Anno 41 degli Ultimi Tempi
Makias il Nero era Re di Mell e governava in Mithas la Favolosa ai dì delle Profezie e dei Misteri. Da poco sua madre, Esera la Strega di Keltash era morta, da poco suo padre Tiran aveva abdicato il trono in suo favore. Da poco aveva fatto uccidere il fratello che tramava per sottrargli lo scettro di Mell.
Venne a quei tempi, che erano pieni di strani segni e presagi, un uomo da Argash, un potente regno del Nord, un uomo delle vaste pianure popolate dai leggendari unicorni. Ed egli era cieco da entrambi gli occhi fin dalla nascita, ed andò da Makias e disse che lo conduceva a lui il volere del dio Skat, il dio che cercò di uccidere il Drago Verde e che causò la guerra fra i loro adoratori, il dio che fu divorato dal fuoco del Drago Verde con cinquemila dei suoi sacerdoti. E l' uomo di Argash aveva per il Re di Mell le Tre Profezie, che furono trascritte sul Libro delle Rivelazioni di Anjej Kèlsh ibn Kadàr.
E così parlò il profeta cieco di Skat a Makias Re di Mell, sovrano di Mithas la Favolosa, figlio di Tiran, figlio di Akèron, figlio di Algar-Shàt: -Ascolta, o Re, ciò che il dio Skat del Pozzo Oscuro mi manda a dirti. Poiché vengono tempi in cui i segreti popoleranno le vie della tua città, e tu tremerai perché le lame scintilleranno nella follia.
A udire queste parole re Makias si adirò grandemente, e fatto battere il profeta cieco di Skat lo scacciò dal suo palazzo. Ma il giorno successivo egli tornò, e nuovamente parlò al Re, e queste furono le parole che per la seconda volta il profeta cieco del dio Skat disse a Makias, Re di Mell, sovrano di Mithas la Favolosa: -Questo è ciò che il dio Skat dice tramite la mia bocca, o Re. Verranno i giorni in cui tu guarderai ai Segreti con favore, ed avrai per amico chi prima ti era serpe in seno.
Re Makias non comprese le parole del profeta cieco di Skat, e congedatolo fece chiamare i savi ed i maghi, e li interrogò su quale fosse il significato delle parole dell' uomo di Argash. Ma nessuno seppe rispondergli.
Il terzo giorno il profeta cieco di Skat tornò da re Makias, e queste furono le parole che per la terza volta egli rivolse al Re: -Io venni come ospite in casa tua, e tu mi battesti; venni come amico, e non mi facesti dono né offerta alcuna. Per questo ascolta la terza profezia che il dio Skat ti manda. Verrà il tempo in cui io entrerò nella tua casa e farò di te il mio strumento di vendetta, tramite i Segreti. E questo sarà manifesto a tutti quando le cupole dorate cadranno.
Queste furono le Tre Profezie, che Anjej Kèlsh ibn Kadàr, consigliere di re Makias, al cui fianco sempre stava, udì insieme al suo Re dal dio Skat del Pozzo Oscuro per mezzo della bocca del suo profeta cieco dell' Argash, e che trascrisse nel suo Libro delle Rivelazioni.
Anno 42 degli Ultimi Tempi
Agar-Kèir ibn Akèr, Ispettore dell' Inquisizione della Chiesa di Galm, passeggiava sotto il colonnato del giardino del nobile Tar-Urim, attendendolo. I due erano amici di vecchia data, avevano frequentato insieme le lezioni del filosofo Aprestikos, si erano arruolati nello stessa coorte pretoriana per il servizio di leva; ma poi Tar-Urim aveva sposato una vedova dell' alta aristocrazia, mentre Agar-Kèir era entrato nell' Inquisizione.
In quanto all' Inquisizione era stata costituita tre anni prima da re Tiran, un anno prima che morisse la moglie e che abdicasse in favore del figlio Makias. Era un organismo formato in parte dal clero di Galm ed in parte da ufficiali dell' esercito regio, con a disposizione un proprio piccolo esercito per combattere alcune nuove religioni altamente immorali, chiamate generalmente Misteri, perché l' accettazione degli adepti avveniva mediante la rivelazione di un segreto gelosamente custodito da ogni membro, e che nessuno di loro aveva mai rivelato neanche sotto tortura.
Questi Misteri avevano preso piede velocemente nella città, e stavano ottenendo sempre più potere, reclutando adepti in tutte le classi sociali. Nessuno sapeva da dove e con chi fossero giunti, anche se c' era chi sosteneva che fossero arrivati dal Sud con una carovana koiròthiana, che già aveva percorso i più meridionali dei deserti del Koiròth, terre dove sorgono ancestrali rovine e vivono strane popolazioni.
Tar-Urim arrivò, tra uno svolazio di stoffe color fuxia e un alone di profumo. Aveva i capelli pettinati all' indietro, scintillanti dell' olio profumato con cui erano stati unti; i suoi tratti aristocratici erano risaltati dal sottile trucco blu e nero intorno agli occhi. Ma sotto quell' aspetto raffinato e quasi molle, traspariva ancora la durezza e la forza del guerriero che aveva combattuto contro l' Alleanza di Koiròth e Kerlash, un guerriero che ancora poteva essere risvegliato.
-Salute, Agar-, lo salutò Tar-Urim con un sorriso stanco.
-Salute Tar-Urim. Quant' è che non dormi?- chiese Agar-Keir, dato che le occhiaie si cominciavano a vedere anche sotto il trucco.
Urim si portò istintivamente una mano fin quasi agli occhi, poi disse: -Si vede così tanto?
Agar-Keir annuì, gravemente, e Tar-Urim sospirò. -Colpa di questi dannati Misteri. Non mi danno requie e non riesco a dormire. Troppe cose da seguire per queste indagini.
"Ci sono novità?
-Sì. Hanno ucciso il nobile Kar-Sar.
-Quelli dei Misteri?
-Sì. E questa volta hanno lasciato anche la firma.
-Hanno firmato il delitto? Sarebbe la prima volta. E chi è stato? Gli Strangolatori di Khem o i Kleshiriani?
-Nessuno di quelli che conosciamo. Si fanno chiamare Setta del Serpente.
-Setta del Serpente?
-Un nostro informatore ha fatto delle ricerche ed ha scoperto che adorano Midgardsomar, il Serpente del Giardino Centrale. E' la versione koiròthiana del Verme del Mondo.
-Allora sono arrivati da Koiròth!
-Non è ancora sicuro-, sospirò Agar-Keir. -In Koiròth nessuno adora il Serpente, a meno che non lo facciano in segreto.
"Avremo delle complicazioni, ora, con la morte di Kar-Sar.
-Perché?
-Era lui che aveva la direzione dello studio nel Quartiere dei Mercanti.
-Non lo sapevo. Questo rallenterà le indagini. E cos' altro sa quel tuo informatore?
-Poco. Quel che sapeva è tutto scritto nei miei rapporti. Se vuoi te li porto.
-Ti dispiace se parlo anch' io con questo informatore, o la sua identità deve rimanere segreta?
-Non è più un segreto. Da quando è stato trovato morto nel Viale dei Platani tutta la città ha capito che era un nostro uomo.
"Ah! Ho anche un' altra cosa da dirti. Forse abbiamo trovato uno dei loro luoghi di culto qui in città. Domani notte vi faremo irruzione per cercare di catturare qualche membro.
-Re Makias sarà veramente contento se ci riesci. Comincia ad avere una tale paura di questi Misteri che non riesce più a chiudere occhio.
Urim lancio' all'amico un'occhiata di sbieco: certe cose non dovevano essere mai dette.
La notte era calda, ma giungeva dalle lontane montagne un vento fresco che rendeva l' aria respirabile e manteneva il cielo sereno. Questo, e il fatto che la luna non era ancora sorta, metteva in mostra lo sciame di luccicanti stelle che riempiva la nera volta.
Agar-Keir si muoveva cauto, camminando accovacciato fra le cespugliose piante adorne di fiori carminei e gli enormi alberi di eucalipto e cedro, producendo solo un lieve fruscio, coi piedi calzati da sandali, nell' erba. Strinse il pugno sull' elsa della daga e si guardò intorno circospetto. Nessuna luce giungeva dalla villa verso cui si dirigeva. Dietro di sé scorse le masse scure di nove uomini, ed altri ancora erano più indietro o ai suoi fianchi. Nel più assoluto silenzio, come ladri che si muovono furtivi fra le ombre, simili ai neri fantasmi usciti dalle Bocche del Corimbo, dove il Sirion, il Lungo Fiume del Ritorno si getta, avevano attraversato Mithas a piedi, sfilando per vicoli sudici e sotto i dorati minareti, raggiungendo quella villa. Poi ne avevano scavalcato il basso muro di cinta ed ora si trovavano nel parco che la circondava. L' informatore aveva detto bene, non c' erano né cani nè alcuna altra forma di sorveglianza.
Senza un preciso motivo Agar-Keir alzò la testa a guardare il cielo ed attraverso le sottili foglie di un cedro vide la veloce vampata di una stella cadente che si bruciava e consumava rapidamente solcando il tetto celeste da un lato all' altro. Le stelle cadenti portano fortuna, pensò. Bene.
Poi furono davanti al portone di ingresso, fatto di legno di acacia rinforzato da fasce metalliche. Per aprirlo ci sarebbe voluto un ariete, ma non ce ne fu bisogno perché era già aperto.
Ed a quel punto Agar-Keir seppe di essere stato battuto. Si raddrizzò e a gran voce, rivolto ai suoi uomini, disse: -Venite fuori, ragazzi, ed accendete le torce. Ci hanno giocati.
Alcune torce furono accese ed alla loro traballante e fumosa luce entrarono nella casa. Le daghe e le spade erano state rinfoderate, le balestre scaricate e le quadrelle riposte nelle faretre. Furono trovate delle lampade ad olio ed anche quelle vennero accese. Nel giro di un quarto d' ora tutto il piano terreno della villa era illuminato.
-Scommeto che anche il cancello del parco era aperto-, commentò Agar-Keir.
In quel momento due soldati uscirono urlando dal salone in cui poeti, giocolieri e musici si esibivano durante le feste. Agar-Keir annotò mentalmente i loro nomi, deciso a farli fustigare se il motivo del loro comportamento non fosse stato più che valido. Raggiunse il salone ed una volta entrato dovette ammettere che lo era. Ciò che stava nella sala era veramente orrendo. Sul pavimento, col sangue, era stato disegnato un cerchio in cui era inscritto uno strano tridente, le cui punte si irraggiavano dall' asta. Tutt' intorno al cerchio erano stati disposti numerosi candelabri alti quasi quanto un uomo, alternativamente d' oro e d' argento, ognuno con un cero altrettanto alto e spesso quanto il polso di un uomo. Uno a destra ed uno a sinistra del cerchio, poi, c' erano due altari in legno decorato con incisioni oscene, e su ognuno degli altari stava un uomo morto.
Agar-Keir si avvicinò ad uno dei due cadaveri. Era completamente nudo ed era stato sventrato, dall' inguine fino al petto. Le budella erano state srotolate per la stanza, ed un serpente gli era stato annodato attorno alla gola.
Guardando la bocca e gli occhi spalancati, il sangue che lo imbrattava tutto e che aveva formato una larga pozza scuras seccandosi ai piedi dell' altare, Agar-Keir dovette reprimere un brivido. L' odore pesante di un incenso particolarmente forte non copriva del tutto gli odori del sangue e degli altri umori corporei e delle viscere.
-Questo è Tar-Parian, il Satrapo di Tal-En-, disse Agar-Keir al capitano dei soldati. -Ci avevano avvertiti della sua scomparsa due settimane fa, vero?
-Sì. Quest' altro è il Presidente della Casa Rossa. Gli hanno fatto un bel servizietto.
-Già. Ed ora siamo nei guai.
-Per Tar-Parian?
-No, un Satrapo non ci vuole poi molto per rimpiazzarlo. Suo fratello sarà felicissimo di farlo. Quella di Presidente del bordello di stato era solo una copertura, per Kal-Tar. Era un Inquisitore.
"Non c' è che dire: sanno bene dove colpire per fare il maggior danno.
Detto questo Agar-Keir uscì dalla sala e poi dalla villa. Lì non c' era più nulla che lui potesse fare: ora si sarebbero messi all' opera i becchini.
Un mese dopo
Gli uomini, aggregati a coppie, si affaticavano sui remi, piegandosi in avanti per poi distendersi all' indietro al ritmo di un tamburo. Agar-Keir, dritto sul castello di poppa, di tanto in tanto guardava gli schiavi legati con robuste catene ai loro remi, completamenti nudi tranne che per un perizoma sudicio e tutti sudati. Poi portava lo sguardo sul battitore, un temorita meticcio, dalla pelle nera ma dal fisico possente quasi quanto un membro della minoranza etnica bianca nota ovunque come Giganti di Tèmor. Colpiva con un bastone rotondo e cavo il tamburo di pelle d' asino, alzava lentamente il braccio, poi lo faceva ricadere di colpo. Infine lo sguardo di Agar-Keir si spostava sul paesaggio che sfilava ai suoi lati, le rive selvose del fiume.
La nave andava avanti a balzi, sfidando la corrente del fiume, forte ma non ancora impetuosa, che spumeggiava fendendosi sull' aguzza prua. Dalle due rive frondose giungevano i richiami di infinite varietà di uccelli, che al loro passaggio spiccavano il volo, solitari o in stormi fittissimi, tanto che se qualcuno vi avesse scagliato una freccia anche senza prendere la mira non avrebbe potuto mancare il colpo.
Dopo aver raggiunto il porto fluviale di Bet-Nimra, Agar-Keir aveva risalito con la sua nave per dieci giorni i fiumi Kaidàr e Mell. Al mattino dell' undicesimo giorno, poi, aveva lasciato il fiume Mell ed aveva cominciato a risalirne il maggiore affluente, il Sila, che scorreva in una stretta valle fra due braccia rocciose del Massiccio Meridionale. Ora a destra aveva i monti di Hebron ed a sinistra quelli di Hesbon, che si riunivano a sud nei Ghilgad, da cui nasceva il Sila.
Era proprio alle sorgenti del Sila che Agar-Keir si stava dirigendo. Lo avevano infatti informato che vi sorgeva uno dei templi dei Misteri, dove adoravano Garmr, il Cane Infernale, la cui setta aveva cominciato a colpire ovunque chi gli si opponesse solo da pochi mesi, ma che era capace di scovare gli oppositori anche fra le altre sette misteriche, e che pareva avere un rapporto molto stretto con la Setta del Serpente.
Quando non fu più possibile risalire il fiume con la nave questa fu ancorata, ed Agar-Keir e i suoi uomini scesero a terra. L' indomani avrebbero proseguito a piedi per raggiungere le sorgenti del fiume, che distavano ancora quattro giorni di cammino.
Agar-Keir disponeva di quaranta uomini armati, oltre ai battitori e ai portatori. Altri dieci soldati, oltre l' equipaggio e i rematori schiavi sarebbero rimasti sulla nave. Ma lui era ugualmente preoccupato. Il territorio si sarebbe fatto via via più brullo, addentrandosi fra i monti Ghilgad, e sarebbero stati allo scoperto. Quelli dei Misteri erano tipi pericolosi.
Il primo giorno di cammino trascorse completamente all' ombra della florida vegetazione della valle del Sila. Durante tutto il secondo giorno il terreno prese a salire, gli alberi si fecero sempre più bassi e radi ed aumentò il sottobosco che infittì fino ad impedire l' avanzata. Furono allora messi all' opera i quattro battitori muniti di lunghi robusti coltelli perché aprissero la strada. Nel frattempo il Sila si era ridotto ad un semplice torrente con poca acqua a causa della stagione secca. A sera anche il sottobosco si era talmente diradato che non creava più difficoltà.
Il terzo giorno ci fu la prima vittima. Improvvisamente quattro pastori armati di frombole sbucarono da degli avallamenti del terreno, gridando e scagliando pietre. Una di esse centrò alla testa un portatore, uccidendolo, poi i quattro fuggirono.
-Fermi!- ordinò Agar-Keir ad un gruppo di soldati che si era lanciato all' inseguimento dei pastori. -E' troppo pericoloso inseguirli.
-Perché credi che ci abbiano attaccato?- chiese Zaggizi, il capitano dei soldati.
-Il portatore è morto?- chiese a sua volta Agar-Keir.
-Sì.
-Ci rifaremo quando troveremo il loro villaggio. Scommetto che ci sono stati aizzati contro da quelli della Setta.
-Guardate là!- gridò un soldato, indicando lontano nella direzione da cui erano giunti. Tutti si voltarono a guardare e videro levarsi dalla valle del fiume una colonna di fumo nero.
-La nave!- esclamò Zaggizi. -La stanno attaccando.
-Non possiamo farci nulla, capitano-, disse Agar-Keir. -Proseguiamo.
Il giorno successivo giunsero al tempio, una struttura per niente imponente e circondata per due lati da sudice capanne di cannicciato e fango addossate le une alle altre. Alle spalle del piccolo tempio si ergeva una parete a strapiombo di roccia marmorea, mentre nello spiazzo antistante era stata posta una grande statua rozzamente tagliata e rappresentante un cane dal pelo arruffato e dai lunghi denti, che sovrastava un altare incrostato di sangue.
Ad attenderli c' era un comitato di benvenuto formato da pastori vestiti di pelle di pecora ed armati di bastoni e fionde. E cominciò la strage.
Quando tutto fu concluso Agar-Keir contemplò l' opera dei suoi uomini: metà dei nemici era stata uccisa, mentre l' altra metà era stata fatta prigioniera insieme alle donne, ai bambini ed ai vecchi. Il villaggio era stato raso al suolo, mentre alcune pecore e i cani erano stati macellati per farne carne per i soldati.
-Quante perdite?- chiese a Zaggizi.
-Nessuna, signore. Ci sono ordini?
-Pensavo di stanare quei topi chiusi là dentro usando il fuoco. Tu che ne pensi?
-Credo sia la cosa migliore da fare, anche se potremmo prenderli per fame. Non devono avere grandi quantitativi di provviste là dentro.
-A meno che non abbiano delle camere sotterranee.
-Difficile. Questa roccia è marmo. E' dura da scavare. Comunque è meglio fare alla svelta, quelli che hanno attaccato la nave potrebbero anche tornare.
-Allora fai raccogliere materiale combustibile per accendere qualche bel falò. Usa i prigionieri. E fai buttare le pelli di pecora e qualche cadavere sul fuoco, faranno più puzzo.
-Non ce la faremo prima di buio.
-Poco importa. La luce non ci mancherà.
Così, nell' oscurità della notte, fu appiccato il fuoco ai due grandi roghi addossati alle pareti del tempio. In poco tempo il fumo, oleoso per la sostanza organica gettata a bruciare, riempì tutti i locali, e dopo un poco di tempo ancora il fuoco consumò la struttura portante dell' edificio, che cominciò ad ondeggiare.
-Di' ai tuoi uomini di stare pronti, capitano, fra poco usciranno-, disse Agar-Keir. -Quanti soldati possono esserci l' dentro?
-Pochi, se no avrebbero combattuto coi pastori.
Pochi minuti dopo la porta del tempio si aprì. Ne uscirono trenta persone in tutto. Dieci erano soldati, che uscirono con le braccia alzate e disarmati; altrettante erano serve, ragazze del villaggio; cinque dovevano essere sacerdoti, e tre erano eunuchi. Gli ultimi due Agar-Keir li conosceva già, dato che erano persone molto influenti nella capitale, funzionari reali molto importanti.
-Bene, bene-, disse Agar-Keir. -Qui abbiamo il nobile Carien-Akaz-Ulim e Bar-Ador, asciàr delle Case di Tuile.
-Vi siamo immensamente grati, Inquisitore Agar-Keir, per averci liberati dalle mani di questi demoni sanguinari-, disse Carien-Akaz-Ulim con un lieve inchino. -Il Dorato te ne renda merito.
-Il Dorato mi renderà merito per avergli tolto da davanti una serpe quale sei tu!- scattò irato Agar-Keir. -Bugiardo figlio di bugiardi! Tu non eri qui come prigioniero, ma per adorare quella bestia mostruosa!- e puntò un dito verso la statua del cane imbrattata di sangue. -Incatenate questi due!
Zaggizi fece eseguire l' ordine, poi si accostò ad Agar-Keir e gli chiese: -Signore, siete sicuro di quello che fate? Avete appena fatto incatenare due uomini molto potenti nella capitale.
-Quando il Re saprà che sono dei Misteri li farà condannare come minimo alla ruota.
-Ma sono proprio dei Misteri? Potrebbero aver detto il vero.
-I sacerdoti li avrebbero usati come ostaggi, in un caso del genere. E poi devono avere un marchio da qualche parte sul corpo. Stai tranquillo.
-Signore, vi prego, ascoltate il mio consiglio: lasciate che li uccida subito o durante il viaggio di ritorno. Sembrerà un incidente o un tentativo di fuga. Possono essere molto pericolosi, una volta rientrati a Mithas.
-No, Zaggizi. Il Re vorrà averli, e poi devono essere interrogati. Forse i torturatori riusciranno a cavar loro altri nomi.
-Come volete, signore. Ci sono altri ordini?
-Sì. Porteremo con noi a Mithas i prigionieri. I cinque sacerdoti, gli eunuchi e le serve. Del villaggio prendi le donne più giovani e robuste, gli uomini forti ed i bambini. Gli altri falli passare a fil di spada.
-E i dieci soldati? Può essere rischioso portarceli dietro.
Agar-Keir ristette un attimo, poi disse: -Falli incatenare per bene. Al mercato degli schiavi quelli spunteranno un ottimo prezzo.
-Altro, signore?
-All' alba voglio che sia tutto pronto per partire.
-Bene, signore.
All' alba cominciò la marcia per il ritorno. Agar-Keir non aveva più dubbi che avrebbero dovuto marciare fino a Bel-Mèll, un porto fluviale che sorgeva dove il Sila confluiva nel fiume Mell.
Infatti, quando giunsero al luogo dove avevano ormeggiato la nave la trovarono bruciata. I rematori erano morti al suo interno, arsi vivi, mentre l' equipaggio era servito per cibo agli animali del fiume e ancora qualche cadavere gonfio e in parte divorato galleggiava impigliato nelle radici degli alberi o fra i resti della nave. I dieci soldati invece erano morti mentre combattevano per aprirsi una via di fuga. Non c' era traccia di cadaveri di aggressori, che dovevano essere stati portati via dai loro compagni.
-Vi toccherà la stessa sorte, cani!- disse con spavalderia uno dei soldati incatenati.
-Fagli tagliare la gola-, ordinò Agar-Keir a Zaggizi. -Non voglio che impauriscano i miei uomini con queste minacce.
Dopo pochi minuti ripresero il cammino, lasciando sulla riva del fiume un altro cadavere.
Sei giorni dopo essersi lasciati alle spalle la nave bruciata giunsero a Bel-Mèll, dove il comandante della guarnigione reale lì di stanza requisì una nave che portasse velocemente Agar-Keir e i sette prigionieri più importanti a Bet-Nimra, altro porto fluviale a meno di metà strada dalla capitale. Gli altri prigionieri li avrebbero seguiti più lentamente.
Agar-Keir uscì dalla vasca di acqua profumata e subito una serva si affrettò con un asciugamano. Ancora rimuginava sul significato di ciò che aveva visto due giorni prima quando era rientrato a Mithas. Stava conducendo i sette prigionieri che aveva portato da Bel-Mèll verso il Palazzo Reale, e strada facendo aveva visto numerosi operai che lavoravano per abbattere uno delle centinaia di minareti che con le loro cupole d' oro avevano dato il soprannome di Dorata alla città. Già di per sè la cosa era strana, ma strada facendo si era accorto che la stessa sorte era stata destinata ad altri due minareti. E alle sue domande al riguardo nessuno sapeva o voleva dire nulla.
Quella sera sarebbe andato a trovare Tar-Urim: forse lui gli avrebbe detto qualcosa, gli avrebbe spiegato cosa stava accadendo in città.
La sera venne e lui si recò da Tar-Urim. Come al solito dovette fare anticamera, prima che l' amico lo ricevesse, ma questa volta l' attesa fu più lunga del normale, e non fu Tar-Urim che si recò da lui, bensì il contrario.
Fin dalle prime parole che l' amico gli rivolse Agar-Keir capì che c' era qualcosa che non andava. I saluti furono freddi, i convenevoli condotti in maniera distaccata. Tar-Urim pareva lontano ed era fin troppo formale. Sembrava che volesse erigere un muro fra loro due.
-Sono venuto a chiederti spiegazioni su ciò che sta accadendo in città-, disse Agar-Keir. -Il popolo è irrequieto, nervoso, quasi spaventato, oserei dire. Una strana aria ristagna per le strade e le piazze.- Negli occhi di Tar-Urim si accese una strana luce, che ad Agar-Keir risultò tanto incomprensibile quanto spaventosa. -...e poi ho visto degli operai che stanno abbattendo dei minareti. E' una cosa che non era mai successa in tutta la storia di Mithas. E poi i cantieri sono inaccessibili a tutti e la gente che vi abita vicino dice che gli operai sono degli stranieri, che parlano una lingua simile al takàrim.
-Non comprendo bene le tue parole, amico Agar-Keir. Io non ho notato nulla di strano. I tre minareti vengono abbattuti perché sono stati dissacrati da coloro che appartengono ai Misteri con atti innominabili. Forse è questo che rende irrequieto il popolo.
"Comunque non è niente per cui valga la pena di fare domande. Anche perché le indagini stanno venendo affidate tutte a dei nuovi Ispettori dell' Inquisizione, tutti dell' alta nobiltà e nessuno di loro tollera intromissioni. Io, del resto, sono già stato rilevato dal mio incarico e me ne è stato affidato uno nuovo.
Tar-Urim non era riuscito a convincerlo. C'era qualcosa che non andava, ed era qualcosa di veramente pericoloso. E su questo non ebbe più dubbi quando un servo, appena rientrato in casa, gli disse che il capitano Zaggizi gli aveva chiesto udienza e lo stava attendendo da due ore in uno dei salotti.
Preoccupato e un po' impaurito, Agar-Keir si affrettò a raggiungere Zaggizi, che trovò in preda ad un genuino terrore.
-Siamo in pericolo, signore-, disse a bassa voce non appena furono rimasti soli. -Hanno rilasciato i prigionieri presi alle sorgenti del Sila!
-Rilasciati? Spiegati!- Ora era vera e propria paura, quella che serpeggiava lungo la schiena di Agar-Keir.
-Per ordine del Re! Capite? Siamo morti!
-Calma-, disse Agar-Keir, sebbene riuscisse a controllarsi a stento. -Se restiamo calmi riusciremo a trovare un modo per salvarci.
-Dobbiamo fuggire! Non c' è altra soluzione. Io so come fare, ma occorre denaro. Oro, se lo avete.
-Ce l' ho. Vieni.
I due percorsero alcuni corridoi, raggiunsero le camere private di Agar-Keir, che prese dell' oro da un forziere nascosto.
-Quanto te ne occorre?
-Per ora venti sicli, per comprare due cavalli e delle provviste. Altro oro servirà per raggiungere il confine e passarlo.
-Che confine? E come intendi uscire dalla città?
-Per uscire dalla città conosco una strada che passa sotto le mura. Occorre arrivare al Colle delle Grotte del Labirinto.
-Conosci la strada che passa per le Grotte del Labirinto?
-Sì.
-Ma sono chiuse, il guardiano non ci lascerà passare.
-Basterà un po' d' oro.
-Va bene. Ed una volta usciti dalla città?
-Ci dirigeremo a nord, verso la Catena del Gabràk, e la passeremo in territorio takàrim. Poi direi di attraversare l' Argash fino all' Ashter.
-Sì, mi sembra la soluzione migliore. Tieni venti sicli per i cavalli ed altri trenta nel caso si verificassero degli inconvenienti. Io mi procurerò altri trecento, quattrocento sicli. Dove ci troviamo?
-Tra due ore sul lato est del Colle delle Grotte del Labirinto. Sotto l' Arco Marveano.
-D' accordo.
Zaggizi camminava veloce per le vie del quartiere della Porta dei Cammelli, il quartiere più a sud della città, la cui porta era così denominata perché anticamente, prima che Mithas governasse su tutto Mell, quando il territorio a sud di Bet-Nimra era spopolato e regredito, era da quella porta che entravano le carovane di cammellieri che giungevano dal Koiròth.
All' improvviso un' ombra si gettò su di lui, scaturendo dall' oscurità di un androne. Un lungo pugnale scintillò, puntando veloce verso la sua gola. Zaggizi, provetto spadaccino, ed all' erta proprio nel timore di un' aggressione del genere, reagì velocemente, gettandosi a terra e sgambettando il suo assalitore. E mentre l' assassino cadeva a terra si rialzò, sfoderando la sua daga. Prima che potesse contrattaccare, però, l' assassino era nuovamente in piedi. I due si fronteggiarono.
Improvvisamente Zaggizi si dette alla fuga, mentre l' assassino scattava insieme a lui per inseguirlo. Ma il capitano si arrestò bruscamente, voltandosi in un affondo. Chinatosi per evitare la lama, sentì la sua daga affondare nel ventre dell' uomo, poi la spinse verso l' alto aprendo un largo squarcio nella carne, da cui fuoriuscirono gli intenstini bluastri, mentre l' uomo moriva con un grido strozzato.
Zaggizi ripulì la spada sulla veste del morto e proseguì per la sua strada.
Arrivato dal venditore di cavalli pagò i cinque sicli d' oro precedentemente pattuiti per un cavallo da sella ed uno da soma carico di scorte. Conducendo le bestie per le cavezze si avviò verso la Porta dei Cammelli.
Agar-Keir aveva reagito esattamente come previsto: la vita agiata e molle lo aveva disabituato a agire con lucidità in momenti di improvviso pericolo, così era riuscito a prendergli il denaro occorrente per fuggire. Non gli era nemmeno venuto in mente che venti sicli d' oro sarebbero stati un prezzo troppo elevato anche per il mercato nero, cosa a cui non aveva avuto bisogno di ricorrere, e in più gli aveva dato altro denaro per "gli imprevisti".
Ma strada facendo, tra l' idea che l' indomani mattina Agar-Keir sarebbe stato trovato morto e la convinzione che lui sarebbe già stato lontano dalla città, gli sovvennero alcune parole del piccolo nobile: -... io porterò altri trecento, quattrocento sicli...-
Quattrocento sicli! Tutto quel denaro avrebbe fatto di lui un uomo ricco, nel Takàr. E poi era un peccato lasciarlo a qualche ufficiale corrotto. Arrestò e girò i cavalli, dirigendosi verso il Colle delle Grotte del Labirinto. Un po' di ritardo non lo avrebbe di certo messo in pericolo, dato che quelli dei Misteri erano ormai sicuri che lui fosse già morto.
Agar-Keir sbrigò in mezz' ora certe faccende importanti, come raccogliere documenti di notevole importanza che avrebbe portato con sé e distruggere quelli che sarebbero potuti essere utili al Re o ai Misteri, poi indossò la sua cotta di maglie d' acciaio, il leggero e resistente acciaio della città di Sardàr. La coprì con le vesti da viaggio, prese la spada lunga e la piccola balestra, mise in una bisaccia il denaro, cento sicli in oro, tutto ciò che gli restava, e i documenti che gli avrebbero fatto comodo una volta in esilio, indossò il mantello nero da viaggio e si avviò verso la porta sul retro.
Vi era quasi giunto quando gli si fece incontro la vecchia serva che gli aveva fatto da balia nell' infanzia e che tanto fedelmente lo aveva servito in quegli ultimi anni. Nascose sotto le falde del mantello la piccola balestra già carica per non spaventare la vecchia donna, cui lo legava un profondo affetto.
-Anànhia, cosa ci fai ancora alzata?- le chiese.
-Dove vai, Keiry?- chiese lei di rimando con tono preoccupato, usando il dimutivo con cui lo chiamava da bambino. -C' è qualcosa che non va?
Agar-Keir cercò una qualche bugia da dirle per tranquillizzarla e soltanto all' ultimo momento vide il sottile pugnale, un attimo prima che la lama baluginante affondasse nel suo ventre. D' istinto si buttò all' indietro, mentre sentiva l' acciaio gelido mordergli la carne. Colpì il pavimento assalito da un bruciore atroce al ventre, che insieme allo spavento e allo stupore inorridito di quell' inaspettata aggresione gli tolse per un lungo istante ogni lucidità.
Attese ma non accadde nulla. Allora aprì gli occhi. La prima cosa che notò fu il foro nel suo mantello e le nocche sbiancate della mano destra che stringeva convulsamente il calcio ed il grilletto della balestra. Poi vide la vecchia Anànhia, stesa a terra col sangue che ancora zampillava dalla gola squarciata dalla quadrella; le mani nodose, rovinate dall' artrite, si tendevano adunche verso l' alto. Il pugnale, arrossato dal suo sangue, era a terra poco distante.
La lama sottile era riuscita a penetrare fra le maglie del suo usbergo, ma non abbastanza per infliggergli altro che una ferita superficiale, anche se dolorosa, dato che la forza della vecchia era minima.
Quando si fu ripreso dal trauma abbastanza da ragionare, Agar-Keir controllò che la lama non fosse avvelenata. Sollevato dal fatto che Anànhia non avesse avuto l' accortezza di usare alcun veleno, tamponò la ferita, ricaricò la balestra e raggiunse la porta posteriore. La socchiuse e controllò che non ci fosse nessuno a giro, poi sgusciò fuori di casa, scomparendo nel buio della strada.
Raggiunse velocemente il colle delle Grotte del Labirinto. Sul lato est di quel colle che sorgeva ai margini del Quartiere Nobiliare, lungo le sue pendici ed in un largo spiazzo ai suoi piedi, si trovavano antiche rovine risalenti alla prima Mithas, un piccolo villaggio di pastori accresciutosi col tempo ed arricchitosi grazie al fatto di trovarsi al centro di tutte le strade commerciali della regione. Mithas era divenuta una delle più grandi città di Marvea, un regno che circa cinque secoli prima racchiudeva nei suoi confini tutte le terre di Mell e della Tetrarchia, che si trovava a nord, parte dei territori del Takàr; sempre a nord, le terre ora dell' Argash comprese fra il lungo Fiume del Ritorno e il Rio dei Rossi, e ad ovest quello che ora era il regno insulare di Kerlash.
Cinque secoli prima era stato il momento di maggior espansione di Marvea, un regno che durava da più di mille anni. Un secolo dopo era cominciato il decadimento, a causa di lotte interne, e subito i regni vicini ne avevano approfittato. I primi erano stati i koiròthiani, che avevano cominciato a varcare regolarmente i confini di Marvea, il cui esercito non era più in grado di difendere, sempre impegnato a combattere assurde guerre civili. Poi il potere centrale aveva perso ogni controllo sulle città minerarie del Massiccio Meridionale e di quelle della Catena del Gabràk, mentre la popolazione abbandonava i territori del sud per sfuggire alle incursioni di predoni. Quindi era toccato al Takàr e all' Argash farsi avanti per espandersi a spese di Marvea, mentre l' Isola Moiropth diveniva il covo di bande di pirati, i quali cominciarono ad infestare il Mar di Kerlash e a spingersi fin nel Golfo di Vider. Dopo poco Kadèr, la maggiore città di Kerlash, annunciava l' indipendenza e annetteva l' Isola Moiropth con la sua favolosa flotta pirata.
Tutto il territorio a sud del fiume Kaidàr era spopolato, escludendo le tribù di nomadi koiròthiani con le loro mandrie di cammelli, quando infine ciò che rimaneva di Marvea si scisse in due: il meridione rimase fedele all' antico monarca, che si rifugiò a Mithas, da cui continuò a comandare su un territorio sempre più ristretto; il settentrione seguì le città ribelli di Renan, Lui-An, Sardàr e Tajl-An, che fondarono la Tetrarchia, retta da un Tetrarca votato all' interno della più prestigiosa famiglia nobiliare di Sardàr per i primi anni, in quella di Renan nei successivi. La Tetrarchia riusciva a malapena a mantenere i propri confini, che passavano molto vicini alle Quattro Città, mentre Mithas si indeboliva sempre più, finché giunse un' orda di koiròthiani a raderla al suolo.
Dopo la caduta di Mithas, Kerlash costruì delle fortezze costiere lungo tutto il corso del fiume Kaidàr, la più interna delle quali fu Bet-Nimra, e grazie alla protezione di quei presìdi, il commercio nelle terre a settentrione del Kaidàr tornò a fiorire. E dato che Mithas sorgeva nel più importante nodo di vie di comunicazioni di tutta quella regione, venne ricostruita, e con le pietre delle sue rovine vennero eretti nuovi edifici e mura difensive. La città si fece sempre più ricca e potente, prosperando sul commercio, e ben presto i suoi signori si liberarono delle influenze degli stati vicini: vennero erette nuove mura ciclopiche impossibili da espugnare e i soldati dei nuovi eserciti di Mithas marciarono verso tutti i punti cardinali sottomettendo le città vicine che già in passato le avevano reso tributo. I territori sotto il suo dominio si estesero sempre più, fin quando conquistò una ad una tutte le fortezze lungo il Kaidàr, cominciando da Bet-Nimra. Nacque così il regno di Mell, ed i suoi confini si estesero verso nord fino alla Catena del Gabrak, dove si incontrò con la Tetrarchia; a ovest, combattendo i Takarìm; verso sud, ricacciando nel deserto i predoni koiròthiani e raggiungendo il Massiccio Meridionale, per scoprire che tutte le città-stato sorte nelle sue vallate erano da tempo scomparse, soffocate dalla povertà della regione, dai predoni e dall' isolamento. Infine riconquistò una ad una le sue città marinare e le fortezze costiere erette da Kerlash. I confini erano nuovamente sicuri, tutto Mell era popolato, sebbene gran parte del regno fosse stato invaso da sud dal deserto, e Mithas che era il cuore del regno fioriva, tanto da meritare ben presto l' appellativo di Favolosa. E così erano giunti gli Ultimi Tempi, cioè quegli anni in cui, secondo un' antica profezia, Mell si sarebbe eretto in breve a padrone della Mezzaluna, le ricche terre intorno al Golfo di Vider, per ripristinare l' antica gloria di Marvea.
E quelle dove Agar-Keir si era introdotto erano le ultime vestigia della prima Mithas, capitale di un impero senza pari sul continente, e fra esse si ergeva orgoglioso un arco di trionfo, oramai eroso dal tempo, che tutti in città conoscevano come l' Arco Marveano.
Zaggizi non c' era ancora, constatò soddisfatto Agar-Keir. Controllò la balestra e si sedette su una pietra nell' oscurità più fitta, attendendo l' arrivo del suo compagno di fuga.
Questi arrivò molto prima dell' ora stabilita, come Agar-Keir si era aspettato, come del resto si era aspettato che solo il cavallo montato da Zaggizi avrebbe avuto la sella, mentre l' altro sarebbe stato solo un cavallo da soma, cosa che notò facilmente anche se non c' era neppure la luna a rischiarare la scena.
-Sono qua, Zaggizi-, disse spostandosi verso un punto meno buio, ma non abbastanza da permettere all' altro di vederlo chiaramente.
-Eh? Come? Cosa... cosa ci fai qui?- chiese l' altro con tono a metà fra lo spaventato ed il sopreso. -Voglio dire, sei in anticipo.
-Anche tu.
Agar-Keir premette il grilletto e il dardo partì, colpendo preciso. Il ruomore della carne squarciata, del sangue zampillante e del metallo che raschiava contro l' osso si udì chiaramente, e fu come un gran fragore nella quiete della notte. Zaggizi fu spinto indietro dal colpo, ma si afferrò saldamente alle redini e riuscì a raddrizzarsi; aprì la bocca, ma il sangue gli invase la gola e gli ruscellò sul mento, soffocandolo, e quando dopo un attimo scivolò di sella emise solo un gorgoglio.
Agar-Keir recuperò dal cadavere di Zaggizi la sacca con i suoi soldi, poi, presa la cavezza del cavallo da soma, montò in arcione all' altro. Ricaricò la balestra e le mise la sicura, e solo allora gettò un altro sguardo al morto.
-Senza rancore, capitano, ma era tu oppure io. E poi non sono stato io ad ucciderti, ma la tua avidità.
Voltò i cavalli e si avviò verso le porte della città, lasciandosi alle spalle il vicolo cieco del Labirinto.
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