Iliana camminava per le vie della Metropoli. Le luci della festa e
quelle dei negozi aggredivano i suoi occhi, le voci della folla e le
sirene delle ambulanze aggredivano il suo udito. La sua mente
vacillava, stanca. Eppure ho dormito... Non sapeva piu' se era
in un sogno o se era sveglia. La fiumana di gente intorno a lei
rideva, urlava, gioiva, scherzava... ma i loro volti erano solo
maschere bianche e inespressive ai suoi occhi. Vuoti, vuoti...
siete tutti vuoti! Voleva gridarlo, ma sapeva che sarebbe stata
presa per pazza. L'avrebbero portata via, non avrebbe rivisto piu' i
suoi bambini.
Si fermo' a guardare dentro una vetrina. Non vedeva niente. La
stanchezza la rodeva dentro: non una stanchezza fisica, non
stanchezza del corpo. Una debolezza che non la lasciava mai, come se
qualcosa succhiasse le sue forze, cosi' come una sanguisuga succhia
sangue. Nel vetro del negozio le luci si riflettevano sfocate, i
riflessi dei volti alle sue spalle passavano sgranati e veloci.
Doveva andare a casa, farsi una doccia per togliersi di dosso l'odore di
un' umanita' poco pulita, l'odore del suo supervisore che ad ogni
occasione le si strusciava addosso. Mangiare qualcosa... cosa? Devo
fermarmi a comprare del cibo... Mettere a letto i bambini,
dormire. La notte sarebbe passata veloce come un respiro, nessun
profumo da trattenere nei suoi polmoni, solo odori vagamente
nauseanti. Poi in piedi di nuovo, prima dell'alba, nel freddo, per
andare a lavoro in una citta' che tossiva, tirava su col naso,
strisciava i piedi.
Cosa c'era in quella vetrina? Perche' mi sono fermata a guardare?
Un volto era riflesso nel vetro, occhi grandi e sgranati, pieni di
una lucida follia, la bocca volgare aperta in una risata oscena a
mostrare denti appuntiti. Spaventata, Iliana si volto' di scatto.
Nessuno le stava alle spalle, solo la folla che passava indifferente.
Torno' a guardare la vetrina, e quello sguardo maligno era li' che la
fissava. Con un brivido parti' quasi di corsa verso la stazione, fra
spintoni, indifferenza, solitudine, alienazione.
Il vagone del treno era freddo, sebbene stipato di uomini e donne di
tante razze diverse che ne consumavano l'ossigeno. Rattrappita nel
sedile di fondo Iliana rabbrividi', scossa da cosa neanche lo sapeva.
Gli altri viaggiatori erano anonimi, isolati e incomprensibili,
circondati da muri invisibili e prigionieri di se' stessi. Il rumore
del treno, il grido dell'aria compressa fra le carrozze lanciate ad
alta velocita' e la volta del tunnel erano un nuovo attacco alle sue
riserve fisiche gia' misere. E mescolato a tutti gli altri rumori,
cosi' vaga e frammentata che doveva essere solo frutto di
immaginazione, una risata. Un cacchinno selvaggio, demente, osceno.
“Chi sei? Cosa vuoi?” ripeteva Iliana sottovoce. Nessuno poteva
sentirla, nel rumore del viaggio. Qualcuno fissava le sue labbra che
si muovevano incessantemente. Sei pazza, dicevano gli occhi di quelle
persone. Non voglio avere niente a che fare con te, dicevano gli
occhi di quegli estranei. La risata continuava a risuonare nel fondo
delle sue orecchie.
Poi un breve tragitto a piedi dalla stazione a casa, passando davanti
ad un muro coperto da un graffito: Mangia. Dormi. Lavora. Ripeti.
Strade sporche, vento gelido e umido, alberi deturpati, ubriachi e
sguardi cattivi come solo gli uomini sanno essere cattivi quando sono
di fronte ad una donna. Un poco di felicita' stanca al rientro a
casa, una casa priva di tepore, nei saluti e negli abbracci dei
bambini. Il cibo da comprare dimenticato ma troppa la stanchezza per
uscire e tornare indietro. Una cena preparata con cio' che rimaneva
in dispensa, i bambini stanchi e spenti. Poi nel letto, sotto coperte
umide, nel buio ma non nel silenzio. Urla nella casa accanto, sirene
della polizia, un grattare di piccole zampe dentro i muri vuoti, un
litigio in strada. Vetri in frantumi. Il sonno che stenta, tenuto a
bada da dolori in tutti i muscoli. Ed ancora quella risata,
trattenuta, non piu' sguaiata, quasi a non volerla disturbare. Motivo
per cui Iliana la trovava ora ancor piu' spaventosa di quando era sul
treno.
“Chi sei? Cosa vuoi?” Domande piagnucolate a fil di labbra mentre
scivolava nel sonno.
Io sono il motore di questa citta'...
“Lasciami dormire... Vai via...”
Una risata divertita. Io non ti lascero' mai, non potrai mai
separarmi da te.
Iliana sprofondo' in un sonno popolato di incubi. Persone senza volto
la spintonavano per strada, volti cattivi ridevano di lei dalle
vetrine dei negozi. Mangia. Dormi. Lavora. Ripeti. Risata demente. Mangia. Dormi. Lavora. Ripeti. E la sveglia, impietosa. Senso di
nausea, acqua fredda sul viso, un conato di vomito ed un brivido di
freddo. Un biglietto per i bambini. Poi fuori nel buio umido a
stomaco vuoto, diretta a passo spedito verso la stazione.
Iliana si immobilizzo' quando una figura si materializzo' da dietro
un albero. Cammina, ordino' la voce nel suo cervello. Farai
tardi al lavoro, aggiunse in tono derisorio. Iliana riprese a
camminare, rigida. La figura prese a camminarle a fianco.
-Chi sei?
Uno sguardo di sguincio, piu' percepito che visto, uno sguardo di
stupore divertito. Davvero vuoi saperlo? Le persone non vogliono
mai vedermi. Quando strappo loro tutto cio' che hanno, voltano la
testa dalla parte opposta. Anche mentre divoro la loro anima, parlano
a voce piu' alta e guardano fisso davanti a loro, cosi' da poter
fingere che non sta accadendo. Sei sicura che vuoi sapere chi sono?
-Chi sei?- Un tremito nella voce, un groppo in gola, mentre camminava
rigida fissando davanti a se'.
Sono il motore di questa Metropoli. Sono il tuo padrone.
Un sospiro di soddisfazione.
Ora che sai chi sono, ti diro' chi sei tu.
Un brivido gelido percorse la schiena di Iliana.
Tu sei niente. Sei la mia schiava. Sei carburante per il motore.
Divorero' la tua anima, poi ti gettero'. E dopo la tua, divorero' le
anime dei tuoi figli.
Lacrime... calde... Che strano, penso' Iliana, qualcosa di
caldo... scorsero giu' lungo le sue guance. Giunsero insipide
sulle labbra. Quando ero bambina le mie lacrime erano piu'
salate...
-Io volevo solo essere felice...- gemette Iliana, sempre camminando
verso la stazione, la voce rotta dai singhiozzi. -Volevo... solo...
essere felice...
Felice? Quale assurdita'! Tu non sei qui per essere felice. La
voce tacque e la figura a fianco di Iliana scomparve.
Nelle viscere della Metropoli il Demone rideva, una risata che corse
lungo tutti i tunnel, portata lontano dai treni stipati di corpi.
Dall'alto delle sue torri sormontate di gru, i suoi occhi osservavano
Iliana compiere il suo tragitto fino alla stazione. Mangia. Dormi. Lavora. Ripeti. Neanche uno sguardo di sfuggita per il graffito. E il
Demone rise. Rise delle lacrime di Iliana, rise della stanchezza che
la mordeva dentro. Rise della sua disperazione. Della sua sconfitta.