E' strano, e difficile, scrivere della sensazione che mi ha preso e
tormenta dopo l'aver realizzato di aver buttato via gli ultimi sette
anni della mia vita. Quando venni a Londra la prima volta non avevo
niente se non le mie capacità e l'entusiamo, la voglia di fare e
costruire. Insieme alla rabbia che covava pronta a scatenarsi, rabbia
per quarant'anni di vita che mi erano stati sottratti, rubati.
Adesso, invece, riparto da dove partii sette anni fa, nuovamente
senza niente, e privo pure dell'entusiasmo. Quello, insieme a tante
altre cose, l'avevo messo nella mia relazione con Alessia, e quando
la relazione è finita tutto ciò che avevo messo in essa è finito
con essa.
Aiuterebbe molto dare la colpa ad Alessia per ciò che mi è
successo, ma lei non mi aveva mai fatto alcuna promessa e, sebbene
fin dall'inizio avessi saputo che se ne sarebbe andata, io ho deciso
di andare avanti e mettere tutto me stesso in quella relazione. Non
avrei saputo in che altro modo farlo, comunque, e il danno che ne ho
ricevuto, sebbene dovuto ad Alessia, non le è imputabile.
Fu una relazione particolare, in cui io misi tutto ciò che potevo,
lei mise ciò che volle mettere. Fu una relazione in cui anche se
avessi potuto mettere molto di più, sarebbe stato inutile. Non mi
fece mai parte delle sue amicizie, non mi presentò mai uno dei suoi
colleghi dell'università, parlò di me ai suoi genitori e me li fece
conoscere solo quando non poté più evitarlo. Per il resto mi si
dette con intensità, ma tutto ciò che riuscì a tenere per sé non
me lo svelò, né mi dette accesso a tanti luoghi nascosti e
dimenticati del suo animo. Fu come aggirarmi sotto le mura di una
città silenziosa, le cui porte erano sbarrate; tutto intorno la
desolazione di rapporti umani fittizi, campi coltivati i cui raccolti
sono marciti sotto la pioggia. Quando infine riuscii a scalarne le
mura e a godere della luce e calore delle sue vie, trovai la fortezza
al suo centro sbarratami e mai riuscii ad espugnarne le porte. Perché
quelle porte sono inespugnabili in ognuno di noi e le si possono
varcare solo ce ci lasciano entrare. Alessia non le aprì mai.
Fu una relazione in cui lasciai che le colpe fossero deposte ai miei
piedi, una dopo l'altra, perché tanto il non accettarlo non avrebbe
cambiato niente . Le pesava che odiassi Londra, quando era stata lei
a farmela odiare. Ma a me “Londra non era mai piaciuta.” Le
pesava che fossi insoddisfatto, infelice diceva lei, e non si è mai
fermata a pensare che la mia insoddisfazione derivasse dall'aver
accettato di rimanere a Londra per amor suo, in attesa che lei fosse
pronta ad andarsene. Ma poi, anche il fatto di andarcene da Londra
divenne qualcosa “di cui non avevamo mai parlato seriamente.” Ed io avevo
rinunciato a cercare il lavoro che mi piaceva, a perseguire una
carriera mia, costretto a subire le frequentazioni di bassa lega che
potevano venire dal mio lavoro, mentre lei viveva una vita parallela
a quella insieme a me e popolata delle persone che la facevano stare
bene. Mi accusò di non averle mai detto che era bella, ma si era
dimenticata del perché avevo smesso di dirglielo, dello sguardo
ferito che mi aveva rivolto una notte credendo che le mie parole non
rispecchiassero ciò che veramente credevo.
Fu una relazione in cui mi sentii rinfacciare spesso il mio
precedente matrimonio, la consapevolezza e tristezza di aver perso
tutto ciò che avevo costruito e di cui avevo bisogno. Ma Alessia non
fu mai disposta a riempire quel vuoto, preferì accusarmi di
rimpiangere mia moglie e di farla sentire l' altra.
Quando in realtà lei aveva deciso di essere l'altra, e di quando le
chiesi di sposarmi sono certo non abbia memoria. Anzi, sono certo che
neppure abbia capito che lielo stavo chiedendo. Così come sono certo
non abbia mai pensato a quanto male possa avermi fatto il vederla
piangere, non una ma più volte, per il suo ex, un uomo che l'aveva
tradita e picchiata. Mi chiedo se abbia mai pianto per me.
Fu una relazione che finì senza che
la verità fosse mai detta, senza che Alessia ammettesse che non ci
aveva mai provato veramente, che non aveva mai avuto intenzione di
rimanere con me. Fu una relazione che finì per un'offerta di lavoro
che la pose davanti alla scelta fra la carriera e me, il motivo per
cui sapevo che mi avrebbe lasciato: non era disposta a fare tale
rinuncia per me. Essere barattato in questo modo fa male, ma ero
preparato a ciò. Scoprire piano piano che la nostra relazione
sarebbe potuta andare avanti nonostante questo lavoro, che il tutto
fu solo una scusa per liberarsi di un legame che fino ad allora non
era riuscita a spezzare, quello mi ha distrutto.
Fu una relazione in cui tante parole
sono rimaste in sospeso, e che io accettai rimanessero tali per
facilitarle la fuga. Del resto, in una relazione si deve essere
pronti a fare delle rinunce, ma l'unica cosa a cui io potevo
realmente rinunciare era Alessia, perché di tutto il resto non mi
importava, e quindi lasciai che se ne andasse. E feci del mio meglio
perché ciò non le pesasse, non so con quali risultati. Ma ora tutte
quelle parole non dette cominciano a pesarmi. Quelle parole non
pronunciate mi hanno portato a muovermi senza uno scopo, a non
costruire niente, a consumare ciò che mettevo da parte, a non
provare più gusto in niente e nessuno, a costruirmi il deserto
intorno. Ed ora, ora che è chiaro che io sono solo stato un
intermezzo per lei, ad anni di distanza dall'ultima volta che ci
siamo visti, e che quelle parole non possono più farle male, credo sia tempo che
quelle parole vengano infine pronunciate.