga. La notizia compare inizialmente su Italian Insider, giornale online italiano completamente in inglese, che riporta le parole del Membro del Parlamento David Lidington che, alla Casa dei Comuni, ha dichiarato l'atto discriminatorio, inaccettabile ed illegale. Attualmente, in accordo con Lidington, il Ministro inglese per l'Universita' e la Scienza David Willetts e l'Ambasciatore britannico in Italia stanno discutendo la questione con l'attuale Ministro dell' Istruzione Maria Chiara Carrozza.
Ora, al di la' che nel Regno Unito non si fanno alcun problema a discriminare uno straniero se e quando gli fa comodo, al di la' della Legge "porcheria" Gelmini dichiarata illegale 6 volte dalla Corte di Giustizia Europea, quella stessa Corte contro cui gli inglesi tuonano ogni volta che dice qualcosa che a loro non piace e che vorrebbero disconoscere ma a cui si riferiscono immediatamente non appena e' nel loro interesse, quello che volevo far notare e' il numero di cittadini britannici che hanno spinto il governo UK a muoversi. Il Messaggero riporta:

"in Italia riguarda 200 professori che vivono e insegnano nel nostro Paese ma che hanno un trattamento molto diverso da quello dei loro colleghi universitari. Americani, britannici, canadesi, cinesi, tedeschi, sudamericani, spagnoli e russi: docenti da decenni nelle nostre facoltà."

Mentre Italian Insider e' ancor piu'l preciso:

"the legislation forced 31 British and 58 other non-Italian lecturers to take pay cuts of up to 60 percent, having downgraded them to the status of language technicians."

E meglio ancora, a sollevare il problema presso la Casa dei Comuni e' stato il parlamentare Andrew Bridgen in seguito all'appello di uno solo dei suoi elettori, Ian Gavin, che lavora all'Universita' del Salento. Il governo britannico si e' mosso contro un'altro Stato per far valere i diritti di 31 suoi cittadini e su richiesta di 1 soltanto di loro.

Quando mai lo Stato Italiano ha solo provato a fare qualcosa per aiutare i suoi cittadini vittime di ingiustizie all'estero? Noi non siamo altro che merce di scambio per i nostri Governi, anche quando "servitori" in prima linea come nel caso dei due Maro' imprigionati (a torto o a ragione) in India. Ma vi dico una cosa, non biasimo minimamente i nostri Governi che ci vendono e svendono. Per un motivo molto semplice: la colpa e' nostra. Ogni italiano pensa al suo e basta, e' disposto a fare la miseria pur di guadagnare 50 centesimi in piu' del suo vicino, o meglio, purche' il suo vicino guadagni 50 centesimi meno di lui; perche' e' nella natura italiana essere felici dell'infelicita' altrui e infelici della felicita' altrui. In questo gli inglesi sono migliori degli italiani, immensamente migliori: un'offesa ad uno di loro e' un'offesa a tutti loro, e reagiranno di conseguenza.

 Certo, e' un atteggiamento che vanno perdendo, un sentimento che si va diluendo. Anche con l'aiuto di noi immigrati, che abbiamo importato l'indifferenza per il nostro vicino e la stiamo spargendo come una malattia. Forse ben presto i britannici perderanno del tutto questa qualita'. Ma a noi italiani tale dignita' e' sempre mancata.

Istruzioni per l'uso

Forse avrei dovuto scrivere questo post un pochino prima, diciamo quando ho avviato il blog. La situazione contingente mi spinge a farlo adesso, quindi eccovi alcune istruzioni per l'uso di questo blog.

1. Questo blog e' un viaggio, un viaggio con me e attraverso di me: vedrai ogni paesaggio coi miei occhi. E la cosa potrebbe non piacerti.

2. Sebbene il blog sia il racconto di un viaggio, non e' una cronaca di viaggio: cio' che racconto ricalca si' la realta', ma come la vedo io, non necessariamente come e'.

3. Non essendo il blog una cronaca fa abbondante uso di "licenze artististiche": alcune delle cose che racconto od esprimo possono essere volutamente esagerate in alcuni particolari o nella loro interezza per meglio esprimere alcuni concetti.

4. Il blog mescola realta' e fantasia, la seconda spesso piu' reale della prima: ma ricordati che ognuno di noi percepisce la realta' in modo diverso e quindi niente di cio' che scrivo deve essere considerato assoluto.

5. Se sei una persona profondamente innamorata di me il blog non devi leggerlo in condizioni di scarsa lucidita' perche' potrebbe avere effetti spiacevoli.


Ora potete fare un uso sicuro del blog. Dovessi venire a sapere in futuro di effetti collaterali che richiedano altre istruzioni provvedero' ad emendare questo post.
Il punto 5, ovviamente, si applica ad un numero molto ristretto di persone, maggiore di 0 e minore di 2, e cioe' a chi mi sta piu' a cuore di tutti.

AGGIORNAMENTO
6. Il blog tende ad essere modificato, quindi tieni un'occhio anche sui vecchi post, potresti trovarci qualcosa di nuovo. in particolarele traduzioni in inglese possono comparire con un certo ritardo.

Wednesday, 17 July 2013

Quid enim valet pugna?


        Ma esiste qualcosa per cui valga la pena affaticarsi e darsi pena? Per cosa ci trasciniamo attraverso giorni logoranti, danzando stupidamente sul  bordo del pozzo della pazzia?  Gli amici scompaiono uno ad uno, come polvere portata via dal vento. Ogni successo e' solo fumo profumato di incenso, e prima che si disperda riesci sempre a sentire quell'odore di rancido che si nasconde dietro di esso. Ogni cosa intorno a me si muove verso l'Entropia. Ignoranza e indifferenza sono un fiume contro il quale costantemente lottare, perche' solo l'idea di arrendersi alla sua corrente e' ripugnante. 
        Niente rimane di ogni sforzo fatto, niente che valga la pena di essere ricordato.


1 Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.2 Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità.3 Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?4 Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa.5 Il sole sorge e il sole tramonta,si affretta verso il luogo da dove risorgerà.6 Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna.7 Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno:raggiunta la loro meta,i fiumi riprendono la loro marcia.8 Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l'occhio di guardare né mai l'orecchio è sazio di udire.9 Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà;non c'è niente di nuovo sotto il sole.10 C'è forse qualcosa di cui si possa dire:«Guarda, questa è una novità»?Proprio questa è già stata nei secoli che ci hanno preceduto.11 Non resta più ricordo degli antichi,ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso coloro che verranno in seguito.


       Does it exist something worthy to wear myself out for, something to worry for? What do we drag ourselves along knackering days, foolishly dancing close the madness well edge? Friends disappear one at the time, like powder scattered by the wind. Every achievement  is just incense perfumed smoke, and before it disperses you can feel that rank smell hidden under it. Everything around me moves towards Entropy. Ignorance and indifference are a river to constantly fight against, since just the idea to surrender to its current is repugnant.
       Nothing remains of every effort, nothing worthy to be remembered.


The words of the Teacher,[a] son of David, king in Jerusalem:
“Meaningless! Meaningless!”
    says the Teacher.
“Utterly meaningless!
    Everything is meaningless.”
What do people gain from all their labors
    at which they toil under the sun?
Generations come and generations go,
    but the earth remains forever.
The sun rises and the sun sets,
    and hurries back to where it rises.
The wind blows to the south
    and turns to the north;
round and round it goes,
    ever returning on its course.
All streams flow into the sea,
    yet the sea is never full.
To the place the streams come from,
    there they return again.
All things are wearisome,
    more than one can say.
The eye never has enough of seeing,
    nor the ear its fill of hearing.
What has been will be again,
    what has been done will be done again;
    there is nothing new under the sun.
10 Is there anything of which one can say,
    “Look! This is something new”?
It was here already, long ago;
    it was here before our time.
11 No one remembers the former generations,
    and even those yet to come
will not be remembered
    by those who follow them.