Cronologicamente questo racconto precede "La Terra dell' Estate", spiegando l' origine degli Spiriti della Terra e del bando che il Leone dell' Estate aveva posto sullo spirito che al termine della storia giungeva al lago conducendo per le briglie un cavallo roano.
Chiusa
nella sua torre Erhis, figlia del Signore di Croanor, esteriormente
immobile fremeva internamente per l’ attesa, mentre stava davanti
alla finestra da cui cercava invano di scorgere cosa accadeva sul
Campo di Baldwin. Dietro di lei la sua governante e le sue tre
ancelle tremavano e si lamentavano, sprofondate sul divano e le
poltrone del salottino privato.
Le
mani della giovane smisero di stringersi convulsamente per andare a
tormentare ora il colletto della veste, ora le lunghe trecce in cui i
capelli dorati erano raccolti. Erhis si morse delicatamente le
labbra: le riusciva incomprensibile come il boschetto dei
liquidambra, con le foglie che si arrossavano in autunno, che fino a
quel giorno era stato per lei una vista tanto amata, fosse divenuto
all’ improvviso motivo di rabbia e frustrazione. Quando era
bambina, ricordava che gli alberi ancora giovani permettevano di
scorgere le sommità dei padiglioni e gli stendardi che garrivano al
vento ai margini del Campo di Baldwin durante i tornei estivi. Con
gli anni gli alberi erano cresciuti, ed ora le cime dei liquidambra
chiudevano completamente la vista della piana in cui suo padre, alla
testa dei suoi pochi cavalieri, della guardia del castello e dei
villici frettolosamente armati, stava affrontando l’ attacco dei
Ruach- carnach, i feroci abitanti dei monti.
Grida,
nitriti e tintinnare dell’ acciaio giungevano fino alla torre,
trasportati dal vento, ma non permettevano minimamente di capire
quale fosse il volgere della battaglia, aumentando invece l’
incertezza.
Il
giorno scorse lento. Erano gli ultimi giorni estivi, prima del
sopraggiungere dei temporali e poi dell’ autunno. Le messi erano
state raccolte, trebbiate e riposte nei granai; gli armenti erano
grassi per i pascoli estivi, i vitelli e i puledri erano stati
svezzati. Come tutti gli anni, era questo il momento che i predoni
dei monti avevano scelto per attaccare. Ma non avevano mai condotto
un attacco in così gran numero. I vari clan dovevano essersi riuniti
sotto un unico capo per riuscire a mettere in campo un esercito così
numeroso invece delle solite bande male attrezzate e ancor peggio
organizzate.
Fu
circa un’ ora prima del tramonto, mentre l’ aria già diventava
troppo fresca per rimanere al balcone, che gli stendardi verdi di
Colin, Signore di Croanor, fecero la loro comparsa da dietro il
boschetto dei liquidambra. Con un grido di gioia Erhis lasciò la
finestra e corse nella piazza d’ armi ad attendere il padre e i
suoi cavalieri insieme agli altri abitanti del castello.
I
guerrieri fecero il loro ingresso sporchi e stanchi, alcuni feriti e
portandosi dietro numerosi destrieri senza cavaliere, ma con gli elmi
appesi alle selle e sui volti segnati avevano dei sorrisi per la
vittoria conquistata. Colin scese da cavallo con l’ aiuto dei suoi
scudieri, coperto di polvere e sangue.
-Erhis-,
disse sorridendo, -prenditi cura di tuo fratello.
Il
giovane Coller fu fatto scendere anche lui dal cavallo, e mentre la
sorella gli si avvicinava disse: -Non è niente di grave, una ferita
leggera.
Senza
rispondere Erhis controllò la freccia che spuntava tra le piastre
dorsali dell’ armatura di Coller, all’ altezza della spalla
sinistra.
-Mi
hanno colpito verso la fine degli scontri.
-Sei
fortunato che fosse un arco e non una balestra, altrimenti sarebbe
andata più a fondo.
“Vieni,
mentre ti medico mi racconterai della battaglia.
E
così, mentre Erhis aiutata da un paggio smontava le piastre della
corazza, estraeva la freccia e procedeva a pulire e medicare la
ferita, Coller le raccontò la battaglia.
-Non
credevo che sui nostri monti vivessero così tanti clan: c’ erano
il Lupo e l’ Orso, il Tasso, il Cervo e il Cinghiale, l’ Aquila e
il Salmone, i Lupi Grigi e i Cani Feroci; e poi stendardi che non
avevo mai visto, con un puma e un cinghiale in lotta, un falco che
ghermisce un serpente, una vipera pronta a mordere e un cinghiale
cintato. Ed altri ancora che non sono riuscito a distinguere perché
erano lontani. Noi eravamo poco più di cinquecento, contando i
villici, ma i Ruach-carnach ci erano superiori almeno di cinque
volte. Era Freich il Sanguinario, del clan dei Lupi Grigi a guidarli:
sia io che nostro padre abbiamo cercato di raggiungerlo, ma si è
sempre tenuto lontano da noi.
Coller
si interruppe, volgendosi a fissare sua sorella, lo sguardo cupo.
-Abbiamo vinto solo perché non avevano cavalli e non erano in grado
di tener testa alla carica della nostra cavalleria, ma anche così
molti dei nostri non ce l’ hanno fatta. Ho visto Kellar di Ponte
Lungo venire tirato giù di sella e finito a colpi di accetta, e il
giovane Melar, il figlio del mugnaio, letteralmente sbranato da un
bruto con la bava alla bocca reso folle dal sangue. Ma la metà di
loro è morta, e i Ruach non saranno in grado di recarci danni per
molti anni, vedrai.
“Nostro
padre ha dato ordine di dare degna sepoltura a ciascuno dei nostri
caduti al margine est del Campo di Baldwin, là dove a primavera
spuntano i crochi e i bucaneve, mentre i Ruach-carnach verranno
bruciati su delle pire nel centro della piana. Ah! Stai tranquilla:
ha dato ordine ai boscaioli incaricati di fare legna per le pire di
non toccare i liquidambra a cui tieni tanto.
Erhis
annuì, con un groppo in gola ed incapace di dire al fratello che
avrebbe voluto vedere tagliato alla base fino all’ ultimo degli
alberi del boschetto.
Il
fumo nero delle pire su cui venivano arsi i Ruach-carnach salì ad
oscurare il cielo per cinque giorni, appestando l’ aria del
castello e del villaggio che gli sorgeva vicino; la cenere si sparse
sulle vie di terra battuta e sui campi ancora da dissodare in vista
delle semine. I pianti delle donne invece si levarono per sette
interi giorni, poi il lutto dovette essere accantonato per tornare ai
lavori quotidiani in vista dell’ inverno. E se anche c’ erano
meno braccia per lavorare i campi, quell’ autunno, ci furono anche
meno bocche da sfamare, e il numero dei cavalieri dimezzato richiese
meno soldi per le rendite, che furono coperte dalla vendita delle
spoglie di guerra: poche armi valide e ancor meno corazze e usberghi
di maglia di ferro, ma molte pellicce e trofei di caccia, corni e
vesciche per bere, alcuni buoni archi e corde di tendine d’ orso
molto ricercati dai signori del sud per andare a caccia, carne
essiccata e otri di pelle pieni del forte liquore di bacche di
prugnolo. Così la mancanza di braccia per lavorare fra la
popolazione del villaggio e delle campagne della Signoria fu
compensata dall’ abbondare delle scorte alimentari e dallo sgravio
delle tasse per la popolazione, e se al centro del Campo di Baldwin
il terreno rimase nero e l’ erba non vi crebbe per due anni, al suo
margine orientale le ondulazione dei tumuli divenne, in primavera,
prima bianca per il germogliare dei bucaneve, poi, quando le giornate
si fecero più calde, gialla e viola per la distesa dei crochi prima
e degli anemoni poi.
E
come aveva detto Coller i Ruach-carnach non furono più un pericolo
per molti anni, tanto che le campagne e i boschi furono sicuri fino
ai piedi dei Monti di Carnach, ed anche sui pascoli estivi in alta
quota le ruberie divennero rare. La selvaggina ripopolò le montagne
e i predatori naturali, lupi, volpi e tassi, non si fecero più
vedere a valle neanche d’ inverno.
Fu
in questo clima di serenità e sicurezza che Erhis prese l’
abitudine di fare lunghe passeggiate da sola e nessuno ebbe da
ridire. Quasi sempre a piedi, raramente sul suo pony grigio, la
ragazza cominciò a passeggiare nei campi alle spalle del castello,
in esplorazioni che la conducevano via via sempre più lontano, fino
a percorrere i boschi e i sentieri delle colline. In principio si
limitò a raggiungere la tomba di sua madre, che aveva voluto essere
seppellita vicino alla Cascata dell’ Arcobaleno, dove il Rio
Acquaneve precipitava lungo una parete di roccia alta trenta metri in
una cascata di tre salti, infrangendosi nel secondo su uno sperone di
arenarie, così che la grande pozza sul fondo della cascata era
perennemente sovrastata da un arcobaleno. In quel luogo, durante l’
estate, Erhis e suo fratello venivano portati spesso dai loro
genitori a passare le giornate più calde e trascorrevano il
pomeriggio nuotando nella vasta pozza. E lì, sul letto di morte, la
madre dei due ragazzi aveva chiesto di essere seppellita.
La
tomba era stata scavata alla base della parete di roccia, al limitare
della spiaggia di ciottoli scuri e grigi, guardata dall’ alto da
una statua in grandezza naturale della moglie che Colin di Croanor
aveva fatto realizzare da un artista chiamato appositamente da
Brunwick, la capitale. Erhis si recava spesso in questo luogo, dopo
la Battaglia del Campo di Baldwin, specie nel mese di maggio, quando
i rosai che Colin aveva fatto piantare sulla tomba aprivano i loro
bocci ed esibivano le corolle di bianchi petali contornanti i
pronunciati stami giallo-oro. Rimaneva a lungo assorta a fissare la
statua della madre, di marmo bianco venato di scuro giunto dalle
lontane cave della costa meridionale, coi capelli sciolti sulle
spalle, un cesto di fiori e frutti nell’ incavo del braccio
sinistro, il braccio destro levato in una sorta di benedizione e i
rosai profumati cresciuti a nasconderla fino all’ altezza della
vita. Un’ edera dalla piccole foglie variegate, radicata nelle
crepe della parete di roccia, scendeva a incorniciare la statua in un
arco di festoni che il giardiniere del palazzo curava
meticolosamente.
E
se in primavera la Cascata dell’ Arcobaleno era la sua meta
preferita, in inverno amava percorrere le rive del piccolo Lago
Specchio, la cui superficie ghiacciata diventava la pista per i
pattini dei bambini e dei giovani, oppure spingersi fino al più
grande Lagoscuro, alla base del monte Puntaspezzata, contornato di
giovani abeti argentati, a guardare il passaggio sulla strada per
Brunwick delle grandi slitte dei mercanti di pellicce trainate da
cavalli dai ricchi finimenti carichi di campanelli tintinnanti. La
dura sconfitta inflitta ai Ruach-carnach aveva reso più sicure le
strade montane, i cacciatori di pellicce erano aumentati e gli stessi
abitanti delle montagne avevano dovuto iniziare a vendere ai mercanti
delle Terre Basse, con un incremento dei traffici nella Signoria di
Croanor e un aumento della gittata delle tasse per le casse di Colin.
Le
maggiori entrate permisero a Colin di indire ancora tornei estivi per
assoldare nuovi cavalieri che rimpiazzassero coloro che erano caduti
sul Campo di Baldwin. E durante i suoi vagabondaggi Erhis li vedeva
arrivare dalla strada per Brunwick, che si trovava a sud-est, o
scendere dai passi montani di Pelcan e Serrafredda, giungendo dalle
piccole signorie straniere dell’ Esvenia, la Terra dei Fiordi.
Altri arrivavano dai Principati dell’ Ovest, lungo le polverose
strade che tagliavano gli sterminati campi di frumento, orzo e farro,
oppure sulla Pista Orientale, che giungeva dal porto fluviale di
Castel Franco sul Colle, dove il Re aveva istituito un libero mercato
per le merci che viaggiavano sul grande fiume Alcare. Tutti loro
cavalcavano fieri tenendo alti i propri colori, che fossero soli,
accompagnati da un singolo scudiero o da un seguito numeroso; alcuni,
incontrandola, si fermavano per chiederle informazioni sulla strada
che rimaneva per il castello, o per elargire complimenti sulla
bellezza sua e di quella terra di frutteti e campi verdi di cereali e
pascoli fioriti. A tutti loro Erhis rispondeva con cortesia per
proseguire solitaria nei suoi vagabondaggi.
Ma
era l’ autunno la stagione che la fanciulla prediligeva, perché la
commemorazione dell’ anniversario della Battaglia del Campo di
Baldwin era ormai alle spalle, non c’ erano più feste popolane i
cui preparativi l’ avrebbero impegnata e la prossima festa
religiosa coi suoi digiuni e cordogli era lontana nel mezzo dell’
inverno. Così, sebbene le giornate andassero accorciandosi
rapidamente, aveva molto tempo libero per le sue passeggiate. E se i
mattini erano freschi, nel pomeriggio la terra rilasciava il suo
calore e i suoi odori; poi i colori che si accendevano nel bosco e
nelle siepi di confine dei campi la ammaliavano e riempivano di
stupore a fronte di tanta bellezza e fantasia. Il boschetto dei
liquidambra, tornato ad essere uno dei luoghi preferiti di Erhis,
con le foglie che da verdi diventavano rosse, il giallo pallido dei
pioppi e il color oro bruciato di querce e frassini. In questa
stagione i suoi giri la portavano alle pendici dei Tre Fratelli, le
vette più basse dei Monti Carnach ma i più vicini al castello,
riserva di caccia personale della sua famiglia. Le guardie forestali
mantenevano aperti i sentieri e pulite le radure coi capanni di
sosta, ma l’ intervento umano era ridotto al minimo. Sotto i
castagni cominciavano ad accumularsi i ricci e le castagne e i
marroni, mentre le prime foglie brune cominciavano a cadere. Le
macchie di rovi cominciavano ad arrossarsi e le bacche di prugnolo a
farsi nere e quelle delle rose canine erano già rosse, mentre
dentini, steccherini dorati e finferli crescevano mescolati alle
amanite, ai celestini e ai cimballi: il fondo bruno del bosco era
punteggiato di giallo, bianco, rosso e del viola chiaro dei
ciclamini.
Fu
durante una delle passeggiate, il terzo autunno dopo la Battaglia del
Campo di Baldwin, che vide, in lontananza, un cavaliere. Montava un
possente destriero roano, lanciato al galoppo lungo una stretta
strada delimitata da siepi di biancospino. Viaggiava in direzione del
castello ed Erhis immaginò si trattasse di un messaggero inviato a
suo padre da qualche Signore confinante. Ma quando fece rientro e
chiese del cavaliere nessuno lo aveva visto: che fosse un messo o un
semplice viaggiatore non si era fermato al castello, ed anche se era
diretto altrove era strano che non lo avesse fatto. Colin accantonò
il fatto come un atto di scortesia o di eccessiva fretta e non ci
pensò più, ma nei giorni successivi ad Erhis capitò di vederle
ancora il cavaliere. Un paio di volte da molto lontano, così che non
essendo sicura fosse lui o uno dei cavalieri di suo padre non ne
parlò con nessuno. Ma una volta le sfrecciò molto vicino, così che
lo vide bene: era un uomo di età indefinita, con capelli ondulati
castano dorati, con vesti verdi e marroni e un mantello bruno che gli
sventolava sulle spalle. Al suo passaggio si sparse un intenso odore
di sottobosco e un mulinello di foglie secche si sollevò nell’
aria. Quella volta con lei c’ erano due delle sue ancelle, che
cavalcavano dietro di lei parlando fra loro. Il passaggio del
cavaliere sul roano non interruppe lo scambio fra le due, ed un
attimo dopo una delle ragazze le disse: -Comincia a fare freddo, mia
signora. Perché non rientriamo al castello?
Erhis
si voltò sulla sella ed incontrando lo sguardo dell’ ancella
comprese che non lo aveva visto. Nessuna delle due ragazze aveva
visto il suo passaggio, nonostante fosse transitato a pochi metri da
loro. Annuì e girò il cavallo in direzione del castello.
Vennero
le prime gelate, il tempo dei funghi e delle castagne finì, mentre
nei boschi e sui crinali spuntavano gli ellebori, annunciando l’
arrivo delle prime nevi. E con l’ inverno Erhis non vide più il
cavaliere dal mantello bruno, fin quando smise di pensarlo.
La
neve prima imbiancò i Monti Carnach, poi scese fino alle Terre
Basse. Tornarono i mercanti di pellicce e le festività invernali, il
tempo delle storie raccontate dai bardi nella sala del castello e dai
vecchi davanti ai focolari delle case popolane. Tornarono il gelido
vento del nord e le bufere di neve. Ma quando la scorta di legna da
ardere è abbondante, la dispensa piena di provviste, gli abiti
imbottiti e gli stivali robusti, neanche l’ inverno fa paura. E
tanto meno faceva paura quell’ anno, coi nemici e i lupi lontani.
Poi
il vento girò, l’ aria prese a riscaldarsi e la neve a
sciogliersi. Sulle tombe degli eroi del Campo di Baldwin spuntarono i
primi bucaneve, fino a diventare così numerosi che pareva avesse
nuovamente nevicato, per essere nuovamente sostituiti dai crochi e
dai fiori della primavera inoltrata, e infine dagli anemoni che
spuntano sul far dell’ estate. Le messi che avevano riposato sotto
la coltre di neve crebbero e indorarono, poi vennero mietute e
raccolte in covoni, trasportate alle cascine, trebbiate sulle aie e
riposte nei granai; le margherite succedettero agli anemoni, greggi e
mandrie furono portate ai pascoli in quota e poi riportate a valle,
la legna per l’ inverno posta nelle legnaie prima che le piogge
autunnali la bagnassero. L’ Anniversario della Battaglia passò e
fu accantonato, e poco dopo le foglie degli alberi cominciarono ad
ingiallire.
E
con l’ arrivo dell’ autunno tornò lo strano cavaliere. Erhis
prese a vederlo spesso, mentre cavalcava in ogni direzione per le
terre di suo padre. E, si rese conto, era lei la sola vederlo.
Passava vicino ai contadini al lavoro e questi non alzavano la testa,
il suo cavallo scalpitava accanto ad un carrettiere intento a
caricare il suo carro e non lo infastidiva; le donne continuavano a
lavare i panni o a stenderli, i bambini non interrompevano i loro
giochi, le guardie del castello non lo fermavano, i cavalieri che
incrociava non lo degnavano di uno sguardo. La conferma definitiva la
ebbe quando lo vide entrare, indisturbato e senza che le guardie alle
porte lo guardassero soltanto, nella piazza d’ armi del castello.
Era
un giorno vessato da una pioggerella uggiosa tipicamente autunnale e
da un po’ di nebbia, ed Erhis stava percorrendo il passaggio sotto
una tettoia diretta all’ infermeria, per portare delle bende che
aveva preparato con le altre donne del castello, quando lo vide
attraversare sicuro le grandi porte delle mura. Passò così vicino
alla sentinella che il cavallo agitando la coda lo colpì ad un
braccio: il soldato non si accorse di niente. Erhis si fermò,
stringendo al petto il mucchio di bende, e mentre il misterioso
cavaliere avanzava attraverso la spianata in terra battuta i loro
sguardi si incrociarono. L’ uomo le sorrise.
-Erhis?
-Eh?
Cosa..?- Presa alla sprovvista la fanciulla sussultò, nel voltarsi
per vedere chi la chiamava. Era la sua governante.
-Che
ti prende? Ti sei bloccata a fissare il niente: ti senti bene?
-Sì...
sto bene. Solo una cosa che mi sono ricordata.
E
prima che la donna potesse ribattere partì verso l’ infermeria. Il
cavaliere era scomparso.
Raggiunta
l’ infermeria iniziò a riporre le bende in uno stipo, guardandosi
preoccupata attorno. In quel momento non c’ era nessuno. L’
infermeria era una lunga sala, con brande addossate ad una parete
mentre la parete opposta per metà della sua lunghezza era costituita
da porte-finestre che si affacciavano su un giardino interno. Nella
brutta stagione le porte-finestre venivano chiuse tendendo, fra ganci
infissi nei telai, pelli d’ asino raschiate, così fini che il
vento non poteva passare ma la luce sì. In quei giorni, però,
alcune pelli non erano ancora state montate. Ed attraverso una delle
porte-finestre Erhis vide nuovamente il cavaliere: camminava per il
giardino tenendo il cavallo per le briglie, la mano sinistra, chiusa
in un guanto di pelle scura, sfiorava una siepe di cornioli: al suo
passaggio le foglie verdi ingiallivano, quelle gialle cadevano, e gli
ultimi fiori delle rose perdevano tutti i petali. Poi, in un
mulinello di rosse foglie d’ acero, cavallo e cavaliere
scomparvero.
Quell’
anno Erhis riuscì a vederlo ancora, ma sempre da lontano. Galoppava
lungo le siepi di confine e queste rimanevano spoglie, percorreva i
prati pedemontani e gli ultimi fiori scomparivano; passava vicino
alle macchie di rovi e le piante ritiravano la linfa nelle radici,
preparandosi all’ inverno; attraversava i boschi e questi si
accendevano di mille colori cangianti, dal giallo pallido al rosso,
passando per il color oro bruciato, l’ arancio e il viola, i colori
bruni e quelli marroni; sotto gli alberi spuntavano funghi e
ciclamini emergendo dallo spesso strato di foglie cadute, le castagne
maturavano e precipitavano sul terreno in una cascola tambureggiante.
Poi
l’ autunno finì, coi primi ellebori dalla corolla verde, ed il
cavaliere non si fece più vedere.
I
giorni fecero seguito ai giorni, gli uomini rallentarono insieme alla
natura, recuperando le energie spese e preparandosi alle nuove
fatiche. Erhis si fece sempre più insofferente, desiderosa del
sopraggiungere di un nuovo autunno, insensibile alle bellezze delle
altre stagioni che le scorrevano intorno senza che le avvertisse.
E
quando il radunarsi delle rondini le disse che l’ estate stava per
marciare a sud, iniziò a percorrere le campagne e i boschi alla
ricerca del suo cavaliere.
Infine
lo avvistò, figura lontana, piegato sul collo del suo cavallo in un
galoppo sfrenato da nord-est. Cercando di intuirne il percorso Erhis
andò a piazzarsi nel mezzo della strada che il cavaliere avrebbe
seguito, decisa a bloccarlo. Quando lo vide arrivare, veloce e all’
apparenza inarrestabile, ebbe paura di esserne travolta, ma
scorgendola il cavaliere portò il destriero dal galoppo al trotto e
poi al passo per fermarlo infine a pochi metri da lei.
-Oh!
La fanciulla che riesce a vedermi.
Col
cuore che le batteva forte, Erhis chiese: -Chi... chi siete?
Il
cavaliere sorrise. -Il mio nome è Huryon. Sono lo Spirito dell’
Autunno.
Lentamente
un sorriso comparve sul volto di Erhis. -Io vorrei mostrarvi un luogo
che mi è molto caro. Volete accompagnarmi?
Huryon
annuì, e così i due, affiancati, se ne andarono insieme. Senza
parlare Erhis condusse Huryon sulla strada per il castello e poi
oltre, verso il Campo di Baldwin, fermandosi ai limiti del boschetto
dei liquidambra. Con uno sguardo invitò il cavaliere ad avanzare.
Huryon
fece avanzare il cavallo sotto i rami degli alberi. Un lieve odore di
miele si sprigionava dai tronchi, i frutti caduti scricchiolavano
sotto gli zoccoli dell’ animale. Erhis, quasi incredula, rimase a
guardare le foglie dei liquidambra che diventavano d’ un rosso
intenso via via che Huryon se li lasciava alle spalle.
Da
quel giorno Erhis si fece accompagnare da Huryon durante i suoi
girovagare, conducendolo in tutti i luoghi che le erano cari,
scoprendo nuove piste e luoghi in cui non era mai stata, scorci
inediti dei multicolori e variegati panorami autunnali. Cavalcarono
uno a fianco dell’ altra, attraversando i frutteti che al loro
passaggio perdevano le foglie, e camminarono mano nella mano al
limitare dei prati e nei boschi di prugni selvatici che diventavano
giallo oro. Finché un giorno, vedendo un elleboro che spuntava in un
fosso nel folto del bosco, Huryon arrestò il suo destriero e si
volse verso la fanciulla.
-Il
mio Signore sta per giungere a reclamare questa terra nei suoi
domini-, disse.
-Chi
è il tuo Signore?
-Fynyass,
il Re d’ Inverno. Fra pochi giorni sarà qui, giungendo sulle ali
del Vento del Nord, ed io dovrò lasciarti per andare ad annunciare
al Sud che lui sta arrivando.
-Tutte
le terre devono cadere sotto il dominio di Fynyass?
-No.
Come Fynyass possiede un regno nell’ Estremo Nord, così Horos il
Marciatore, il Leone dell’ Estate, detiene il suo possesso nel
Profondo Sud. Ho visto entrambi i loro domini, anche se solo da
lontano, e nessuno dei due mi è piaciuto. Preferisco di gran lunga
le terre dove io ed Ayleen, lo Spirito della Primavera, possiamo
camminare.
Alcune
notti dopo Erhis fu svegliata da un bacio leggero. Il buio della sua
camera era permeato dell’ odore di bosco: terriccio, foglie e
funghi.
-Erhis,
mia amata-, sussurrò una voce, -colui che mi segue è giunto ed io
devo andare. Ci vedremo il prossimo anno.
Completamente
sveglia Erhis si alzò a sedere. La stanza era vuota e pensò di aver
sognato. Ma l’ odore di bosco rimaneva, e quando andò alla
finestra vide che fuori tutto era coperto di brina.
Sulle
cime dei Monti Carnach il gelido Vento del Nord ululava insieme ai
lupi, animali possenti e selvaggi, dai denti lunghi e acuminati e il
lungo pelo grigio, riuniti in branchi feroci e temibili. Comparendo
da un passaggio fra due rocce frastagliate, un’ alta figura avvolta
in un manto nero avanzò sicura verso il Cerchio delle Pietre e del
Sangue. Freich del Clan dei Lupi Grigi, ritto in piedi nel centro del
Cerchio, rimase a guardare la figura ammantata che scendeva verso di
lui. Era giunto lì con una torcia, ma le raffiche di vento l’
avevano spenta, e tutt’ ora lo scuotevano, infilandosi sotto le
pesanti pellicce dei suoi abiti. Il nuovo venuto, invece, sembrava
che non venisse nemmeno toccato dal vento: le folate facevano
mulinare la neve tutt’ intorno a lui, ma il suo passo non esitava
mai. Con la mano posata sull’ elsa della spada, Freich attese,
pieno di dubbi. Al bisogno, temeva in cuor suo, né spada né frecce
lo avrebbero aiutato contro lo sconosciuto.
Quando
infine l’ alta figura entrò nel Cerchio delle Pietre e del Sangue,
Freich poté osservarlo meglio. Era completamente avvolto dallo
sbrindellato mantello di stoffa nera lungo fino a terra, con un
cappuccio che gli celava il volto. Il vento lo strattonava ma non
riusciva a smuoverlo né ad aprilo, sebbene Freich non riuscisse a
vedere né alamari né spille che lo tenessero chiuso. L’ uomo
sotto quel manto, oltre che molto alto, doveva essere molto magro.
Così magro che in certi momenti, a seconda di come il vento ne
premeva la stoffa, pareva che sotto non ci fosse un vero corpo. Al
fianco destro, in un fodero di pelle maculata sorretto da una cintura
di maglie metalliche, portava una lunga spada, e nella mano destra
aveva un bordone nodoso, appena sgrossato e ricavato dal ramo di un
albero dotato di spine.
-Salute,
Freich il Sanguinario-, disse una voce fredda e sibilante, una voce
che era la stessa del feroce Vento del Nord.
Ingoiando
la rabbia per quel soprannome datogli dai suoi nemici, e combattendo
il timore che la figura ammantata gli incuteva, Freich disse: -Sei tu
che mi hai convocato, chiamandomi insistentemente nei sogni?
-Si.-
Un monosillabo duro come l’ acciaio: la voce che arrivava dalle
ombre del cappuccio tagliava in profondità come una lama.
-Chi
sei?
Una
risata lieve si levò dal cappuccio. -Non riconosci un tuo simile? I
lupi dell’ inverno sono il mio vessillo così come sono il tuo.
Con
un gesto ampio e circolare della mano sinistra la figura indicò il
cerchio di monoliti infissi nel terreno simili a zanne. Guardando
nell’ oscurità Freich vide i lupi che fino a poco tempo prima
avevano ululato lontano, assiepati appena all’ esterno del Cerchio,
fissarlo con occhi brucianti.
-Io
sono un re, Freich, Signore di lande ghiacciate tempestate dal vento,
dominatore di terre che non vedono la luce del sole per metà dell’
anno. Io sono Fynyass, il Re d’ Inverno.
Freich
inghiottì a vuoto. -Cosa vuoi da me, Spirito? Perché mi hai fatto
venire in questo luogo? Nessuno dei Feroci vi viene più da anni,
ormai.
-Seguimi-,
disse Fynyass con un gesto delle dita ossute, e passando oltre Freich
raggiunse il centro del cerchio, dove una grande pietra a forma di
parallelepipedo vi era stata collocata distesa. Fynyass la aggirò e,
fermatosi sul lato opposto a quello dov’ era Freich, vi appoggiò
una mano. Anche nel buio si vedeva una grande macchia più scura
sulla pietra. -Freich del Clan dei Lupi Grigi,- disse Fynyass
sguainando la sua spada e tendendola sopra la pietra, -riconosci la
mia signoria su queste terre e io darò in tua mano i tuoi nemici. Lo
giuro qui, in questo luogo sacro eretto dai tuoi antenati quando essi
vennero scacciati dalle Terre Basse.
Freich
fremette, un moto che gli giunse dal profondo, un misto di repulsione
ed esultanza. Guardava la lunga spada, affilata e grigia, di acciaio
ghiacciato, e non sapeva decidersi.
-Un
giuramento-, disse, -dovrebbe essere suggellato da un sacrificio, ma
i nostri sacerdoti sono stati tutti uccisi molti anni fa.
-Diventa
tu un sacerdote.
La
spada si mosse di scatto ad indicare un punto del Cerchio alla destra
di Freich: il guerriero si voltò a guardare ed ecco che la fila dei
lupi si aprì per far passare due giganti della loro specie, che
trascinavano per gli abiti un ragazzo. I due lupi portarono il
ragazzo esanime fino alla pietra e lo lasciarono cadere ai piedi di
Freich, poi andarono a sedersi ai limiti del Cerchio. Il capo clan
si chinò ed afferratolo per il bavero voltò il ragazzo, così da
guardarlo in volto. Anche al buio lo riconobbe: Edmur, figlio di Tear
del Clan del Cinghiale, che cinque anni prima era stato il suo più
fiero alleato nei preparativi dell’ attacco alle Terre Basse, per
diventare il suo peggior nemico dopo la sconfitta. Il ragazzo aprì
gli occhi e lo riconobbe. -Freich-, sussurrò, -aiutami.
-I
lupi cacciano i cinghiali, Freich-, disse la fredda e dura voce di
Fynyass alle sue spalle. -E se diventano abbastanza forti attaccano
anche gli uomini.
Con
un moto deciso, afferrando le vesti di Edmur, Freich lo sollevò
sulla pietra. Estrasse il suo pugnale e lo usò per tagliare le vesti
del giovane, poi sollevò la lama sopra la testa. L’ ultimo
sacerdote dei Feroci era stato ucciso quando lui era ancora un
bambino, e più nessuno ricordava i rituali che avevano praticato. Ma
era sicuro che ciò non avesse importanza.
Nel
buio della notte, sulla cima del Picco dei Lupi, si levò una gelida
risata, simile al sibilo di una lama, che il vento trasportò
lontano. L’ ululato di cento lupi le faceva da coro.
Il
mattino successivo, scendendo a piedi verso il suo villaggio, Freich
il Sanguinario incontrò Tear del Cinghiale, accompagnato da cinque
dei suoi guerrieri.
-Freich-,
disse Tear. -Sto cercando mio figlio che ieri non è tornato dalla
caccia.
Freich
sogghignò. -Il cinghiale è una preda, non un predatore.
-Che
stai dicendo? Hai perso il senno?
-Troverai
tuo figlio al Cerchio delle Pietre e del Sangue. I lupi lo hanno
portato a me.
Tear
a quel punto capì, ed il sangue che macchiava le mani ed il volto di
Freich, le maniche della sua giubba di pelliccia che ne erano intrise
fino ai gomiti furono la conferma.
-Maledetto!
Cosa hai fatto?
Tear
sguainò la spada, ma non fece a tempo a caricare Freich perché
ovunque fu un’ esplosione di ululati e due lupi giganteschi gli
balzarono addosso, trascinandolo giù di sella e squarciandogli la
gola. I suoi guerrieri rimasero paralizzati dal terrore, coi lupi che
li circondavano e i cavalli che nitrivano e scalpitavano. Quando ad
un cenno di Freich i lupi si ritirarono, i cinque guerrieri si
volsero a guardarlo.
-Andate
a dirlo a tutti: i Clan tornano a riunirsi, e chi rifiuterà di
sottomettersi a me verrà preso dai lupi e sacrificato sulla Pietra
del Dolore. Andate!
I
cinque voltarono i cavalli e scomparvero.
-Ricorda,
Freich-,
disse nel vento la voce di Fynyass, -a
te il dominio sugli uomini, a me il dominio sulla terra e sul tempo.
I
giorni passarono, la neve cadde. Freich sedeva sul trono di ossa, in
fondo alla Casa Grande al centro del villaggio del clan e riceveva
gli atti di sottomissione degli altri capi. In principio alcuni di
loro si erano opposti a lui, ma dopo che i capi dell’ Orso, dell’
Aquila e del Tasso erano stati aggrediti ed uccisi dai lupi, Merach
del Tasso addirittura nel suo letto, tutti i clan gli si erano
sottomessi. Le famiglie dei capi avversari erano state trucidate
sulla Pietra del Dolore, sacrificio alla rabbia e alla sete di
vendetta. E Fynyass, appostato dietro il trono di Freich, gelida
ombra che solo lui poteva vedere, rideva soddisfatto.
-Tieni
a mente-, sussurrava, -che solo io potrò darti la vittoria e rendere
alla tua gente le Terre Basse che vi furono strappate. Ma solo tu
potrai fermare la mia nemica. E’ Ayleen, lo Spirito della
Primavera, la sola che può scacciarmi. La attenderai sulla Via del
Sud e la trafiggerai con la daga di ghiaccio che ti ho dato. Dopo che
avrai ucciso la Primavera, nessuno potrà sconfiggerci.
“Ed
ora raduna tutti i guerrieri dei Feroci, scendi nelle valli insieme
ai miei lupi e fai scempio di coloro che vi cacciarono dalle vostre
terre. E non temere, dal meridione non giungeranno rinforzi fin tanto
che la neve ed il ghiaccio rimarranno a chiudere le strade.
Fu
così che i Ruach-carnach, accompagnati dai branchi di lupi grigi,
scesero in pieno inverno dai loro monti. Protetti dal buio e dalla
neve che cadeva copiosa sciamarono nelle valli montane, sorprendendo
le poche guarnigioni ed assalendo le fattorie isolate. I branchi di
lupi scivolarono oltre gli avamposti attaccati, tagliando le vie di
fuga e uccidendo i messi inviati a chiedere l’ aiuto del Signore di
Croanor.
Ben
presto l’ intera Signoria fu sotto l’ attacco delle bande di
Feroci. La notizia giunse al castello di Colin, ma la neve continuava
a cadere e i cavalieri non poterono uscire. Colin e suo figlio Coller
guidarono delle spedizioni di fanti, uccidendo alcuni Ruach-carnach,
ma i più sfuggivano loro ed assalivano gruppi isolati di militari e
civili. Ormai era ovunque lo stato di assedio.
I
combattimenti si protrassero, le guarnigioni si asserragliarono, le
famiglie di villici si rifugiarono al castello o alle stazioni di
posta, quelle che ancora non erano cadute. Trovando le fattorie vuote
i Feroci le bruciarono, poi sfogarono la loro rabbia distruggendo i
frutteti. La guerra continuò fra agguati e sortite, coi lupi che
assediavano gli uomini dentro le loro case e i Feroci che tendevano
agguati a Colin e ai suoi soldati.
Il
numero dei rifugiati e le ruberie dei Feroci fecero diminuire
sensibilmente le scorte di viveri. Una notte i lupi erano riusciti ad
introdursi nelle stalle e avevano ucciso tutti i cavalli. Se anche la
neve fosse andata via, Colin non aveva più una cavalleria da guidare
all’ attacco.
-Le
scorte basteranno fino all’ arrivo della Primavera-, disse Colin al
consiglio dei suoi guerrieri.
Anche
Erhis assisteva a quella riunione, seduta silenziosamente in un
angolo.
-Ma
non abbiamo più cavalli: come ricacceremo i Ruach-carnach sui monti?
-Sono
sicuro che i mercanti di pellicce hanno già dato l’ allarme nel
meridione: col disgelo il Re invierà le sue truppe in nostro aiuto.
Molti
mercanti di pellicce erano stati trovati morti sulla strada per
Brunswick, sbranati dai lupi, ma da chiare tracce si era dedotto che
alcuni, pochi per la verità, erano riusciti a girare in tempo le
loro slitte e a sfuggire alle fiere. Si trattava di rimanere chiusi
ed attendere, quindi.
Ma
i Ruach-carnach non intendevano certo aspettare. Gli attacchi si
intensificarono, le stazioni di posta caddero, poi le torri di
guardia e i piccoli castelli dei vassalli di Colin. E il giorno della
Festa di Mezzo Inverno Freich il Sanguinario si recò sotto le mura
di Colin. Portava con sé molti prigionieri, soldati per lo più, ma
anche donne e bambini.
-Colin,
guardami!- urlò. -Tu solo resisti ormai: i Feroci si sono ripresi
ciò che i tuoi avi tolsero loro. Le Terre Basse sono nuovamente
nostre!
Dalle
file dei clan si levarono urla e acclamazioni, i lupi ulularono in
coro.
-Apri
le tue porte ed arrenditi, ed io risparmierò il tuo popolo. Se non
lo farai li ucciderò tutti, dal primo all’ ultimo.
E
per sottolineare le sue parole tagliò la gola ad un giovane
contadino. In tutta la Signoria, ormai, la neve era divenuta rossa di
sangue.
Fu
così che Colin cedette. Lui e suo figlio furono posti in catene,
insieme ai cavalieri sopravvissuti. -Portateli al Cerchio delle
Pietre e del Sangue-, udirono dire a Freich. Gli uomini incatenati
furono portati via e più nessuno li vide.
Dall’
alto del Picco dei Lupi, assiso su un trono di ghiaccio esposto alla
furia del Vento del Nord, Fynyass rise.
Le
lune scivolarono via una dietro l’ altra, e si giunse a quella che
doveva essere la fine dell’ inverno. Relegata al ruolo di serva,
Erhis attendeva l’ arrivo degli zefiri primaverili e del disgelo,
confidando nell’ aiuto del Re. Da un giorno all’ altro i suoi
cavalieri avrebbero potuto cavalcare a nord e giungere in loro
soccorso. Alcuni coraggiosi, sfuggiti alla prigionia, erano riusciti
a scivolare tra le maglie delle guarnigioni dei Ruach-carnach, a
sfuggire all’ inseguimento dei lupi e raggiungere i confini delle
Terre Basse. Qualcuno di loro era anche tornato indietro, a costo
della vita, per riportare un po’ di speranza fra la gente oppressa
riferendo che le truppe del Re erano accampate a Dun-Daerdach, la
grande fortezza sul fiume Inondante. Aspettavano il disgelo per
muovere a nord: il Re era con loro, ed aveva promesso che questa
volta i Ruac-carnach sarebbero stati uccisi fino all’ ultimo uomo.
“E
i bambini?” si chiedeva Erhis, sola nella sua stanza, al freddo
perché i Ruach-carnach le avevano tolto la legna da ardere. “E le
loro donne? Che ne sarà di loro? Li ucciderete, come loro hanno
ucciso noi? Li lascerete al loro destino, senza sapere se moriranno
il prossimo inverno o se sopravviveranno per vendicarsi?”
E
nel buio pianse: pianse per suo padre e suo fratello, scomparsi e
sicuramente morti; pianse per la sua governante, che avevano sgozzato
perché era vecchia e perciò inutile; pianse per le sue ancelle,
prese da dei rudi montanari per farne serve e donne di piacere;
pianse per tutti gli orfani del castello, le cui scelte erano fra una
vita di stenti e una morte tutt’ altro che veloce.
Quando
il primo zefiro soffiò timidamente sulla Piana di Baldwin, Fynyass
chiamò a sé Freich.
-I
venti primaverili chiamano i bucaneve che giacciono sotto la neve e
la terra: destatevi, dicono loro, annunciate al Re d’ Inverno che è
venuto il tempo per lui di ritirarsi.
“Ma
quest’ anno non sarà così. Io ho posto queste terre sotto il
dominio del Regno del Gelo, e lo Spirito della Primavera qui non deve
più giungere.
“Vai,
Freich, a compiere il compito che ti ho assegnato: io per te ho
sottratto le Terre Basse ai tuoi nemici, tu ora sottraile per me alla
Primavera.
E
Freich il Sanguinario partì, su una slitta trainata da cani,
portando con sé la daga di ghiaccio che il Re d’ Inverno gli aveva
dato. Viaggiò fino al confine delle Terre Basse, giungendo in vista
della possente fortezza di Dun-Daerdach. I vessilli sulle sue torri
erano così numerosi che anche in lontananza se ne vedevano i cento
colori. In quei luoghi Freich non trovò più neve, sebbene il
terreno fosse gelato, e fiumi e specchi d’ acqua non erano più
coperti di ghiaccio, ma solo lungo le sponde se ne vedeva un poco.
E
mentre attendeva, solo in piedi al centro della grande strada, vide,
a occidente, una figura che camminava solitaria. Le andò incontro,
tagliando per i prati di trifoglio cotto dal gelo e i campi di
cereali in attesa del caldo per crescere. Quando raggiunse la figura
vide che era una giovane donna, alta e forte, bella e dallo sguardo
dolce, vestita di una semplice tunica verde e coi lunghi capelli neri
adorni di una corona di fiori. Camminava scalza, e dietro di lei l’
erba era tornata verde e i primi fiori cominciavano a spuntare.
-Tu
sei lo Spirito della Primavera-, disse Freich, con le lacrime agli
occhi.
-Non
so chi sia tu che puoi vedermi-, disse la fanciulla, -ma perché
piangi?
-Piango
per la mia terra e la mia gente, caduti sotto il giogo di un
terribile tiranno.
E
con un gesto deciso affondò la daga nel ventre della donna.
Lo
Spirito della Primavera morì lì, ai confini delle Terre Basse, tra
le braccia di Freich il Sanguinario, che scosso da gemiti e
singhiozzi, pieno di rimorso ma ancor più di paura, la vegliò a
lungo, prima di decidersi a fare ritorno a nord.
E
nuovamente Fynyass rise, assiso sul suo trono, lassù, tra le alte
vette degli ultimi monti del Nord, oltre i quali ci sono solo le
tenebre dell’ inverno, perché più nessuno, ormai, avrebbe potuto
minacciare il suo regno.
Fu
Huryon, Cavaliere dell’ Autunno, di ritorno da terre lontane oltre
i mari, a trovare il corpo privo di vita di Ayleen, la Primavera. Lo
raccolse e postolo sul suo destriero lo portò in luoghi sconosciuti,
lontano dagli uomini e dalle loro bramosie. La natura gemeva per la
morte della Primavera, bloccata nello stato in cui si trovava. E
proprio i pianti che salivano dalla terra stessa avevano detto ad
Huryon che qualcosa di cattivo era accaduto, inducendolo ad
abbandonare i propri compiti per mettersi alla ricerca del male che
affliggeva il creato.
Huryon
sapeva già chi era il responsabile e lo andò a cercare. Col suo
destriero si recò fino alla vetta del Picco dei Lupi, e là, cullato
dal vento e dal gelo, trovò il Re d’ Inverno.
-Non
scendi da cavallo, di fronte al tuo signore, Cavaliere dell’
Autunno?- chiese beffardamente Fynyass.
-Perché
lo avete fatto?
-Taci!
Tu sei solo un cavaliere, io un re! Perché ti dovrei rendere conto
di qualcosa?
-Avete
ragione, sono vostro servo. Araldo dell’ Inverno, è uno dei miei
titoli. Ma a cosa serve un araldo, se ciò che deve annunciare è già
venuto?
“Vi
prego di ritirarvi dai vostri intenti e di lasciare che queste terre
si risveglino.
Fynyass
scoppiò in un cachinno selvaggio. -Troppo tardi, Cavaliere. Ormai è
troppo tardi per le preghiere. La Primavera è morta, bandita da
queste e da altre terre, e presto io estenderò il mio regno fino al
Profondo Sud.
Huryon
abbandonò i monti, seguito dalla risata crudele e selvaggia del suo
sovrano.
Lasciato
Fynyass, il Cavaliere galoppò a lungo, sempre in direzione sud.
Abbandonò le terre ancora nei confini dell’ inverno, attraversò
le contrade dove un risveglio iniziato era stato interrotto e tutto
era frastornato, uomini, animali e terra e tutto ciò che dalla terra
prendeva la vita, per inoltrarsi in quei paesi dove l’ estate
risplendeva nel suo pieno fulgore. Aveva superato Brunwick, con le
sue imponenti mura, scavalcato le montagne Brumafredda e percorso
veloce le Pianure Maggiori, per giungere alle Terre dei Cento Fiumi e
delle Mille Città, ai confini orientali delle Terre Brulle; e poi
oltre le Lande dei Tumuli e l’ asfissiante Rajkapur, con i suoi
stretti vicoli e innumerevoli canali e il suo porto affollatissimo di
velieri, e ancora più a sud, nelle terre che si stendono oltre il
Mare di Mezzo, fino alla Terra dei Giganti, dove immani costruzioni
vennero erette in un’ epoca persa nel passato, chiusa agli sguardi
dei viaggiatori dalle Depressioni di Marador e le Pianure di Cenere e
il Deserto di Gesso. Huryon si presentò alla corte di Horos il
Marciatore, il Leone dell’ Estate.
Horos
era un gigante dalla chioma nera, dalle ampie spalle e la muscolatura
possente. Aveva i fianchi cinti da un perizoma di leopardo, le
caviglie e i polsi adorni di bracciali di criniera di leone, ed una
collana di denti di giaguaro gli pendeva sugli ampi pettorali. Sotto
la pelle lucida e bruna i muscoli guizzavano gagliardi, i suoi occhi
neri bruciavano come il sole che splendeva alto nel cielo estivo, e
sotto i suoi occhi l’ uomo comune avvertiva il proprio spirito
inaridirsi.
-Cosa
cerchi alla mia corte, Cavaliere dell’ Autunno-, chiese Horos.
Tutto intorno a lui crescevano i fiori e i frutti dell’ estate, fra
cui fiere impavide si aggiravano minacciose. Huryon guardava i piedi
del Marciatore, affondati nella sabbia rovente del deserto che
fuoriusciva da sotto il suo trono di rocce calcaree. -Questi sono
luoghi che il tuo padrone non ha speranza di raggiungere, quindi
dimmi cosa ti conduce a me, perché non è certo in veste di Araldo
dell’ Inverno che sei venuto.
-Sono
qui per chiedere il tuo aiuto, Leone dell’ Estate. La mente del mio
signore è fredda e calcolatrice, e gelido il cuore che batte nel suo
petto: lui non ha pietà e non concede niente, e chi cade sotto il
suo dominio può aspettarsi solo dure sofferenze.
“Fynyass
ha fatto uccidere lo Spirito della Primavera e medita di muovere
guerra anche al tuo regno. Chiedo il tuo aiuto per ricacciarlo nell’
Estremo Nord, quello è il suo luogo, adesso.
Horos
scosse la testa. -Non ho interesse a combattere il Re d’ Inverno.
Vuole estendere i confini del suo regno? Faccia pure, non ha speranza
di giungere fino a me. E di altro non mi importa.
-Mio
signore, ti prego! Gli uomini avranno molto a soffrire per la follia
di Fynyass!
-Cosa
vuoi che mi importi degli uomini, che esistono da talmente poco tempo
che io ero già antico quando fecero la loro comparsa? E Fynyass si
limita a seguire la sua natura: non c’ è follia in lui.
Semplicemente fa ciò che deve fare. Come farò io.
“E
adesso vattene, pongo un divieto fra me e te: se tornerai ad
importunarmi sarai distrutto dal mio calore.
“Ma
prima di allontanarti ti dirò una cosa. Non sei uno Spirito antico
come lo siamo io e Fynyass, per questo non puoi ricordare. Tu non sei
il primo Spirito dell’ Autunno, così come Ayleen non era il primo
Spirito della Primavera. Già altre volte il Re d’ Inverno ha
tentato di porre tutto il mondo in suo potere, arrivando a coprirlo
quasi interamente di ghiaccio e neve, arrivando a cancellare anche la
memoria di Autunno e Primavera.
“Ora
vai. E non tornare.
Nella
Signoria di Croanor il tempo trascorreva nella vana attesa dell’
arrivo della primavera. Molti degli abitanti ridotti in schiavitù
avevano rialzato il capo davanti alle angherie dei Ruach-carnach,
sicuri che l’ ora della riscossa non avrebbe tardato a venire. Ma
il tempo passava, i Feroci li deridevano e continuavano ad esseri
spavaldi e sicuri. Niente dura per sempre, dicevano i vecchi. Ma di
vecchi ne erano rimasti pochi, i più erano morti di stenti, e i
giovani iniziavano a disperare. A Dun-Daerdach il Re e i suoi
cavalieri scalpitavano. Sul Picco dei Lupi Fynyass rideva, e Freich
il Sanguinario piangeva.
Un
mattino Freich fu trovato morto: si era ucciso conficcandosi un
pugnale nel cuore, distrutto dalla consapevolezza di ciò che stava
per accadere. Altri presero il suo posto, senza cercare veramente una
risposta alla morte del loro capo.
Morto
Freich i lupi se ne andarono, tornando ai boschi delle montagne, ma
l’ inverno continuava: una stagione giunta precocemente tardava a
finire. La selvaggina nei boschi finì, così i lupi tornarono nelle
Terre Basse, entrando negli ovili per sbranare le pecore. Poi
cominciarono a sbranare i cani, perché le pecore erano finite. Le
scorte invernali finirono: grano, carne essiccata e salata e pure
quella stipata nelle ghiacciaie scavate nella terra, salumi, patate e
altre verdure, frutta secca e pesce sotto sale. I Feroci uscirono a
caccia, ma trovarono solo i lupi. Così gli uomini cominciarono a
cacciare i lupi, e i lupi cacciavano gli uomini. Cominciarono a
scomparire anche le persone: prima i bambini, poi le donne e anche
gli uomini. I Feroci litigavano spesso fra di loro: avevano gli occhi
infossati e le gengive si erano ritratte sui denti a causa della
denutrizione e dello scorbuto. Ad ogni litigio c’ era almeno un
morto, ed ogni volta il cadavere scompariva. La Fame camminava nel
paese e nelle sale del castello, nemica per gli abitanti delle Terre
Basse e per i Feroci e anche per i lupi: solo Fynyass non la temeva.
Il
tempo della primavera era quasi giunto al termine, di lì a breve
sarebbe dovuta giungere l’ estate, ma ancora l’ inverno non era
finito. Tremante per il freddo nella sua camera, una notte Erhis fu
svegliata da un lieve bacio. L’ odore di muschio e terriccio,
foglie e funghi aleggiava nella stanza.
-Huryon!
-Sì,
mia amata, sono io.
Erhis
scoppiò a piangere. -Huryon , che succede? Perché tutto questo?
Huryon
sospirò. -E’ colpa di Fynyass. Il Re d’ Inverno, a volte, si
innamora tanto di una terra che si rifiuta di lasciarla. Quando fa
così si trasforma nell’ Affamatore di Vedove, e a quel punto solo
Ayleen, lo Spirito della Primavera, ha il potere per cacciarlo. Ma
Fynyass e i Feroci sono riusciti ad ucciderla. Per questo l’
inverno non finisce più. Fynyass si è costruito un trono di
ghiaccio sulla più alta vetta dei monti, e sta sempre seduto là a
contemplare il suo dominio, sicuro di essere divenuto il signore
indiscusso di queste terre. Se stai in ascolto, quando soffia il
Vento del Nord, puoi udire la sua risata.
-Ma...
allora non abbiamo più speranza.
-Una
speranza c’ è ancora. Quello che è accaduto qua è già successo
altre volte, in un passato così remoto che nessuno ne ha più
memoria a parte la terra stessa. L’ acqua e le rocce mi hanno
dischiuso i loro ricordi, parlandomi di un tempo in cui quasi tutte
le terre e anche molti mari vennero completamente ricoperti dal
ghiaccio e dalla neve e Fynyass giunse ad insidiare da vicino il
Regno dell’ Estate. Questo mi hanno raccontato le montagne ed i
fiumi. Ma ogni volta lo Spirito della Primavera risorse.
-Come?
-Una
fanciulla, legata alla terra da un profondo amore, può diventare lo
Spirito della Primavera.
-Una
fanciulla... Io?
Huryon
annuì. -Sì. Tu puoi. Ma sai cosa significa?
Erhis
tacque a lungo, pensando, poi sussurro':-Sì, credo di sì.
Huryon
si chinò a darle un altro bacio, asciugandole con le labbra l’
ultima solitaria lacrima. Poi si alzò e scomparve.
Dopo
aver vegliato per il resto della notte, alle prime luci del mattino
Erhis lasciò il castello. A piedi nudi camminò sulla neve,
dirigendosi verso il Campo di Baldwin. Il suo amato boschetto di
liquidambra non c’ era più, tagliato per farne legna da ardere.
Fu
solo quando giunse vicino alle tombe degli eroi del Campo di Baldwin
che si accorse di non sentire il freddo. Lo sgocciolio del ghiaccio
che si scioglieva giunse ai suoi orecchi, insieme ai tonfi della neve
che cadeva dai tetti e dagli alberi. Un dolce vento soffiò da est.
Svegliatevi, diceva ai germogli dormienti sotto la neve. E i bucaneve
spuntarono, così tanti e folti che la terra pareva ancora
completamente coperta di neve. Ma l’ erba verde faceva capolino a
ciuffi qua e là, le gemme degli arbusti si fecero grosse e
cominciarono ad aprirsi. Erhis camminò a lungo, fino al Lagoscuro:
lì viveva una famiglia di cigni.
“L’
inverno è finito”, disse loro. “Dovete partire.”
E
i cigni presero il volo, levandosi alti sopra i Monti Carnach.
“Sire
Fynyass”, gridarono nel vento. “E’ giunta la Primavera!”
Fynyass
balzò in piedi, incredulo e sconvolto spaziò lo sguardo per le
Terre Basse. E vide lo Spirito della Primavera camminare nella
contrada: davanti a lei alberi ed arbusti si ricoprivano di fiori e
foglie, il ghiaccio si scioglieva e la neve si ritirava, bulbi e semi
addormentati sotto la terra si svegliavano e germogliavano, gli
animali uscivano dal letargo, gli uccelli migratori tornavano a
solcare i cieli.
A
Dun-Daerdach i cavalieri del Re partirono per andare a liberare la
contrada più settentrionale del regno: galopparono quanto più
velocemente permettevano il fango e le ultime nevi, preceduti dalla
notizia del loro arrivo. I Ruach-carnach ancora in vita si dettero
alla fuga, in cerca di scampo sui monti, ma l’ improvviso disgelo
aveva gonfiato a dismisura i torrenti che ne scendevano tagliando
loro ogni ritirata. Così, pieni di furia, i cavalieri piombarono
loro addosso e li uccisero fino all’ ultimo.
Dopo
il tempo della vendetta venne quella per la conta dei morti. La neve
che si andava sciogliendo rivelava fosse comuni, resti di battaglie e
più macabri ritrovamenti: mucchi enormi dove le ossa rosicchiate dai
lupi si mescolavano a quelle spezzate dagli uomini. Altre ossa in
gran quantità furono trovate nelle cantine del castello e nelle case
abbandonate. Colin e suo figlio Coller erano scomparsi da tempo,
sicuramente sacrificati agli dei maligni dai Ruach-carnach, e nemmeno
la figlia Erhis fu ritrovata, così il Re nominò un reggente per
Croanor, fin quando Erhis non sarebbe stata ritrovata o un successore
di Colin designato.
Gli
aiuti d’ emergenza giunsero al seguito dell’ esercito, e il Re,
prima di ripartire per Brunwick, lasciò molte disposizioni. Tutte le
ossa ritrovate sarebbero state sepolte in una fossa comune, che venne
scavata là dove un tempo si levava il boschetto dei liquidambra.
Sulla fossa sarebbe poi stato eretto un monumento funebre. In quella
stessa fossa furono sepolti anche molti abitanti che morirono dopo il
disgelo, a causa delle malattie e degli stenti subiti. Dalle regioni
vicine furono inviati braccianti e manovali, genieri e architetti, e
sementi e piccole piante da frutto, così che la Signoria di Croanor
potesse essere ricostruita. Ad ogni vedova e fanciulla in età da
marito fu assegnata una piccola dote, così che potessero maritarsi
con uno dei coloni inviati ad insediarsi a Croanor. E per quelle
donne, ingravidate dai Ruach-carnach che non avessero voluto tenere
un figlio bastardo, il Re ordinò che una volta svezzati potessero
essere dati in adozione a qualche famiglia delle Marche Orientali.
Intanto,
sulla cima dei Monti Carnach, Fynyass lottava per non essere
scacciato. In preda al furore scagliava il suo Vento del Nord giù
per le gole montane, richiamava nubi cariche di neve e tempesta dal
Regno del Gelo, faceva cadere la brina sul fondovalle. Ma il
risveglio della natura, guidato da Erhis, corse su per le valli e i
crinali dei monti, inesorabile e festoso, liberando i pascoli montani
e i ruscelli ancora prigionieri del ghiaccio, raggiungendo infine il
Picco dei Lupi e scacciando l’ inverno.
Invisibile
agli occhi dei più, Erhis camminò felice per le sue terre ancora
per un poco, dato che il tempo dell’ estate stava per giungere. E
così, quando da lontano udì il passo cadenzato del Marciatore, si
apprestò a partire. Sarebbero trascorsi nove mesi, prima di riuscire
a vedere nuovamente la terra dove era nata, e sapeva che mai più l’
avrebbe vista brillare dei suoi mille colori nel basso e fulgido sole
d’ autunno. E mai più avrebbe visto il viso serio e il sorriso
dolce del suo amato.
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