Generalmente s'inizia a dedicarsi all'arte dopo aver vissuto. Ho l'impressione che a
me sia accaduto il contrario, che io mi sia dedicato alla vita dopo avere iniziato la
mia attività artistica. Di norma comunque ci si dedica prima alla vita per poi
volgersi all'arte. L'esempio di due scrittori come Stendhal e Casanova potrà
chiarire il significato del passaggio dalla vita all'arte. Stendhal, insoddisfatto di
non riuscire a piacere alle donne, dopo ripetuti fallimenti si rese conto che
soltanto la letteratura poteva realizzare i suoi sogni. Al contrario Casanova, dopo
aver foIleggiato di donna in donna in virtù delle sue doti naturali, dopo aver
gustato a sazietà le dolcezze della vita, quando non ebbe più nulla da sperimentare
volle scrivere le proprie memorie.
È dunque una contesa, una lotta tra l'arte e la vita. Ci culliamo nell'illusione di
poter apprendere cosa sia la vita dagli scrittori, che invece, il più delle volte,
vegetano fiaccamente, mentre ben più numerosi sono gli uomini che conducono
esistenze ricche ed intense. Ma è probabile che solo uno su cento tra loro proverà
il desiderio di scrivere la propria biografia. D'altronde anche per scrivere sono
necessari talento, tecnica e un lungo esercizio, come per ogni disciplina sportiva.
E non si può godere la vita e contemporaneamente esercitarsi in una disciplina,
come non è possibile scrivere mentre si vive un'avventura. Pertanto, quando un
uomo decide di stendere le proprie memorie, di trasformare ciò che ha vissuto in
una narrazione interessante da tramandare ai posteri, il più delle volte è ormai
troppo tardi. Rari sono gli esempi di chi, come Casanova, riesce ad attuare in
tempo un tale progetto. Sull'altro versante ci sono coloro che, come Stendhal,
essendo stati delusi dalla vita, concentrano in un romanzo tutta l'insoddisfazione,
la rabbia, i sogni e la poesia di cui sono capaci: ma anche in questo caso è
necessario un magnifico talento. E' necessario infatti creare dal nulla e costruire
con la fantasia un intero universo. La fantasia è il più delle volte suscitata
dall'insoddisfazione o dal tedio. Quando ci concentriamo nell'azione affrontando
un pericolo, quando riversiamo tutte le nostre energie nel vivere, non rimane
quasi spazio per la fantasia. Se è vero che la fantasia favorisce le nevrosi, si può
affermare che in Giappone durante la guerra si stabilirono le condizioni meno
propizie all'insorgenza di tali disturbi psichici. A quell'epoca persino i furti erano
rari, i delitti quasi inesistenti, e le fantasie quotidiane della gente si concentravano
essenzialmente sulla guerra, un'impresa che non può aver successo se in essa non
si riversa tutta l'energia di un popolo.
da "Lezioni spirituali per giovani samurai" di Yukio Mishima