La
notte aveva portato la neve. Poca, giusto una spolverata visibile in
strisce e chiazze in mezzo all'erba della radura seccata dal gelo. Ma
il significato era chiaro: l'inverno era cominciato. Presto la neve
sarebbe caduta copiosa, coprendo tutto il paesaggio. Lo Scuro guardò
avidamente oltre la radura, là dove, al limite del bosco di abeti,
la Casa dei Morti era una forma scura contro lo sfondo più scuro
degli alberi. Nervosamente si guardò intorno. Si aggiustò le pelli
che lo coprivano, inadeguate alla stagione che stava arrivando.
Doveva trovare un riparo per le notti gelide o non avrebbe superato
l'inverno. Ne era cosciente.
La
Casa dei Morti. Nessuno eccetto lo Sciamano poteva entrarvi e nessuno
vi entrava mai. Anche il vecchio Sogni lo faceva raramente. Poteva
trovare un altro riparo? Le grotte vicino al fiume non erano sicure.
Nessuno lo avrebbe accettato nella propria tenda, non dopo che Denti
lo aveva cacciato dalla sua.
Con
un brivido di rabbia e paura Scuro ricordò l'accaduto, il suo
tentativo di accoppiarsi con la femmina-madre e il rientro improvviso
di Denti. Denti non era il suo maschio-padre, quello era morto in
caccia, sbranato dall'orso. Dopo il fatto Denti aveva preso la
femmina-madre di Scuro nella sua tenda, insieme ai tre figli. Denti
decideva per chiunque vivesse nella sua tenda. E quando lo aveva
scoperto che cercava di possedere una delle sue femmine lo aveva
picchiato e cacciato dalla tenda. Sulla spalla destra portava ancora
il segno di un profondo morso che Denti gli aveva dato, una sorta di
marchio che il maschio dominante imponeva a chi sconfiggeva.
Digrignando
i denti si guardò intorno. Nessuno nelle vicinanze. Aggirando la
radura si diresse verso la Casa dei Morti. Lo Scuro non era un
cacciatore: troppo giovane, troppo debole. Il suo fisico esile non si
era ancora adeguatamente sviluppato per la sua età. Denti non gli
dava molto da mangiare.
Però
era abile a prendere i pesci con le mani. Stava fermo immobile,
nell'acqua bassa, le mani immerse e vicine. Era capace di stare
immobile per ore se necessario. Sembrava neanche respirasse. E quando
un pesce delle dimensioni adeguate sgusciava fra le sue dita queste
si serravano nella sua carne in modo tale che non potesse sfuggirgli.
Ma di inverno non poteva stare nell'acqua gelida. Ed anche se avesse
potuto farlo senza farsi gelare le mani, i pesci stavano a dormire
nell'acqua profonda dove lui non poteva raggiungerli. Nessuno lo
avrebbe sfamato per tutto l'inverno nell'attesa della primavera,
quando avrebbe potuto riprendere a pescare.
Raggiunto
il retro della Casa dei Morti lo Scuro stette in ascolto. Nessuno
sarebbe venuto lì, non verso l'imbrunire. Neppure Sogni. Ma la paura
era tanta ugualmente. Non credeva a Sogni, non quando minacciava la
vendetta dei morti. I morti sono morti, che possono farti? Altrimenti
il suo maschio-padre avrebbe impedito che Denti si prendesse la sua
femmina. Non lo aveva fatto, perché era morto.
La
Casa era costruita con piccoli tronchi d'albero, rami e frasche
coperti di fango, a base rettangolare. Altri rami e zolle d'erba
formavano il tetto. Non era alta e i muri erano spessi. Nel centro
del tetto c'era un'apertura, per lasciare entrare i corvi. Non adatta
al suo scopo, lo Scuro ignorò l'apertura nel tetto, ma si concentrò
su un punto dove i rami del tetto non erano ben inseriti in quelli
della parete. Riuscì ad allargarli sufficientemente per il suo corpo
sottile e vi sgusciò in mezzo come una donnola. I capelli neri e
stopposi si impigliarono nei rami, ma lui dette uno strattone
incurante del dolore. Con un grugnito cadde all'interno e rotolò sul
fondo di terra battuta.
Alzando
la testa si guardò intorno. In un primo momento non vide niente, poi
gli occhi si abituarono alla semioscurità e cominciò a distinguere
le forme intorno a lui. Al centro della Casa, proprio sotto
l'apertura nel tetto, c'era il catafalco costruito ammassando rocce
che poi erano state ricoperte di pelli. Lì sopra venivano deposti i
morti. I corvi entravano dall'apertura nel tetto per mangiarne le
carni, liberare lo spirito del morto ed accompagnarlo nel Mondo degli
Spiriti. E, appese alla parete dietro il catafalco, c'erano le
maschere di Sogni. Nell'oscurità crescente non poteva vederle
chiaramente, erano solo forme vagamente distinte.
Con
una scrollata di spalle lo Scuro raggiunse l'angolo più lontano
dall'ingresso e, ignorando i brontolii dello stomaco, si lasciò
cadere a terra e si addormentò.
Svegliandosi
il mattino dopo, infreddolito e dolorante, si soffermò a guardare le
maschere di Sogni. C'era il Corvo, fatta di corteccia nera, che lo
Sciamano indossava per i funerali; l'Uomo-Albero, di giunchi
intrecciati, per la Festa di Primavera, che per l'occasione veniva
ricoperta di tutti i tipi di foglie; la Madre, usata per invocare
l'aiuto della Dea-Madre, specialmente al momento del parto; l'Orso,
coperta di pelliccia nera, propiziatoria della caccia; il
Volto-di-Paglia, fatto di paglia strettamente intrecciata, per
propiziare il raccolto; i Falsi-Volti, di fango dipinto di nero, che
Sogni indossava quando un membro della tribù affrontava il rito di
iniziazione all'età adulta. Infine c'era lo Straniero, il Nemico, lo
Sconosciuto. Una sola maschera di legno scavato che racchiudeva in sé
molteplici persone. Dipinta di rosso. Priva di fori per gli occhi.
Era la maschera che Sogni indossava più di rado. Lo Scuro gliela
aveva vista indosso solo due volte, l'anno precedente, la prima per
propiziarsi gli Spiriti contro una tribù giunta da nord che aveva
invaso il loro territorio di caccia, e la seconda dopo lo scontro,
quando sei membri della tribù nemica erano stati catturati. La
maschera era priva di occhi, ma lui aveva visto Sogni camminare come
se potesse vedere chiaramente. Lo aveva visto impugnare la sua mazza,
fatta di una pietra tonda legata in cima ad un bastone di legno
d'abete, e avvicinarsi al gruppo dei prigionieri, quattro uomini e
due donne troppo vecchie per diventare le mogli di qualcuno dei
cacciatori. I prigionieri erano in ginocchio, legati mani e piedi con
funi di erbe intrecciate. Lo Scuro li aveva visti arrivare, scortati
dai cacciatori vittoriosi, camminando a fatica a piccoli passi a
causa delle funi che legavano le loro caviglie. Sogni aveva alzato la
mazza per abbatterla sul cranio del primo dei prigionieri. Urla e
pianti erano scoppiati fra il gruppo fino a quel momento rassegnato,
interrotti uno dopo l'altro da un crack
quando la mazza sfondava il cranio di uno di loro. Lo
Sciamano li aveva uccisi tutti. Poi l'intera tribù si era gettata
sui corpi e li aveva mangiati.
Spavaldo,
lo Scuro si avicinò alle maschere. Sembravano fissarlo, con le loro
occhiaie vuote e le bocche spalancate. Solo la maschera rossa, quella
priva di occhi, la bocca una stretta fessura, sembrava indifferente
alla sua presenza. L'unica che non si curava della sua profanazione.
Un po' incerto, il ragazzo allungò un braccio e con mano tremante
staccò la maschera dalla parete. Quasi la fece cadere, nel farlo,
cosa che gli mozzò il respiro. Quando il cuore ebbe smesso di
battergli all'impazzata nel petto scarno fece un lungo respiro,
chiuse gli occhi e si portò la maschera al volto. In principio, dopo
aver riaperto gli occhi, non vide niente, anche se non era così buio
come si era aspettato. Poi comprese che la luce filtrava attraverso
un gran numero di piccolissimi fori che coprivano tutta la superficie
della maschera. Bugiardo!
Il pensiero esplose nella sua mente. Sogni é
un bugiardo. La maschera non é cieca! Ci
mise un po di tempo, ma alla fine riuscì ad abituarsi a guardare
attraverso i fori a sufficienza per fare un intero giro intorno al
catafalco mortuario. A quel punto, sorridente e soddisfatto, rimise
la maschera al suo posto fra le altre. Tutte false, come falso era
Sogni. E gli Sciamani prima di lui. Non c'era nessuno Spirito, non
c'erano le anime dei morti. Erano solo bugie.
Quel
giorno e i seguenti, uscendo e rientrando per la stessa via, allargò
il passaggio, mimetizzandolo perché l'apertura non fosse visibile da
fuori. La neve ancora tardava, e il ragazzo impiegò il poco tempo
rimastogli nel tentativo di fare un po' di provviste. Bacche aspre,
le ultime erbe coriacee, un piccolo pesce che riuscì fortuitamente a
pescare e che mangiò crudo. Mangiava tutto quello che trovava,
pensando di fare come gli orsi, che si preparano all'inverno
mangiando tutta l'estate. Vermi e larve, ogni piccola creatura su cui
riusciva a mettere le mani. Portò delle bacche nella Casa dei Morti,
con l'intenzione di conservarle per quando la neve fosse arrivata, ma
rientrando il giorno successivo trovò che i ratti le avevano
mangiate tutte. Passata la rabbia, questo gli fece venire in mente
che avrebbe potuto usare le bacche come esca per i ratti; così si
armò di una pietra rotonda e fece gli agguati ai grossi roditori.
Per tre giorni mangiò carne, poi le bestie capirono e non si vecero
più vedere.
Nel
frattempo la neve era caduta.
Passò
i primi due giorni nella Casa, tremando di freddo ma più timoroso
del freddo che avrebbe trovato fuori, col cielo completamente grigio
di nubi basse ed uniformi che a tratti lasciavano cadere la neve in
grossi e fitti fiocchi. La seconda notte, trascorsa in un sonno
frammentato e tormentato dai morsi della fame, sognò di qualcuno che
gli parlava. Erano parole quasi inintelleggibili, in principio, ma
verso l'alba riuscì ad afferrarne il senso. Era una sola frase,
ripetuta senza sosta: nella tenda comune ci
sono cibo e pelli.
Quando
aprì gli occhi, lo sguardo dello Scuro andò istintivamente alla
maschera rossa. Perché, chiese a se stesso? Disgustato si alzò in
piedi, tremando per il freddo e la fame. Il sogno aveva detto giusto:
cibo e pellicce erano custodite nella tenda comune. Raggiunse
l'apertura, ma ancor prima di rimuovere le frasce della copertura si
rese conto che fuori stava nevicando forte. Era sul punto di
tornarsene a giacere nel suo angolo quando sentì nuovamente la voce
del sogno.
La
neve coprirà le tue tracce.
Attonito
si guardò intorno. La voce era così vicina che gli aveva fatto
saltare un battito del cuore: aveva creduto ci fosse qualcun altro
con lui nella Casa dei Morti. Non c'era nessuno. Ma che la neve
avrebbe coperto le sue tracce era vero. Tutti sarebbero stati nelle
loro tende, con quella nevicata, nessuno lo avrebbe visto. Non
avrebbe avuto occasione migliore.
Poco
dopo era fuori, nella neve alta fino al ginocchio, lottando per
orizzontarsi nella neve che cadeva fitta. Era come un muro di fronte
a lui, che rifletteva una pallida luce che non si capiva da dove
potesse provenire, ma sufficiente a malapena a far risaltare la
tenebra un metro più avanti. In pochi minuti le pelli che lo
vestivano si erano inzuppate d'acqua e aveva preso a gelare. I piedi
erano diventati insensibili e spesso inciampava. Cominciò a battere
i denti.
Quando
ormai credeva di essersi perso nella nevicata e il panico iniziava a
fare presa, come gli artigli di una fiera piantati nella carne, si
ritrovò in mezzo alle tende. Raggiunse la tenda comune da dietro.
Incurante di qualsiasi cosa ne sollevò i lembi, vi si infilò sotto
e, trovata una grossa pelliccia, vi buttò dentro tutto quello che fu
in grado di trovare al buio. Riavvolse la pelliccia, quindi fece
ritorno il più velocemente possibile alla Casa dei Morti.
Nell'entrare
cadde letteralmente dentro, semicongelato, al punto da non essere in
grado di muovere propriamente le gambe e da non sentirsi più le dita
delle mani. Strisciò nel suo angolo, si strappò come poté le pelli
fradice di dosso, svolse la pelliccia e vi si arrotolò dentro,
iniziando a strofinarsi le estremità.
Il
mattino successivo era ancora vivo.
Aveva
la febbre ma era vivo. Dentro la pelliccia stava caldo. Il principio
di congelamento sofferto gli faceva dolere le dita di mani e piedi,
ma il dolore era qualcosa con cui conviveva giornalmente. Si guardò
intorno, stordito: il catafalco mortuario era coperto di neve su cui
il sole si rifletteva e la luce riflessa illuminava chiaramente le
sette maschere. Lo Scuro rimase a fissare la maschera rossa, appesa
centralmente rispetto alle altre.
Infine
si riscosse dai suoi pensieri e guardò il cibo che aveva rubato. Non
c'era molto. Credeva di essere riuscito a prendere di più. Ma c'era
della carne essiccata, il che non era male. Presone un pezzo iniziò
a masticarlo lentamente.
Ben
presto il suo sguardo riprese a rivolgersi sempre più spesso verso
la maschera dello Sconosciuto. Di chi era la
voce che ho sentito? si chiese.
Non
trovò risposta, perciò si mise a dormire. E dormendo la maggior
parte del tempo passò i giorni successivi. Razionò il cibo, bevve
la neve caduta dentro la Casa. La febbre passò, recuperò le forze
ma non l'uso completo delle dita dei piedi, che erano diventate molto
scure. Non ci fece caso. Nevicò altre due volte, poi le nubi
passarono oltre e il sole prese a splendere su un mondo che, sapeva,
era completamente bianco. Il cibo finì.
Non
puoi uscire.
La
voce fu come un sussurro, la udì proprio mentre stave per indossare
le sue vecchie pelli.
-Andrò
di notte-, rispose. Non si preoccupava più di sapere a chi
appartenesse la voce.
Seguiranno
le tue orme nella neve e scopriranno che sei qui dentro.
Il
gelo si impossessò del ragazzo.
Devi
aspettare che nevichi di nuovo.
Aspettare
un'altra nevicata? Poteva non nevicare per settimane!
Risparmia
le energie. Dormi.
E
così fece lo Scuro. Si buttò nel suo angolo, si avvolse nella
pelliccia di orso e dormì.
Dormì
per giorni, in letargo come l'animale la cui pelliccia lo avvolgeva.
Dormì come il bruco dorme dentro il suo bozzolo. Lo fece fin quando
la fame si fece così forte da farsi sentire anche attraverso lo
stato di catatonia in cui si era lasciato cadere.
Non
riuscì più a dormire in maniera continuata, inconsapevole del tempo
che trascorreva. I crampi della fame lo attanagliavano oltre il suo
stato di incoscienza. Ma ancora non nevicava. Mangiò i suoi stessi
escrementi, seccatisi in un angolo della Casa. Poi gli stati di
incoscienza cominciarono a calare su di lui improvvisi, senza che
fosse lui a richiamarli. E durante uno di questi periodi di
incoscienza nevicò, e lui perse l'occasione di andare in cerca di
cibo. Risvegliandosi e rendendosi conto della cosa pianse, le lacrime
che gli si congelavano sul viso.
Poi,
un giorno, l'alba fu accompagnata da urla e pianti. Lo Scuro si
risvegliò, capendo subito che si trattava di pianti funebri. Non per
una morte inaspettata.
La
vecchia Tre Dita é morta stanotte, disse
la voce.
-La
porteranno qui!
Sogni
sta già venendo qui a prendere il Corvo.
-Mi
scoprirà!- Il terrore si impadronì del ragazzo. -Devo uscire!
Ma
come pronunciava rocamente le parole comprese che non ne aveva la
forza.
Stenditi
nell'angolo, copriti con la pelliccia e resta immobile. Sogni non ti
vedrà.
E
così fece lo Scuro. Coperto dalla pelliccia, immobile come una
pietra, quasi senza respirare, rimase ad ascoltare i rumori fatti da
Sogni che apriva l'accesso alla Casa, entrava e andava alla parete
dove stavano le maschere. Poi i rumori finirono.
Se
ne é andato, ma torneranno presto a portare il corpo. Tu rimani
immobile sotto la pelliccia, io li distrarrò.
Il
tempo passò in uno stillicidio torturante. Lo Scuro temeva di
perdere coscienza e di tradirsi con un gemito. E a tratti la sua
mente si faceva nera, ma sempre si costringeva a tornare indietro.
Infine li sentì arrivare. I pianti rituali si fecero più vicini,
l'arrancare della tribù nella neve divenne chiaramente
distinguibile, fin quando tutti si arrestarono fuori dell'ingresso.
In due, Sogni e qualcuno scelto per l'occasione, un congiunto di Tre
Dita, portarono il cadavere dentro la Casa, probabilmente usando una
barella di rami intrecciati, e lo adagiarono sul catafalco. E mentre
l'aiutante di Sogni si affrettava ad uscire dalla Casa, lo Sciamano
prese ad intornare le invocazioni agli Spiriti. Infine il canto
tacque, la maschera fu riposta sulla parete e l'accesso della Casa
richiuso. La tribù tornò alle tende, i pianti messi da parte.
Se
ne sono andati e non torneranno per molto tempo,
disse la voce. Puoi uscire.
Lo
Scuro fece capolino dalla pelliccia. La vista era appannata, distinse
a malapena la forma immobile sul catafalco. Il suo stomaco gorgogliò.
é
carne, disse la voce.
Lo
Scuro scosse violentemente la testa, provocandosi un capogiro. -No! é
un membro della tribù!
Nel
silenzio che seguì il ragazzo perse conoscienza. La luce del sole si
affievolì, ma lui non se ne accorse. La tenebra riempiva la Casa
quando rinvenne. I crampi allo stomaco non gli davano tregua. Si
passò la lingua rasposa sulle labbra gonfie.
Anche
tu hai mangiato la carne dei prigionieri, disse
la voce. Ricordi il sapore del loro
sangue?
-Erano
stranieri, non erano della tribù.
Non
é più la tua tribù.
-Cosa?
Ti
hanno cacciato, ti hanno condannato a morte.
Lo
Scuro ristette, la mente svuotatasi all'improvviso.
Tu
sei la tua tribù.
Quando
si rese conto di cosa stava facendo, era strisciato già per metà
della distanza che lo divideva dal catafalco. Nel buio, a tentoni,
trovò il cadavere, freddo e rigido, e lo addentò. Le gengive si
erano ritratte e mordere gli provocò dolore. Sentendo i denti
tentennare desistette, ma solo il tempo di trovare una parte più
morbida da cui cominciare.
Mangia
lentamente, disse la voce sardonica, o
vomiterai.
Le temperature si stavano rialzando. Seduto nella sua
sua pelliccia d'orso, lo Scuro stava spezzando le ultime ossa di Tre
Dita per succhiarne il midollo. Aveva riacquistato peso e forze.
-Allora é vero che tu parli a Sogni.
Mai
parlato con Sogni.
-Ah no?- Succhiando da una tibia il giovane guardò di
sottecchi la maschera rossa appesa alla parete.
Sogni
é un bugiardo. Non crede al potere delle maschere. Non é uno
sciamano.
-E perché parli a me?
Tu
sei diverso. Tu solo puoi sentirmi.
Lo Scuro gettò via l'osso svuotato, sulle penne di
alcuni corvi che avevano provato a reclamare la loro parte di carne.
-La carne é finita.
Là
fuori ce n'é altra.
Lo Scuro rivolse uno sguardo corrucciato alla maschera.
-Le mandrie sono andate lontano, ormai. E comunque non ho una lancia.
E non sono un cacciatore.
Fidati
di me e avrai carne in abbondanza.
La
maschera sul viso, lo Scuro avanzò completamente nudo nella neve,
insensibile alle temperature. Lui non se ne rendeva conto, ma nei
mesi passati nella Casa dei Morti il suo fisico aveva subito una
trasformazione, come veramente fosse stato un bruco chiuso nel
bozzolo. Ora era più alto e il suo corpo si era irrobustito.
Ipnotizzato
dal suo stesso respiro all'interno della maschera, il giovane aveva
perso coscienza di se stesso. Qualcun altro stava guidando il suo
corpo, mentre, insensibile al gelo, procedeva spedito attraverso il
paesaggio bianco. Percorse il bosco di conifere, maestosi abeti e
picea che svettavano al cielo stretti uno all'altro. Poca neve era
riuscita a raggiungere il suolo in questa parte della foresta,
formando uno strato spesso non più di una decina di centimetri,
incapace di coprire i rami spezzati dal vento o i tronchi delle
piante più piccole che avevano perso la competizione per la vita ed
erano morte, precipitando poi al suolo fra l'indifferenza silenziosa
dei loro simili. Ma lo Scuro procedeva spedito incurante degli
ostacoli, calpestando rami appuntiti e rocce, che parevano non avere
alcun effetto su di lui, come se camminasse su una superficie
totalmente soffice. Piano piano agrifogli, tassi, querce e faggi
mescolati ad aceri e frassini si sostituirono alle sempreverdi. In
questa parte del bosco, formata di alberi decidui, la neve si era
accumulata alta, sommergendo quasi totalmente il sottobosco di rovi,
felci e viburni di varie specie. Il suo procedere si fece più lento,
ma sempre sostenuto e sicuro.
Guidato
dalla coscienza aliena che risiedeva nella maschera, lo Scuro aveva
compiuto un lungo giro che lo aveva portato alle spalle del
villaggio. Non lontano scorreva il fiume, dove la tribù andava a
prendere l'acqua e a lavorare le pelli. In inverno, col fiume
ghiacciato, nessuno vi si recava, se non uno dei cacciatori per
provare a catturare qualche pesce con la lancia. L'area era comunque
considerata sicura, perciò capitava che membri anche giovani della
tribù potessero recarvisi da soli.
E
così fu quel giorno. Nascosto dietro il tronco di un grande
frassino, lo Scuro osservò l'avvicinarsi di uno dei bambini più
grandi, avvolto in vesti di pelliccia, che in solitudine si stava
recando al fiume. Ma fu lo Sconosciuto che rimase in agguato dietro
l'albero, che attese il bambino passasse a fianco d'esso, e che
quindi, con mani veloci e sicure, lo afferrò per la gola. Lo Scuro
rimase solo ad osservare, distante ed indifferente, quasi, il piccolo
corpo che scalciava sollevato da terra, gli occhi pieni di terrore
fissi sulla maschera rossa.
Quando
il corpo fu infine privo di vita, i due se lo caricarono in spalla e
fecero ritorno alla Casa dei Morti.
-Non
credi che verranno qua a vedere?
Nessuno
si avvicina alla Casa dei Morti senza motivo. Se non troveranno il
corpo non verranno qui.
-Potrebbero
seguire le mie tracce nel bosco.
Una
risata chioccia risuonò dalla maschera. So
come nascondere una pista, non avere paura.
Lo
Scuro fissò il corpo del bambino. Un'espressione pensierosa gli
corrugò il volto.
Non
mangi?
-C'é
qualcosa di sbagliato...
Non
c'é niente di sbagliato nel voler sopravvivere. Mangia. Ti sto
aiutando a sopravvivere.
E
lo Scuro mangiò.
Il
tempo trascorse lento, scandito dalle albe e dai tramonti. Nevicò
ancora, soffiò il vento, ci fu il sole. Lo Scuro girava nudo sotto
il sole scintillante o nelle notti di tormenta. Era ormai insensibile
agli elementi. Solo di notte, quando dormiva, si avvolgeva nella
pelliccia d'orso. Ma era più un'abitudine che una necessità. Tornò
due volte ancora a rubare dalla tenda comune e nella tribù si sparse
la convinzione che uno Spirito fosse adirato con la tribù stessa.
Andarono da Sogni e gli chiesero di cacciare lo Spirito, ma lo
Sciamano sapeva che non c'era alcuno Spirito. Ma non sapeva che fare,
perciò prese tempo e si ritirò in una grotta, per divinare disse.
Non
fu più permesso ai bambini di allontanarsi dal villaggio, e per ben
tre volte lo Scuro e lo Sconosciuto fecero loro la posta inutilmente.
Poi, un giorno, si imbatterono in un cacciatore solitario. Lo Scuro
lo conosceva, il suo nome era Occhi Grigi, un compagno di Denti. Non
era una preda facile come un bambino, ma c'era molta più carne.
L'uomo
girava per il bosco in cerca della traccia di qualche animale, o
delle loro tane. Quella parte del bosco era relativamente sicura, gli
animali da preda si aggiravano lontano dal villaggio, perché lontano
dal villaggio stavano le loro prede. Perciò non era particolarmente
guardingo, e su questo lo Sconosciuto contava. Lo attese nascosto dal
fogliame di un agrifoglio, una pietra aguzza nella mano. Sapeva che
Occhi Grigi sarebbe giunto vicino al cespuglio, nel suo vagare in
cerca di segni, e così fu.
La
pietra si abbatté pesantemente sulla sua nuca, affondando nel
cervelletto. Occhi Grigi stramazzò a terra con un grugnito. Leccando
il sangue sulla pietra, lo Sconosciuto pensò che l'uomo era troppo
pesante perché lo Scuro potesse trasportarlo a lungo, e tanto meno
avrebbe potuto sollevarlo oltre l'apertura ricavata sotto il tetto
della Casa dei Morti. Scagliò la pietra lontano, poi sollevò il
cadavere sulle spalle.
Lo
portarono in una zona della foresta dal sottobosco fitto, e lì lo
fecero a pezzi. Usando il coltello di selce del cacciatore lo
Sconosciuto estrasse il fegato e i reni e lo Scuro li mangiò,
lordandosi di sangue. Lo Scuro mangiò fino a saziarsi, poi tagliò
via una gamba, con un lento lavoro stancante, quindi fece ritorno
alla Casa dei Morti quando già la tenebra era calata.
I
cacciatori trovarono il corpo del loro compagno alcuni giorni dopo.
Gli animali del bosco ne avevano fatto ulteriore scempio.
-Non
lo ha ucciso un animale-, disse Denti, mentre fianco a fianco a Sogni
guardavano il cadavere di Occhi Grigi. -E non é morto qui. Abbiamo
trovato la sua lancia ieri, distante da qui, più vicino al
villaggio.
-Non
é stato uno Spirito, Denti-, rispose lo Sciamano. -Io non posso fare
niente.
Denti
annuì. -C'erano orme di piedi nudi. Forse uno del Popolo delle
Caverne. O uno dei Pelosi.
Involontariamente
Sogni rabbrividì. I Pelosi erano abomini, né uomo né animale,
feroci e maligni. Ma se si trattava di uno del Popolo delle Caverne
poteva essere peggio.
-Qualunque
sia,- continuò Denti, -é astuto. Non lascia tracce a sufficienza
per poterlo seguire. Metteremo delle trappole e lo prenderemo. Gli
strapperò il cuore.
Fu
così che portarono Occhi Grigi alla Casa dei Morti. Lo Sconosciuto
udì Sogni avvicinarsi, per prendere la maschera del Corvo, ed avvisò
lo Scuro. Lasciarono la Casa e si nascosero al perimetro del bosco ad
osservare lo Sciamano che, visibilmente scosso, usciva dalla Casa
inciampando. Si era dimenticato di prendere il Corvo.
Fece
ritorno non molto tempo dopo, in compagnia di Denti. Il cacciatore lo
seguì riluttante nella Casa, e quando uscì il suo volto era
aggrondato. Era visibilmente nervoso, ma fece il giro della Casa e
tornò indietro meno impaurito. La sua espressione era dubbiosa,
mentre stava ad ascoltare Sogni.
Non
può dirgli la verità, rise lo Sconosciuto.
Sogni crede che non ci sia nessuno Spirito,
crede che un uomo sia l'artefice di tutto, ma non può dirlo a Denti.
-E
Denti non gli crede-, aggiunse lo Scuro. -Non del tutto almeno. Ha
molti dubbi.
Videro
Denti fare un segno secco allo Sciamano, che si zittì e rientrò
nella Casa, uscendone con la maschera del Corvo. Poi i due se ne
andarono.
Quando
la processione funebre giunse alla Casa dei Morti, era Denti che
aiutava Sogni a trasportare la barella col cadavere di Occhi Grigi. I
due entrarono nella Casa, Denti ne uscì poco dopo, mentre Sogni si
tratteneva per le propizziazioni. Poi anche quest'ultimo usci. Ma non
se ne andò insieme alla tribù. Lui, Denti e altri quattro
cacciatori rimasero alla Casa. Quattro piccoli fuochi di legno di
agroverde, un
cespuglio il cui legno bruciava lentamente e senza fiamma, furono
accesi agli angoli della Casa, e i quattro cacciatori si disposero
vicino ad essi a fare la guardia.
Fumo
di agroverde contro gli Spiriti, uomini di guardia contro gli uomini.
Lo
Scuro e lo Sconosciuto se ne andarono. Non potevano rientrare nella
Casa dei Morti.
La
primavera giunse improvvisa, come ogni anno, coi venti caldi delle
Terre Dove Il Sole é Più Alto. La neve si sciolse e trasformò il
terreno in fango, il fiume si disgelò e ingrossò al punto da essere
pericoloso. I cacciatori non uscivano più da soli, le donne che si
recavano nel bosco a raccogliere erbe e germogli erano sempre
accompagnate da almeno due uomini.
Lo
Sconosciuto guidò lo Scuro lontano dal villaggio, in una piana in
cui i cacciatori non si recavano mai. Era un terra insidiosa, di
acquitrini celati dalle erbe alte e di fanghi che potevano
risucchiare lentamente un uomo. Ma non c'erano animali da preda,
mentre invece c'era acqua e c'erano pesci.
Lo
Scuro vi rimase tutta la primavera e parte dell'estate, pescando
pesci con le mani e con la lancia, raccogliendo crostacei e
molluschi, mangiando erbe, radici e bacche, funghi e frutta. Solo una
volta tornò verso il villaggio. Arrivò fino alla radura della Casa
dei Morti, vide i corvi che entravano dall'apertura del tetto, si
chiese chi fosse morto e tornò indietro.
Mangiando
a sazietà il suo corpo crebbe dell'altro, diventando ancor più alto
e robusto. Mise su una cintura di grasso intorno ai fianchi e il viso
fu coperto da una folta barba.
Un
giorno oppresso da una cappa di caldo che rendeva l'aria
irrespirabile, in quella piana chiusa dai colli dove le brezze non
riuscivano a penetrare, lo Sconosciuto parlò allo Scuro.
Ti
serve una femmina.
Lo
Scuro ristette, steso sull'erba alta che gli faceva leggermente
prudere la schiena nuda. Il suo sguardo si rivolse verso il basso,
dove il suo sesso svettava eretto. L'aver portato la sua attenzione
sulla questione risvegliò uno strano miscuglio di sensazioni, un
rimescolio dei visceri che gli fece pulsare dolorosamente i
testicoli.
-E
dove la trovo una femmina?
Prendine
una della tribù. Una delle giovani é pronta per andare da un uomo.
-Come
lo sai?
La
maschera rise. Io so molte cose, non chiederti
come faccio. Limitati a fidarti.
Fu
così che lo Scuro lasciò la terra degli acquitrini per tornare al
bosco della tribù. Camminò per tre giorni prima di giungere in
prossimità del villaggio. Sospettoso si aggirò per due giorni nella
foresta intorno al villaggio e alla Casa dei Morti, prima di
avvicinarsi ulteriormente. I cacciatori non erano alle tende, partiti
per una battuta di caccia. Tutto sembrava essere tornato alla
normalità, dopo molte lune durante le quali non si erano verificati
né furti né morti. Non c'erano più guardiani, e le donne si
allontanavano da sole in cerca di frutti, bacche ed erbe.
Troveremo
la femmina di cui ti ho parlato domani, disse
lo Sconosciuto. Possiamo passare la notte
nella Casa dei Morti.
Fu
così che lo Scuro tornò alla sua vecchia tana. Trovò che era stata
ripulita, le ossa, la pelliccia e tutti i segni del suo pernottare
rimossi.
Sogni
ha bruciato la pelliccia. Ha fatto arrabbiare Denti.
-Aveva
ucciso lui quell'orso-, commentò lo Scuro mentre si lasciava cadere
nell'angolo dove lo scorso inverno era giaciuto, debole ed affamato,
in preda alla febbre e vicino alla morte.
Ora
dormi, domani avrai la tua femmina.
Lasciarono
la Casa prima dell'alba. Gli uccelli cantavano nella tenebra
impigliata fra i rami degli alberi, era il canto del risveglio. Si
addentrarono nel bosco, lo Scuro seguendo le indicazione dello
Sconosciuto fino ad una radura ben precisa, i cui bordi erano formati
da fitti cespugli di lamponi. Lo Scuro si sfamò coi frutti appena
appena aspri, quindi, incurante delle piccole spine delle piante di
lampone, si stese fra di esse in attesa.
Nel
pomeriggio la femmina che stava aspettando arrivò. Lo Scuro si
ricordava di lei, una femmina acerba e silenziosa, che parlava sempre
a voce bassa. Sì, lo Sconosciuto aveva ragione, era pronta per
andare da un uomo. Stette a guardarla mentre coglieva i frutti del
lampone, riempiendo una cesta di vimini intrecciati. Attese finché
fu abbastanza vicina, quindi la chiamò col saluto della tribù,
perché non si spaventasse e scappasse via immediatamente. Lentamente
si alzò dal suo giaciglio, la maschera rossa in una mano. La ragazza
lo guardò senza capire. Le aveva rivolto il saluto della tribù, ma
non lo riconosceva. Non era in grado di collegare il ragazzo magro
dalla pelle scura e i capelli neri con questo uomo alto e muscoloso,
dalla folta barba nera. Il saluto formale fu sufficiente a permettere
allo Scuro di percorrere i primi metri senza che lei fuggisse, senza
che la figura di un uomo totalmente nudo che le si avvicinava col
sesso eretto e sgocciolante liquido preseminale facesse breccia nel
suo stupore. Quando lasciò cadere il cesto coi lamponi e si girò
per fuggire era ormai troppo tardi. Lo Scuro coprì l'ultimo metro
con un unico balzo e la afferrò per un polso, strattonandola a terra
e gettandolesi sopra. Strappò le pelli che la coprivano e la penetrò
quasi in un unico movimento. Fu tutto così veloce che la ragazza non
riuscì neanche a gridare, prima lasciata senza fiato dall'urto col
terreno, poi dal dolore della penetrazione immediatamente seguita da
un'abbondante fluido che la riempì.
Lo
Scuro giacque su di lei, travolto dall'intensità dell'orgasmo che
immediatamente era sopraggiunto penetrandola. Non aveva neanche avuto
il tempo di capire cosa stava facendo o accadendo. L'orgasmo lo aveva
attraversato in tutto il corpo e lasciato incapace di pensare, senza
respiro, disteso sul corpo della ragazza. In meno di un minuto tutto
era finito, i due giacevano totalmente immobili uno sull'altra, lui
ansimando e lei senza osare fiatare, impaurita e stordita da ciò che
era successo.
Fu
lei la prima a riprendersi. Con una contorsione ed una spinta ribaltò
il corpo inerme dello Scuro e si dette alla fuga. Lo Scuro si rialzò
traballando, ancora incapace di realizzare pienamente cosa gli era
successo, afferrò la maschera rossa che giaceva nell'erba e si dette
all'inseguimento. Ma i suoi passi erano incerti, il suo respiro
affannoso e la ragazza andava guadagnando terreno.
Lascia
fare a me!
Lo
Scuro indossò la maschera ed immediatamente i suoi piedi tornarono
sicuri, il suo respiro regolare. In pochi minuti di corsa fra gli
alberi ed il sottobosco la distanza fu recuperata, un ultimo balzo e
fu sulla sua preda, atterrandola nell'erba e nelle foglie del
sottobosco. Il desiderio nuovamente urgeva nei lombi del giovane.
Spinse la ragazza sulla schiena, le aprì le cosce a forza e la
penetrò nuovamente, questa volta senza lasciare che il piacere lo
sopraffacesse. Ma non più colta di sorpresa, sebbene impaurita ed
anzi proprio per questo, la ragazza oppose resistenza e lottò
cercando di graffiarlo. Non fu difficile, per lo Scuro, afferrandola
per i polsi, bloccarle le braccia a terra mentre continuava a
penetrarla ritmicamente. Ma a quel punto la ragazza cominciò a
gridare, acuti richiami d'aiuto. Le grida spaventarono lo Scuro. I
cacciatori!
-Falla
stare zitta!- urlò allo Sconosciuto. -Al villaggio sentiranno!
Certo,
rispose lo Sconosciuto, una vena di divertimento e derisione nella
voce. Lascia fare a me.
Per
la testa dello Scuro non passò minimamente l'idea che i cacciatori
fossero lontani per la caccia. Le sue mani lasciarono i polsi della
ragazza e la strinsero alla gola, con forza. Le grida cessarono,
quando l'aria le mancò, e mentre il suo volto si faceva paonazzo,
gli occhi le strabuzzavano, lo Scuro, sotto la maschera, sorrise
sentendo il piacere montargli dentro. Eiaculò nello stesso momento
in cui il corpo della ragazza si contraeva in fremiti, gli ultimi
spasmi incontrollati del corpo che moriva.
Si
risvegliò sul corpo della ragazza.
Hai
avuto la tua femmina, disse la voce nella sua
testa. Come ti avevo promesso.
Il
giovane si sritrasse dal corpo immobile. La sua mente era vuota. Si
alzò e se ne andò.
Sogni
aveva paura. Denti e i cacciatori erano lontani e il demonio che
aveva terrorizzato la tribù era tornato. Non era uno Spirito, gli
Spiriti erano una bugia degli Sciamani. Questo era un pericolo in
carne ed ossa, e lui non sapeva come affrontarlo. Le donne avevano
trovato il corpo di Sussurri non molto lontano dal villaggio. Era
chiaro cosa le fosse successo, con lo sperma che le traboccava
sull'interno cosce, gli occhi strabuzzati, il viso congestionato. E
sulla gola segni neri dove le mani avevano stretto. Non era stata
uccisa né da uno del Popolo delle Caverne, né da uno dei Pelosi. Si
trattava di un uomo, qualcuno magari scacciato da un'altra tribù,
oppure un cacciatore solitario.
Guardando
le donne e i vecchi, Sogni seppe che non avrebbe ricevuto aiuto da
loro. Non gli rimase che recarsi da solo alla Casa dei Morti.
Stanno
portando la tua femmina nella tua Casa, disse
lo Sconosciuto. Potrai averla ancora.
Lo
Scuro, la sua mente totalmente nera, priva di pensieri coscienti,
rimase ad ascoltare i pianti funebri che si recavano alla Casa dei
Morti. Il pomeriggio afoso stava giungendo al termine, il calore
stava scemando, e una brezza fresca carezzava i suoi muscoli
imperlati di sudore. I pianti smisero che già imbruniva, rimanendo
in ascolto poté udire le donne della tribù affrettarsi a ritornare
alle tende. A quel punto lasciò il suo nascondiglio ed andò alla
Casa dei Morti.
Il
corpo della femmina giaceva nel buio. La mente vuota, il fiato
corto, lo Scuro si levò la maschera, spogliò il cadavere e si
accoppiò nuovamente con la morta.
I
giorni trascorsero, caldi ed afosi. Lo Scuro cacciava i corvi che
entravano dal tetto per cibarsi del cadavere. Usciva solo di notte,
per procacciarsi del cibo, pescando pesci con le mani nel buio. Sogni
guardava i corvi che stavano sul tetto della Casa dei Morti ma che
non entravano, e sapeva che il demonio era dentro la Casa, ma non
ebbe mai il coraggio di fare qualcosa.
Nel
calore il cadavere iniziò a decomporsi. Lo Scuro si accoppiò con
esso ancora un paio di volte, prima di desistere a causa di liquidi
ed umori che presero a fuoriuscirne. Poi il ventre della ragazza
morta cominciò a gonfiarsi.
Tuo
figlio sta crescendo, disse lo Sconosciuto.
-Mio
figlio...- Un concetto nuovo per lo Scuro, qualcosa da rigirare nella
sua mente, per guardarlo da differenti angolazioni, dotato di
differenti possibilità. Aveva una femmina, presto avrebbe avuto un
figlio. Sapeva cacciare, era forte adesso. La tribù lo avrebbe
riaccettato. E se Denti avesse parlato contro di lui lo avrebbe
ucciso e preso tutte le sue femmine. Anzi, lo avrebbe ucciso in ogni
caso, pensò lo Scuro carezzandosi la cicatrice che il morso di Denti
gli aveva lasciato sulla spalla destra.
Poi,
un giorno, nell'odore nauseabondo che riempiva la Casa dei Morti, il
ventre del cadavere esplose. Letteralmente. Il vagito del bambino
riempì le orecchie dello Scuro.
Guarda
tuo figlio, disse la voce della maschera.
Prendilo e portalo alla tribù.
Lo
Scuro guardò suo figlio e lo raccolse dal cadavere devastato.
Tenendolo nelle braccia, aprì l'accesso della Casa dei Morti e si
diresse verso il villaggio, camminando sotto le stelle.
I
cacciatori erano tornati. Avevano aceso un grande fuoco, mentre le
donne già lavoravano sulle carcasse degli animali uccisi. Sogni
stava davanti a Denti, cercando di convincerlo a recarsi
immediatamente alla Casa dei Morti. Lo Sciamano cercava di non far
capire a Denti quanto fosse spaventato. In quel momento una donna
gridò e tutti i membri della tribù balzarono ad afferrare le armi,
pronti a fronteggiare il pericolo. Poi videro la figura di un uomo
nudo avanzare verso di loro nel buio. con passo lento e sicuro.
Quando
entrò nella luce del falò, ogni uomo ed ogni donna si ritrasse,
vedendo che il volto era coperto dalla maschera rossa, la maschera
cieca, lo Sconosciuto, lo Straniero.
Il
Nemico.
-é
uno Spirito-, grugnì Denti, cercando di contenere la paura
superstiziosa che si era impossessata di lui. Ci riuscì a malapena
quando vide la massa di interiora putrefatte che la figura portava
come se tenesse una bambino tra le braccia. In molti si ritrassero
quando il fetore li raggiunse.
-No!-
strillò Sogni con voce acuta. -é un uomo!
Ma
non osò dire di più.
La
tribù guardò lo Sconosciuto avanzare fino dove la luce del falò
illuminava a giorno, cacciando anche le ombre. Fu a quel punto che
Denti dette una specie di gemito, lasciò andare l'aria nei suoi
polmoni come se fosse stato colpito da un pugno alla bocca dello
stomaco.
-Quello
é lo Scuro!- mormorò. -Il morso sulla spalla glielo feci io.
Sogni
guardò da Denti al nuovo arrivato, dapprima smarrito. Poi,
repentina, la compresione giunse. Collegò tutti gli accadimenti: i
furti nella tenda comune, le tracce di piccoli piedi, la pelle scura
dell'uomo indossante la maschera dello Sconosciuto, la pelliccia
rubata ritrovata nella Casa dei Morti. Comprese come lo Scuro,
cacciato dalla tenda di Denti, fosse riuscito a sopravvivere
all'inverno.
Lo
Scuro stette immobile ed eretto in mezzo alla tribù. Vedeva i loro
sorrisi, i loro sguardi di approvazione. Distese in avanti le braccia
perché tutti potessero vedere suo figlio. Poi il crack
del suo stesso cranio che si spaccava riempì le sue orecchie, il
fuoco esplose nel suo cervello. Solo per un attimo. E cadde morto
faccia in avanti.
Sotto
gli sguardi terrorizzati della tribù, e quello ancor più
terrorizzato di Denti, Sogni estrasse la sua mazza cerimoniale dalla
nuca dello Scuro Il fetore della poltiglia decomposta che questi
stringeva al petto quasi lo fece vomitare. Voltò il cadavere con un
piede e tolse la maschera dal suo viso. Un sorriso di soddisfazione
cattiva sul viso rugoso.
Alzando
lo sguardo su Denti, per riceverne l'approvazione deferente che si
aspettava, vide che il cacciatore era sempre più sconvolto. Dannato
stupido! Ancora convinto che non fosse un uomo ma uno Spirito!
-Era
un uomo!- gli urlò sulla faccia, lasciando cadere la mazza ed
agitando la maschera cieca. -Era solo un uomo, un ladro. Ed io l'ho
ucciso!
-Camminava
con la maschera cieca...- balbettò Denti. -Lo Sconosciuto possedeva
quel corpo!
Sogni
si lasciò andare ad un grido di frustrazione.
-Un
uomo! Un uomo!- ripeté più volte, mentre Denti scuoteva la testa.
Infine
Sogni afferrò i capelli del cacciatore e gli premette la maschera
sul viso, soffocando un gemito di paura sotto il legno colorato.
-Guarda,
stupido! Vedi? Ci sono i fori! Puoi vedere attraverso.
E
Denti vide.
Quando
il respiro del cacciatore si fu regolarizzato, Sogni disse: -Hai
capito?- e tolse la maschera. Gli occhi duri di Denti, la rabbia che
covava profondamente in essi, rivelarono al vecchio Sciamano il suo
errore.
-Ho
visto-, disse Denti.
Sogni
scosse il capo, provò a balbettare qualcosa, poi un dolore
lancinante gli perforò il basso ventre. Abbassando gli occhi vide il
coltello di selce di Denti, ancora stretto nel suo pugno, affondato
poco sopra l'inguine. Incontrò un'ultima volta gli occhi di Denti,
poi questi con un gesto secco mosse il coltello diagonalmente verso
l'alto, aprendo il ventre di Sogni come apriva quello degli animali
che abbatteva a caccia.
Sogni
cadde in ginocchio con un lamento, acuto e strozzato dal dolore.
Cercò di trattenere i suoi intestini che fuoriscivano dalla ferita,
ma erano troppo viscidi e gli scivolavano fra le dita. In poco tempo
la vita lo abbandonò e lui scivolò di fianco, gli occhi sbarrati,
la bocca aperta in un gemito silenzioso, le braccia incrociate sul
ventre.
Ansimando
per la rabbia, il coltello di selce insaguinato nella mano, Denti si
chinò a raccogliere la maschera rossa. La strinse e fece per
gettarla nel falò.
Aspetta!
disse una voce. Getti
via così il potere?
Denti
si immobilizzò, ristette. Guardò la maschera, spaventato e
pensieroso insieme. Quindi sorrise con cattiveria, indossò la
maschera rossa ed avanzò al centro della tribù che si era raccolta
intorno a lui mentre uccideva Sogni. Allargando le braccia, il
coltello insaguinato nella mano sinistra, avanzò in mezzo agli
uomini e alle donne lasciando che lo guardassero, che lo temessero.
Capo
dei cacciatori, disse ancora la maschera.
Sciamano.
Io
sono lo Sconosciuto. Io ti parlo!