Saturday, 8 October 2011

Il Cavaliere d' Autunno

Cronologicamente questo racconto precede "La Terra dell' Estate", spiegando l' origine degli Spiriti della Terra e del bando che il Leone dell' Estate aveva posto sullo spirito che al termine della storia giungeva al lago conducendo per le briglie un cavallo roano.




Chiusa nella sua torre Erhis, figlia del Signore di Croanor, esteriormente immobile fremeva internamente per l’ attesa, mentre stava davanti alla finestra da cui cercava invano di scorgere cosa accadeva sul Campo di Baldwin. Dietro di lei la sua governante e le sue tre ancelle tremavano e si lamentavano, sprofondate sul divano e le poltrone del salottino privato.
Le mani della giovane smisero di stringersi convulsamente per andare a tormentare ora il colletto della veste, ora le lunghe trecce in cui i capelli dorati erano raccolti. Erhis si morse delicatamente le labbra: le riusciva incomprensibile come il boschetto dei liquidambra, con le foglie che si arrossavano in autunno, che fino a quel giorno era stato per lei una vista tanto amata, fosse divenuto all’ improvviso motivo di rabbia e frustrazione. Quando era bambina, ricordava che gli alberi ancora giovani permettevano di scorgere le sommità dei padiglioni e gli stendardi che garrivano al vento ai margini del Campo di Baldwin durante i tornei estivi. Con gli anni gli alberi erano cresciuti, ed ora le cime dei liquidambra chiudevano completamente la vista della piana in cui suo padre, alla testa dei suoi pochi cavalieri, della guardia del castello e dei villici frettolosamente armati, stava affrontando l’ attacco dei Ruach- carnach, i feroci abitanti dei monti.
Grida, nitriti e tintinnare dell’ acciaio giungevano fino alla torre, trasportati dal vento, ma non permettevano minimamente di capire quale fosse il volgere della battaglia, aumentando invece l’ incertezza.
Il giorno scorse lento. Erano gli ultimi giorni estivi, prima del sopraggiungere dei temporali e poi dell’ autunno. Le messi erano state raccolte, trebbiate e riposte nei granai; gli armenti erano grassi per i pascoli estivi, i vitelli e i puledri erano stati svezzati. Come tutti gli anni, era questo il momento che i predoni dei monti avevano scelto per attaccare. Ma non avevano mai condotto un attacco in così gran numero. I vari clan dovevano essersi riuniti sotto un unico capo per riuscire a mettere in campo un esercito così numeroso invece delle solite bande male attrezzate e ancor peggio organizzate.
Fu circa un’ ora prima del tramonto, mentre l’ aria già diventava troppo fresca per rimanere al balcone, che gli stendardi verdi di Colin, Signore di Croanor, fecero la loro comparsa da dietro il boschetto dei liquidambra. Con un grido di gioia Erhis lasciò la finestra e corse nella piazza d’ armi ad attendere il padre e i suoi cavalieri insieme agli altri abitanti del castello.
I guerrieri fecero il loro ingresso sporchi e stanchi, alcuni feriti e portandosi dietro numerosi destrieri senza cavaliere, ma con gli elmi appesi alle selle e sui volti segnati avevano dei sorrisi per la vittoria conquistata. Colin scese da cavallo con l’ aiuto dei suoi scudieri, coperto di polvere e sangue.
-Erhis-, disse sorridendo, -prenditi cura di tuo fratello.
Il giovane Coller fu fatto scendere anche lui dal cavallo, e mentre la sorella gli si avvicinava disse: -Non è niente di grave, una ferita leggera.
Senza rispondere Erhis controllò la freccia che spuntava tra le piastre dorsali dell’ armatura di Coller, all’ altezza della spalla sinistra.
-Mi hanno colpito verso la fine degli scontri.
-Sei fortunato che fosse un arco e non una balestra, altrimenti sarebbe andata più a fondo.
Vieni, mentre ti medico mi racconterai della battaglia.
E così, mentre Erhis aiutata da un paggio smontava le piastre della corazza, estraeva la freccia e procedeva a pulire e medicare la ferita, Coller le raccontò la battaglia.
-Non credevo che sui nostri monti vivessero così tanti clan: c’ erano il Lupo e l’ Orso, il Tasso, il Cervo e il Cinghiale, l’ Aquila e il Salmone, i Lupi Grigi e i Cani Feroci; e poi stendardi che non avevo mai visto, con un puma e un cinghiale in lotta, un falco che ghermisce un serpente, una vipera pronta a mordere e un cinghiale cintato. Ed altri ancora che non sono riuscito a distinguere perché erano lontani. Noi eravamo poco più di cinquecento, contando i villici, ma i Ruach-carnach ci erano superiori almeno di cinque volte. Era Freich il Sanguinario, del clan dei Lupi Grigi a guidarli: sia io che nostro padre abbiamo cercato di raggiungerlo, ma si è sempre tenuto lontano da noi.
Coller si interruppe, volgendosi a fissare sua sorella, lo sguardo cupo. -Abbiamo vinto solo perché non avevano cavalli e non erano in grado di tener testa alla carica della nostra cavalleria, ma anche così molti dei nostri non ce l’ hanno fatta. Ho visto Kellar di Ponte Lungo venire tirato giù di sella e finito a colpi di accetta, e il giovane Melar, il figlio del mugnaio, letteralmente sbranato da un bruto con la bava alla bocca reso folle dal sangue. Ma la metà di loro è morta, e i Ruach non saranno in grado di recarci danni per molti anni, vedrai.
Nostro padre ha dato ordine di dare degna sepoltura a ciascuno dei nostri caduti al margine est del Campo di Baldwin, là dove a primavera spuntano i crochi e i bucaneve, mentre i Ruach-carnach verranno bruciati su delle pire nel centro della piana. Ah! Stai tranquilla: ha dato ordine ai boscaioli incaricati di fare legna per le pire di non toccare i liquidambra a cui tieni tanto.
Erhis annuì, con un groppo in gola ed incapace di dire al fratello che avrebbe voluto vedere tagliato alla base fino all’ ultimo degli alberi del boschetto.

Il fumo nero delle pire su cui venivano arsi i Ruach-carnach salì ad oscurare il cielo per cinque giorni, appestando l’ aria del castello e del villaggio che gli sorgeva vicino; la cenere si sparse sulle vie di terra battuta e sui campi ancora da dissodare in vista delle semine. I pianti delle donne invece si levarono per sette interi giorni, poi il lutto dovette essere accantonato per tornare ai lavori quotidiani in vista dell’ inverno. E se anche c’ erano meno braccia per lavorare i campi, quell’ autunno, ci furono anche meno bocche da sfamare, e il numero dei cavalieri dimezzato richiese meno soldi per le rendite, che furono coperte dalla vendita delle spoglie di guerra: poche armi valide e ancor meno corazze e usberghi di maglia di ferro, ma molte pellicce e trofei di caccia, corni e vesciche per bere, alcuni buoni archi e corde di tendine d’ orso molto ricercati dai signori del sud per andare a caccia, carne essiccata e otri di pelle pieni del forte liquore di bacche di prugnolo. Così la mancanza di braccia per lavorare fra la popolazione del villaggio e delle campagne della Signoria fu compensata dall’ abbondare delle scorte alimentari e dallo sgravio delle tasse per la popolazione, e se al centro del Campo di Baldwin il terreno rimase nero e l’ erba non vi crebbe per due anni, al suo margine orientale le ondulazione dei tumuli divenne, in primavera, prima bianca per il germogliare dei bucaneve, poi, quando le giornate si fecero più calde, gialla e viola per la distesa dei crochi prima e degli anemoni poi.
E come aveva detto Coller i Ruach-carnach non furono più un pericolo per molti anni, tanto che le campagne e i boschi furono sicuri fino ai piedi dei Monti di Carnach, ed anche sui pascoli estivi in alta quota le ruberie divennero rare. La selvaggina ripopolò le montagne e i predatori naturali, lupi, volpi e tassi, non si fecero più vedere a valle neanche d’ inverno.
Fu in questo clima di serenità e sicurezza che Erhis prese l’ abitudine di fare lunghe passeggiate da sola e nessuno ebbe da ridire. Quasi sempre a piedi, raramente sul suo pony grigio, la ragazza cominciò a passeggiare nei campi alle spalle del castello, in esplorazioni che la conducevano via via sempre più lontano, fino a percorrere i boschi e i sentieri delle colline. In principio si limitò a raggiungere la tomba di sua madre, che aveva voluto essere seppellita vicino alla Cascata dell’ Arcobaleno, dove il Rio Acquaneve precipitava lungo una parete di roccia alta trenta metri in una cascata di tre salti, infrangendosi nel secondo su uno sperone di arenarie, così che la grande pozza sul fondo della cascata era perennemente sovrastata da un arcobaleno. In quel luogo, durante l’ estate, Erhis e suo fratello venivano portati spesso dai loro genitori a passare le giornate più calde e trascorrevano il pomeriggio nuotando nella vasta pozza. E lì, sul letto di morte, la madre dei due ragazzi aveva chiesto di essere seppellita.
La tomba era stata scavata alla base della parete di roccia, al limitare della spiaggia di ciottoli scuri e grigi, guardata dall’ alto da una statua in grandezza naturale della moglie che Colin di Croanor aveva fatto realizzare da un artista chiamato appositamente da Brunwick, la capitale. Erhis si recava spesso in questo luogo, dopo la Battaglia del Campo di Baldwin, specie nel mese di maggio, quando i rosai che Colin aveva fatto piantare sulla tomba aprivano i loro bocci ed esibivano le corolle di bianchi petali contornanti i pronunciati stami giallo-oro. Rimaneva a lungo assorta a fissare la statua della madre, di marmo bianco venato di scuro giunto dalle lontane cave della costa meridionale, coi capelli sciolti sulle spalle, un cesto di fiori e frutti nell’ incavo del braccio sinistro, il braccio destro levato in una sorta di benedizione e i rosai profumati cresciuti a nasconderla fino all’ altezza della vita. Un’ edera dalla piccole foglie variegate, radicata nelle crepe della parete di roccia, scendeva a incorniciare la statua in un arco di festoni che il giardiniere del palazzo curava meticolosamente.
E se in primavera la Cascata dell’ Arcobaleno era la sua meta preferita, in inverno amava percorrere le rive del piccolo Lago Specchio, la cui superficie ghiacciata diventava la pista per i pattini dei bambini e dei giovani, oppure spingersi fino al più grande Lagoscuro, alla base del monte Puntaspezzata, contornato di giovani abeti argentati, a guardare il passaggio sulla strada per Brunwick delle grandi slitte dei mercanti di pellicce trainate da cavalli dai ricchi finimenti carichi di campanelli tintinnanti. La dura sconfitta inflitta ai Ruach-carnach aveva reso più sicure le strade montane, i cacciatori di pellicce erano aumentati e gli stessi abitanti delle montagne avevano dovuto iniziare a vendere ai mercanti delle Terre Basse, con un incremento dei traffici nella Signoria di Croanor e un aumento della gittata delle tasse per le casse di Colin.
Le maggiori entrate permisero a Colin di indire ancora tornei estivi per assoldare nuovi cavalieri che rimpiazzassero coloro che erano caduti sul Campo di Baldwin. E durante i suoi vagabondaggi Erhis li vedeva arrivare dalla strada per Brunwick, che si trovava a sud-est, o scendere dai passi montani di Pelcan e Serrafredda, giungendo dalle piccole signorie straniere dell’ Esvenia, la Terra dei Fiordi. Altri arrivavano dai Principati dell’ Ovest, lungo le polverose strade che tagliavano gli sterminati campi di frumento, orzo e farro, oppure sulla Pista Orientale, che giungeva dal porto fluviale di Castel Franco sul Colle, dove il Re aveva istituito un libero mercato per le merci che viaggiavano sul grande fiume Alcare. Tutti loro cavalcavano fieri tenendo alti i propri colori, che fossero soli, accompagnati da un singolo scudiero o da un seguito numeroso; alcuni, incontrandola, si fermavano per chiederle informazioni sulla strada che rimaneva per il castello, o per elargire complimenti sulla bellezza sua e di quella terra di frutteti e campi verdi di cereali e pascoli fioriti. A tutti loro Erhis rispondeva con cortesia per proseguire solitaria nei suoi vagabondaggi.
Ma era l’ autunno la stagione che la fanciulla prediligeva, perché la commemorazione dell’ anniversario della Battaglia del Campo di Baldwin era ormai alle spalle, non c’ erano più feste popolane i cui preparativi l’ avrebbero impegnata e la prossima festa religiosa coi suoi digiuni e cordogli era lontana nel mezzo dell’ inverno. Così, sebbene le giornate andassero accorciandosi rapidamente, aveva molto tempo libero per le sue passeggiate. E se i mattini erano freschi, nel pomeriggio la terra rilasciava il suo calore e i suoi odori; poi i colori che si accendevano nel bosco e nelle siepi di confine dei campi la ammaliavano e riempivano di stupore a fronte di tanta bellezza e fantasia. Il boschetto dei liquidambra, tornato ad essere uno dei luoghi preferiti di Erhis, con le foglie che da verdi diventavano rosse, il giallo pallido dei pioppi e il color oro bruciato di querce e frassini. In questa stagione i suoi giri la portavano alle pendici dei Tre Fratelli, le vette più basse dei Monti Carnach ma i più vicini al castello, riserva di caccia personale della sua famiglia. Le guardie forestali mantenevano aperti i sentieri e pulite le radure coi capanni di sosta, ma l’ intervento umano era ridotto al minimo. Sotto i castagni cominciavano ad accumularsi i ricci e le castagne e i marroni, mentre le prime foglie brune cominciavano a cadere. Le macchie di rovi cominciavano ad arrossarsi e le bacche di prugnolo a farsi nere e quelle delle rose canine erano già rosse, mentre dentini, steccherini dorati e finferli crescevano mescolati alle amanite, ai celestini e ai cimballi: il fondo bruno del bosco era punteggiato di giallo, bianco, rosso e del viola chiaro dei ciclamini.
Fu durante una delle passeggiate, il terzo autunno dopo la Battaglia del Campo di Baldwin, che vide, in lontananza, un cavaliere. Montava un possente destriero roano, lanciato al galoppo lungo una stretta strada delimitata da siepi di biancospino. Viaggiava in direzione del castello ed Erhis immaginò si trattasse di un messaggero inviato a suo padre da qualche Signore confinante. Ma quando fece rientro e chiese del cavaliere nessuno lo aveva visto: che fosse un messo o un semplice viaggiatore non si era fermato al castello, ed anche se era diretto altrove era strano che non lo avesse fatto. Colin accantonò il fatto come un atto di scortesia o di eccessiva fretta e non ci pensò più, ma nei giorni successivi ad Erhis capitò di vederle ancora il cavaliere. Un paio di volte da molto lontano, così che non essendo sicura fosse lui o uno dei cavalieri di suo padre non ne parlò con nessuno. Ma una volta le sfrecciò molto vicino, così che lo vide bene: era un uomo di età indefinita, con capelli ondulati castano dorati, con vesti verdi e marroni e un mantello bruno che gli sventolava sulle spalle. Al suo passaggio si sparse un intenso odore di sottobosco e un mulinello di foglie secche si sollevò nell’ aria. Quella volta con lei c’ erano due delle sue ancelle, che cavalcavano dietro di lei parlando fra loro. Il passaggio del cavaliere sul roano non interruppe lo scambio fra le due, ed un attimo dopo una delle ragazze le disse: -Comincia a fare freddo, mia signora. Perché non rientriamo al castello?
Erhis si voltò sulla sella ed incontrando lo sguardo dell’ ancella comprese che non lo aveva visto. Nessuna delle due ragazze aveva visto il suo passaggio, nonostante fosse transitato a pochi metri da loro. Annuì e girò il cavallo in direzione del castello.

Vennero le prime gelate, il tempo dei funghi e delle castagne finì, mentre nei boschi e sui crinali spuntavano gli ellebori, annunciando l’ arrivo delle prime nevi. E con l’ inverno Erhis non vide più il cavaliere dal mantello bruno, fin quando smise di pensarlo.
La neve prima imbiancò i Monti Carnach, poi scese fino alle Terre Basse. Tornarono i mercanti di pellicce e le festività invernali, il tempo delle storie raccontate dai bardi nella sala del castello e dai vecchi davanti ai focolari delle case popolane. Tornarono il gelido vento del nord e le bufere di neve. Ma quando la scorta di legna da ardere è abbondante, la dispensa piena di provviste, gli abiti imbottiti e gli stivali robusti, neanche l’ inverno fa paura. E tanto meno faceva paura quell’ anno, coi nemici e i lupi lontani.
Poi il vento girò, l’ aria prese a riscaldarsi e la neve a sciogliersi. Sulle tombe degli eroi del Campo di Baldwin spuntarono i primi bucaneve, fino a diventare così numerosi che pareva avesse nuovamente nevicato, per essere nuovamente sostituiti dai crochi e dai fiori della primavera inoltrata, e infine dagli anemoni che spuntano sul far dell’ estate. Le messi che avevano riposato sotto la coltre di neve crebbero e indorarono, poi vennero mietute e raccolte in covoni, trasportate alle cascine, trebbiate sulle aie e riposte nei granai; le margherite succedettero agli anemoni, greggi e mandrie furono portate ai pascoli in quota e poi riportate a valle, la legna per l’ inverno posta nelle legnaie prima che le piogge autunnali la bagnassero. L’ Anniversario della Battaglia passò e fu accantonato, e poco dopo le foglie degli alberi cominciarono ad ingiallire.
E con l’ arrivo dell’ autunno tornò lo strano cavaliere. Erhis prese a vederlo spesso, mentre cavalcava in ogni direzione per le terre di suo padre. E, si rese conto, era lei la sola vederlo. Passava vicino ai contadini al lavoro e questi non alzavano la testa, il suo cavallo scalpitava accanto ad un carrettiere intento a caricare il suo carro e non lo infastidiva; le donne continuavano a lavare i panni o a stenderli, i bambini non interrompevano i loro giochi, le guardie del castello non lo fermavano, i cavalieri che incrociava non lo degnavano di uno sguardo. La conferma definitiva la ebbe quando lo vide entrare, indisturbato e senza che le guardie alle porte lo guardassero soltanto, nella piazza d’ armi del castello.
Era un giorno vessato da una pioggerella uggiosa tipicamente autunnale e da un po’ di nebbia, ed Erhis stava percorrendo il passaggio sotto una tettoia diretta all’ infermeria, per portare delle bende che aveva preparato con le altre donne del castello, quando lo vide attraversare sicuro le grandi porte delle mura. Passò così vicino alla sentinella che il cavallo agitando la coda lo colpì ad un braccio: il soldato non si accorse di niente. Erhis si fermò, stringendo al petto il mucchio di bende, e mentre il misterioso cavaliere avanzava attraverso la spianata in terra battuta i loro sguardi si incrociarono. L’ uomo le sorrise.
-Erhis?
-Eh? Cosa..?- Presa alla sprovvista la fanciulla sussultò, nel voltarsi per vedere chi la chiamava. Era la sua governante.
-Che ti prende? Ti sei bloccata a fissare il niente: ti senti bene?
-Sì... sto bene. Solo una cosa che mi sono ricordata.
E prima che la donna potesse ribattere partì verso l’ infermeria. Il cavaliere era scomparso.
Raggiunta l’ infermeria iniziò a riporre le bende in uno stipo, guardandosi preoccupata attorno. In quel momento non c’ era nessuno. L’ infermeria era una lunga sala, con brande addossate ad una parete mentre la parete opposta per metà della sua lunghezza era costituita da porte-finestre che si affacciavano su un giardino interno. Nella brutta stagione le porte-finestre venivano chiuse tendendo, fra ganci infissi nei telai, pelli d’ asino raschiate, così fini che il vento non poteva passare ma la luce sì. In quei giorni, però, alcune pelli non erano ancora state montate. Ed attraverso una delle porte-finestre Erhis vide nuovamente il cavaliere: camminava per il giardino tenendo il cavallo per le briglie, la mano sinistra, chiusa in un guanto di pelle scura, sfiorava una siepe di cornioli: al suo passaggio le foglie verdi ingiallivano, quelle gialle cadevano, e gli ultimi fiori delle rose perdevano tutti i petali. Poi, in un mulinello di rosse foglie d’ acero, cavallo e cavaliere scomparvero.

Quell’ anno Erhis riuscì a vederlo ancora, ma sempre da lontano. Galoppava lungo le siepi di confine e queste rimanevano spoglie, percorreva i prati pedemontani e gli ultimi fiori scomparivano; passava vicino alle macchie di rovi e le piante ritiravano la linfa nelle radici, preparandosi all’ inverno; attraversava i boschi e questi si accendevano di mille colori cangianti, dal giallo pallido al rosso, passando per il color oro bruciato, l’ arancio e il viola, i colori bruni e quelli marroni; sotto gli alberi spuntavano funghi e ciclamini emergendo dallo spesso strato di foglie cadute, le castagne maturavano e precipitavano sul terreno in una cascola tambureggiante.
Poi l’ autunno finì, coi primi ellebori dalla corolla verde, ed il cavaliere non si fece più vedere.

I giorni fecero seguito ai giorni, gli uomini rallentarono insieme alla natura, recuperando le energie spese e preparandosi alle nuove fatiche. Erhis si fece sempre più insofferente, desiderosa del sopraggiungere di un nuovo autunno, insensibile alle bellezze delle altre stagioni che le scorrevano intorno senza che le avvertisse.
E quando il radunarsi delle rondini le disse che l’ estate stava per marciare a sud, iniziò a percorrere le campagne e i boschi alla ricerca del suo cavaliere.
Infine lo avvistò, figura lontana, piegato sul collo del suo cavallo in un galoppo sfrenato da nord-est. Cercando di intuirne il percorso Erhis andò a piazzarsi nel mezzo della strada che il cavaliere avrebbe seguito, decisa a bloccarlo. Quando lo vide arrivare, veloce e all’ apparenza inarrestabile, ebbe paura di esserne travolta, ma scorgendola il cavaliere portò il destriero dal galoppo al trotto e poi al passo per fermarlo infine a pochi metri da lei.
-Oh! La fanciulla che riesce a vedermi.
Col cuore che le batteva forte, Erhis chiese: -Chi... chi siete?
Il cavaliere sorrise. -Il mio nome è Huryon. Sono lo Spirito dell’ Autunno.
Lentamente un sorriso comparve sul volto di Erhis. -Io vorrei mostrarvi un luogo che mi è molto caro. Volete accompagnarmi?
Huryon annuì, e così i due, affiancati, se ne andarono insieme. Senza parlare Erhis condusse Huryon sulla strada per il castello e poi oltre, verso il Campo di Baldwin, fermandosi ai limiti del boschetto dei liquidambra. Con uno sguardo invitò il cavaliere ad avanzare.
Huryon fece avanzare il cavallo sotto i rami degli alberi. Un lieve odore di miele si sprigionava dai tronchi, i frutti caduti scricchiolavano sotto gli zoccoli dell’ animale. Erhis, quasi incredula, rimase a guardare le foglie dei liquidambra che diventavano d’ un rosso intenso via via che Huryon se li lasciava alle spalle.
Da quel giorno Erhis si fece accompagnare da Huryon durante i suoi girovagare, conducendolo in tutti i luoghi che le erano cari, scoprendo nuove piste e luoghi in cui non era mai stata, scorci inediti dei multicolori e variegati panorami autunnali. Cavalcarono uno a fianco dell’ altra, attraversando i frutteti che al loro passaggio perdevano le foglie, e camminarono mano nella mano al limitare dei prati e nei boschi di prugni selvatici che diventavano giallo oro. Finché un giorno, vedendo un elleboro che spuntava in un fosso nel folto del bosco, Huryon arrestò il suo destriero e si volse verso la fanciulla.
-Il mio Signore sta per giungere a reclamare questa terra nei suoi domini-, disse.
-Chi è il tuo Signore?
-Fynyass, il Re d’ Inverno. Fra pochi giorni sarà qui, giungendo sulle ali del Vento del Nord, ed io dovrò lasciarti per andare ad annunciare al Sud che lui sta arrivando.
-Tutte le terre devono cadere sotto il dominio di Fynyass?
-No. Come Fynyass possiede un regno nell’ Estremo Nord, così Horos il Marciatore, il Leone dell’ Estate, detiene il suo possesso nel Profondo Sud. Ho visto entrambi i loro domini, anche se solo da lontano, e nessuno dei due mi è piaciuto. Preferisco di gran lunga le terre dove io ed Ayleen, lo Spirito della Primavera, possiamo camminare.
Alcune notti dopo Erhis fu svegliata da un bacio leggero. Il buio della sua camera era permeato dell’ odore di bosco: terriccio, foglie e funghi.
-Erhis, mia amata-, sussurrò una voce, -colui che mi segue è giunto ed io devo andare. Ci vedremo il prossimo anno.
Completamente sveglia Erhis si alzò a sedere. La stanza era vuota e pensò di aver sognato. Ma l’ odore di bosco rimaneva, e quando andò alla finestra vide che fuori tutto era coperto di brina.

Sulle cime dei Monti Carnach il gelido Vento del Nord ululava insieme ai lupi, animali possenti e selvaggi, dai denti lunghi e acuminati e il lungo pelo grigio, riuniti in branchi feroci e temibili. Comparendo da un passaggio fra due rocce frastagliate, un’ alta figura avvolta in un manto nero avanzò sicura verso il Cerchio delle Pietre e del Sangue. Freich del Clan dei Lupi Grigi, ritto in piedi nel centro del Cerchio, rimase a guardare la figura ammantata che scendeva verso di lui. Era giunto lì con una torcia, ma le raffiche di vento l’ avevano spenta, e tutt’ ora lo scuotevano, infilandosi sotto le pesanti pellicce dei suoi abiti. Il nuovo venuto, invece, sembrava che non venisse nemmeno toccato dal vento: le folate facevano mulinare la neve tutt’ intorno a lui, ma il suo passo non esitava mai. Con la mano posata sull’ elsa della spada, Freich attese, pieno di dubbi. Al bisogno, temeva in cuor suo, né spada né frecce lo avrebbero aiutato contro lo sconosciuto.
Quando infine l’ alta figura entrò nel Cerchio delle Pietre e del Sangue, Freich poté osservarlo meglio. Era completamente avvolto dallo sbrindellato mantello di stoffa nera lungo fino a terra, con un cappuccio che gli celava il volto. Il vento lo strattonava ma non riusciva a smuoverlo né ad aprilo, sebbene Freich non riuscisse a vedere né alamari né spille che lo tenessero chiuso. L’ uomo sotto quel manto, oltre che molto alto, doveva essere molto magro. Così magro che in certi momenti, a seconda di come il vento ne premeva la stoffa, pareva che sotto non ci fosse un vero corpo. Al fianco destro, in un fodero di pelle maculata sorretto da una cintura di maglie metalliche, portava una lunga spada, e nella mano destra aveva un bordone nodoso, appena sgrossato e ricavato dal ramo di un albero dotato di spine.
-Salute, Freich il Sanguinario-, disse una voce fredda e sibilante, una voce che era la stessa del feroce Vento del Nord.
Ingoiando la rabbia per quel soprannome datogli dai suoi nemici, e combattendo il timore che la figura ammantata gli incuteva, Freich disse: -Sei tu che mi hai convocato, chiamandomi insistentemente nei sogni?
-Si.- Un monosillabo duro come l’ acciaio: la voce che arrivava dalle ombre del cappuccio tagliava in profondità come una lama.
-Chi sei?
Una risata lieve si levò dal cappuccio. -Non riconosci un tuo simile? I lupi dell’ inverno sono il mio vessillo così come sono il tuo.
Con un gesto ampio e circolare della mano sinistra la figura indicò il cerchio di monoliti infissi nel terreno simili a zanne. Guardando nell’ oscurità Freich vide i lupi che fino a poco tempo prima avevano ululato lontano, assiepati appena all’ esterno del Cerchio, fissarlo con occhi brucianti.
-Io sono un re, Freich, Signore di lande ghiacciate tempestate dal vento, dominatore di terre che non vedono la luce del sole per metà dell’ anno. Io sono Fynyass, il Re d’ Inverno.
Freich inghiottì a vuoto. -Cosa vuoi da me, Spirito? Perché mi hai fatto venire in questo luogo? Nessuno dei Feroci vi viene più da anni, ormai.
-Seguimi-, disse Fynyass con un gesto delle dita ossute, e passando oltre Freich raggiunse il centro del cerchio, dove una grande pietra a forma di parallelepipedo vi era stata collocata distesa. Fynyass la aggirò e, fermatosi sul lato opposto a quello dov’ era Freich, vi appoggiò una mano. Anche nel buio si vedeva una grande macchia più scura sulla pietra. -Freich del Clan dei Lupi Grigi,- disse Fynyass sguainando la sua spada e tendendola sopra la pietra, -riconosci la mia signoria su queste terre e io darò in tua mano i tuoi nemici. Lo giuro qui, in questo luogo sacro eretto dai tuoi antenati quando essi vennero scacciati dalle Terre Basse.
Freich fremette, un moto che gli giunse dal profondo, un misto di repulsione ed esultanza. Guardava la lunga spada, affilata e grigia, di acciaio ghiacciato, e non sapeva decidersi.
-Un giuramento-, disse, -dovrebbe essere suggellato da un sacrificio, ma i nostri sacerdoti sono stati tutti uccisi molti anni fa.
-Diventa tu un sacerdote.
La spada si mosse di scatto ad indicare un punto del Cerchio alla destra di Freich: il guerriero si voltò a guardare ed ecco che la fila dei lupi si aprì per far passare due giganti della loro specie, che trascinavano per gli abiti un ragazzo. I due lupi portarono il ragazzo esanime fino alla pietra e lo lasciarono cadere ai piedi di Freich, poi andarono a sedersi ai limiti del Cerchio. Il capo clan si chinò ed afferratolo per il bavero voltò il ragazzo, così da guardarlo in volto. Anche al buio lo riconobbe: Edmur, figlio di Tear del Clan del Cinghiale, che cinque anni prima era stato il suo più fiero alleato nei preparativi dell’ attacco alle Terre Basse, per diventare il suo peggior nemico dopo la sconfitta. Il ragazzo aprì gli occhi e lo riconobbe. -Freich-, sussurrò, -aiutami.
-I lupi cacciano i cinghiali, Freich-, disse la fredda e dura voce di Fynyass alle sue spalle. -E se diventano abbastanza forti attaccano anche gli uomini.
Con un moto deciso, afferrando le vesti di Edmur, Freich lo sollevò sulla pietra. Estrasse il suo pugnale e lo usò per tagliare le vesti del giovane, poi sollevò la lama sopra la testa. L’ ultimo sacerdote dei Feroci era stato ucciso quando lui era ancora un bambino, e più nessuno ricordava i rituali che avevano praticato. Ma era sicuro che ciò non avesse importanza.
Nel buio della notte, sulla cima del Picco dei Lupi, si levò una gelida risata, simile al sibilo di una lama, che il vento trasportò lontano. L’ ululato di cento lupi le faceva da coro.

Il mattino successivo, scendendo a piedi verso il suo villaggio, Freich il Sanguinario incontrò Tear del Cinghiale, accompagnato da cinque dei suoi guerrieri.
-Freich-, disse Tear. -Sto cercando mio figlio che ieri non è tornato dalla caccia.
Freich sogghignò. -Il cinghiale è una preda, non un predatore.
-Che stai dicendo? Hai perso il senno?
-Troverai tuo figlio al Cerchio delle Pietre e del Sangue. I lupi lo hanno portato a me.
Tear a quel punto capì, ed il sangue che macchiava le mani ed il volto di Freich, le maniche della sua giubba di pelliccia che ne erano intrise fino ai gomiti furono la conferma.
-Maledetto! Cosa hai fatto?
Tear sguainò la spada, ma non fece a tempo a caricare Freich perché ovunque fu un’ esplosione di ululati e due lupi giganteschi gli balzarono addosso, trascinandolo giù di sella e squarciandogli la gola. I suoi guerrieri rimasero paralizzati dal terrore, coi lupi che li circondavano e i cavalli che nitrivano e scalpitavano. Quando ad un cenno di Freich i lupi si ritirarono, i cinque guerrieri si volsero a guardarlo.
-Andate a dirlo a tutti: i Clan tornano a riunirsi, e chi rifiuterà di sottomettersi a me verrà preso dai lupi e sacrificato sulla Pietra del Dolore. Andate!
I cinque voltarono i cavalli e scomparvero.
-Ricorda, Freich-, disse nel vento la voce di Fynyass, -a te il dominio sugli uomini, a me il dominio sulla terra e sul tempo.

I giorni passarono, la neve cadde. Freich sedeva sul trono di ossa, in fondo alla Casa Grande al centro del villaggio del clan e riceveva gli atti di sottomissione degli altri capi. In principio alcuni di loro si erano opposti a lui, ma dopo che i capi dell’ Orso, dell’ Aquila e del Tasso erano stati aggrediti ed uccisi dai lupi, Merach del Tasso addirittura nel suo letto, tutti i clan gli si erano sottomessi. Le famiglie dei capi avversari erano state trucidate sulla Pietra del Dolore, sacrificio alla rabbia e alla sete di vendetta. E Fynyass, appostato dietro il trono di Freich, gelida ombra che solo lui poteva vedere, rideva soddisfatto.
-Tieni a mente-, sussurrava, -che solo io potrò darti la vittoria e rendere alla tua gente le Terre Basse che vi furono strappate. Ma solo tu potrai fermare la mia nemica. E’ Ayleen, lo Spirito della Primavera, la sola che può scacciarmi. La attenderai sulla Via del Sud e la trafiggerai con la daga di ghiaccio che ti ho dato. Dopo che avrai ucciso la Primavera, nessuno potrà sconfiggerci.
Ed ora raduna tutti i guerrieri dei Feroci, scendi nelle valli insieme ai miei lupi e fai scempio di coloro che vi cacciarono dalle vostre terre. E non temere, dal meridione non giungeranno rinforzi fin tanto che la neve ed il ghiaccio rimarranno a chiudere le strade.

Fu così che i Ruach-carnach, accompagnati dai branchi di lupi grigi, scesero in pieno inverno dai loro monti. Protetti dal buio e dalla neve che cadeva copiosa sciamarono nelle valli montane, sorprendendo le poche guarnigioni ed assalendo le fattorie isolate. I branchi di lupi scivolarono oltre gli avamposti attaccati, tagliando le vie di fuga e uccidendo i messi inviati a chiedere l’ aiuto del Signore di Croanor.
Ben presto l’ intera Signoria fu sotto l’ attacco delle bande di Feroci. La notizia giunse al castello di Colin, ma la neve continuava a cadere e i cavalieri non poterono uscire. Colin e suo figlio Coller guidarono delle spedizioni di fanti, uccidendo alcuni Ruach-carnach, ma i più sfuggivano loro ed assalivano gruppi isolati di militari e civili. Ormai era ovunque lo stato di assedio.
I combattimenti si protrassero, le guarnigioni si asserragliarono, le famiglie di villici si rifugiarono al castello o alle stazioni di posta, quelle che ancora non erano cadute. Trovando le fattorie vuote i Feroci le bruciarono, poi sfogarono la loro rabbia distruggendo i frutteti. La guerra continuò fra agguati e sortite, coi lupi che assediavano gli uomini dentro le loro case e i Feroci che tendevano agguati a Colin e ai suoi soldati.
Il numero dei rifugiati e le ruberie dei Feroci fecero diminuire sensibilmente le scorte di viveri. Una notte i lupi erano riusciti ad introdursi nelle stalle e avevano ucciso tutti i cavalli. Se anche la neve fosse andata via, Colin non aveva più una cavalleria da guidare all’ attacco.
-Le scorte basteranno fino all’ arrivo della Primavera-, disse Colin al consiglio dei suoi guerrieri.
Anche Erhis assisteva a quella riunione, seduta silenziosamente in un angolo.
-Ma non abbiamo più cavalli: come ricacceremo i Ruach-carnach sui monti?
-Sono sicuro che i mercanti di pellicce hanno già dato l’ allarme nel meridione: col disgelo il Re invierà le sue truppe in nostro aiuto.
Molti mercanti di pellicce erano stati trovati morti sulla strada per Brunswick, sbranati dai lupi, ma da chiare tracce si era dedotto che alcuni, pochi per la verità, erano riusciti a girare in tempo le loro slitte e a sfuggire alle fiere. Si trattava di rimanere chiusi ed attendere, quindi.
Ma i Ruach-carnach non intendevano certo aspettare. Gli attacchi si intensificarono, le stazioni di posta caddero, poi le torri di guardia e i piccoli castelli dei vassalli di Colin. E il giorno della Festa di Mezzo Inverno Freich il Sanguinario si recò sotto le mura di Colin. Portava con sé molti prigionieri, soldati per lo più, ma anche donne e bambini.
-Colin, guardami!- urlò. -Tu solo resisti ormai: i Feroci si sono ripresi ciò che i tuoi avi tolsero loro. Le Terre Basse sono nuovamente nostre!
Dalle file dei clan si levarono urla e acclamazioni, i lupi ulularono in coro.
-Apri le tue porte ed arrenditi, ed io risparmierò il tuo popolo. Se non lo farai li ucciderò tutti, dal primo all’ ultimo.
E per sottolineare le sue parole tagliò la gola ad un giovane contadino. In tutta la Signoria, ormai, la neve era divenuta rossa di sangue.
Fu così che Colin cedette. Lui e suo figlio furono posti in catene, insieme ai cavalieri sopravvissuti. -Portateli al Cerchio delle Pietre e del Sangue-, udirono dire a Freich. Gli uomini incatenati furono portati via e più nessuno li vide.
Dall’ alto del Picco dei Lupi, assiso su un trono di ghiaccio esposto alla furia del Vento del Nord, Fynyass rise.

Le lune scivolarono via una dietro l’ altra, e si giunse a quella che doveva essere la fine dell’ inverno. Relegata al ruolo di serva, Erhis attendeva l’ arrivo degli zefiri primaverili e del disgelo, confidando nell’ aiuto del Re. Da un giorno all’ altro i suoi cavalieri avrebbero potuto cavalcare a nord e giungere in loro soccorso. Alcuni coraggiosi, sfuggiti alla prigionia, erano riusciti a scivolare tra le maglie delle guarnigioni dei Ruach-carnach, a sfuggire all’ inseguimento dei lupi e raggiungere i confini delle Terre Basse. Qualcuno di loro era anche tornato indietro, a costo della vita, per riportare un po’ di speranza fra la gente oppressa riferendo che le truppe del Re erano accampate a Dun-Daerdach, la grande fortezza sul fiume Inondante. Aspettavano il disgelo per muovere a nord: il Re era con loro, ed aveva promesso che questa volta i Ruac-carnach sarebbero stati uccisi fino all’ ultimo uomo.
E i bambini?” si chiedeva Erhis, sola nella sua stanza, al freddo perché i Ruach-carnach le avevano tolto la legna da ardere. “E le loro donne? Che ne sarà di loro? Li ucciderete, come loro hanno ucciso noi? Li lascerete al loro destino, senza sapere se moriranno il prossimo inverno o se sopravviveranno per vendicarsi?”
E nel buio pianse: pianse per suo padre e suo fratello, scomparsi e sicuramente morti; pianse per la sua governante, che avevano sgozzato perché era vecchia e perciò inutile; pianse per le sue ancelle, prese da dei rudi montanari per farne serve e donne di piacere; pianse per tutti gli orfani del castello, le cui scelte erano fra una vita di stenti e una morte tutt’ altro che veloce.

Quando il primo zefiro soffiò timidamente sulla Piana di Baldwin, Fynyass chiamò a sé Freich.
-I venti primaverili chiamano i bucaneve che giacciono sotto la neve e la terra: destatevi, dicono loro, annunciate al Re d’ Inverno che è venuto il tempo per lui di ritirarsi.
Ma quest’ anno non sarà così. Io ho posto queste terre sotto il dominio del Regno del Gelo, e lo Spirito della Primavera qui non deve più giungere.
Vai, Freich, a compiere il compito che ti ho assegnato: io per te ho sottratto le Terre Basse ai tuoi nemici, tu ora sottraile per me alla Primavera.
E Freich il Sanguinario partì, su una slitta trainata da cani, portando con sé la daga di ghiaccio che il Re d’ Inverno gli aveva dato. Viaggiò fino al confine delle Terre Basse, giungendo in vista della possente fortezza di Dun-Daerdach. I vessilli sulle sue torri erano così numerosi che anche in lontananza se ne vedevano i cento colori. In quei luoghi Freich non trovò più neve, sebbene il terreno fosse gelato, e fiumi e specchi d’ acqua non erano più coperti di ghiaccio, ma solo lungo le sponde se ne vedeva un poco.
E mentre attendeva, solo in piedi al centro della grande strada, vide, a occidente, una figura che camminava solitaria. Le andò incontro, tagliando per i prati di trifoglio cotto dal gelo e i campi di cereali in attesa del caldo per crescere. Quando raggiunse la figura vide che era una giovane donna, alta e forte, bella e dallo sguardo dolce, vestita di una semplice tunica verde e coi lunghi capelli neri adorni di una corona di fiori. Camminava scalza, e dietro di lei l’ erba era tornata verde e i primi fiori cominciavano a spuntare.
-Tu sei lo Spirito della Primavera-, disse Freich, con le lacrime agli occhi.
-Non so chi sia tu che puoi vedermi-, disse la fanciulla, -ma perché piangi?
-Piango per la mia terra e la mia gente, caduti sotto il giogo di un terribile tiranno.
E con un gesto deciso affondò la daga nel ventre della donna.
Lo Spirito della Primavera morì lì, ai confini delle Terre Basse, tra le braccia di Freich il Sanguinario, che scosso da gemiti e singhiozzi, pieno di rimorso ma ancor più di paura, la vegliò a lungo, prima di decidersi a fare ritorno a nord.
E nuovamente Fynyass rise, assiso sul suo trono, lassù, tra le alte vette degli ultimi monti del Nord, oltre i quali ci sono solo le tenebre dell’ inverno, perché più nessuno, ormai, avrebbe potuto minacciare il suo regno.

Fu Huryon, Cavaliere dell’ Autunno, di ritorno da terre lontane oltre i mari, a trovare il corpo privo di vita di Ayleen, la Primavera. Lo raccolse e postolo sul suo destriero lo portò in luoghi sconosciuti, lontano dagli uomini e dalle loro bramosie. La natura gemeva per la morte della Primavera, bloccata nello stato in cui si trovava. E proprio i pianti che salivano dalla terra stessa avevano detto ad Huryon che qualcosa di cattivo era accaduto, inducendolo ad abbandonare i propri compiti per mettersi alla ricerca del male che affliggeva il creato.
Huryon sapeva già chi era il responsabile e lo andò a cercare. Col suo destriero si recò fino alla vetta del Picco dei Lupi, e là, cullato dal vento e dal gelo, trovò il Re d’ Inverno.
-Non scendi da cavallo, di fronte al tuo signore, Cavaliere dell’ Autunno?- chiese beffardamente Fynyass.
-Perché lo avete fatto?
-Taci! Tu sei solo un cavaliere, io un re! Perché ti dovrei rendere conto di qualcosa?
-Avete ragione, sono vostro servo. Araldo dell’ Inverno, è uno dei miei titoli. Ma a cosa serve un araldo, se ciò che deve annunciare è già venuto?
Vi prego di ritirarvi dai vostri intenti e di lasciare che queste terre si risveglino.
Fynyass scoppiò in un cachinno selvaggio. -Troppo tardi, Cavaliere. Ormai è troppo tardi per le preghiere. La Primavera è morta, bandita da queste e da altre terre, e presto io estenderò il mio regno fino al Profondo Sud.
Huryon abbandonò i monti, seguito dalla risata crudele e selvaggia del suo sovrano.

Lasciato Fynyass, il Cavaliere galoppò a lungo, sempre in direzione sud. Abbandonò le terre ancora nei confini dell’ inverno, attraversò le contrade dove un risveglio iniziato era stato interrotto e tutto era frastornato, uomini, animali e terra e tutto ciò che dalla terra prendeva la vita, per inoltrarsi in quei paesi dove l’ estate risplendeva nel suo pieno fulgore. Aveva superato Brunwick, con le sue imponenti mura, scavalcato le montagne Brumafredda e percorso veloce le Pianure Maggiori, per giungere alle Terre dei Cento Fiumi e delle Mille Città, ai confini orientali delle Terre Brulle; e poi oltre le Lande dei Tumuli e l’ asfissiante Rajkapur, con i suoi stretti vicoli e innumerevoli canali e il suo porto affollatissimo di velieri, e ancora più a sud, nelle terre che si stendono oltre il Mare di Mezzo, fino alla Terra dei Giganti, dove immani costruzioni vennero erette in un’ epoca persa nel passato, chiusa agli sguardi dei viaggiatori dalle Depressioni di Marador e le Pianure di Cenere e il Deserto di Gesso. Huryon si presentò alla corte di Horos il Marciatore, il Leone dell’ Estate.
Horos era un gigante dalla chioma nera, dalle ampie spalle e la muscolatura possente. Aveva i fianchi cinti da un perizoma di leopardo, le caviglie e i polsi adorni di bracciali di criniera di leone, ed una collana di denti di giaguaro gli pendeva sugli ampi pettorali. Sotto la pelle lucida e bruna i muscoli guizzavano gagliardi, i suoi occhi neri bruciavano come il sole che splendeva alto nel cielo estivo, e sotto i suoi occhi l’ uomo comune avvertiva il proprio spirito inaridirsi.
-Cosa cerchi alla mia corte, Cavaliere dell’ Autunno-, chiese Horos. Tutto intorno a lui crescevano i fiori e i frutti dell’ estate, fra cui fiere impavide si aggiravano minacciose. Huryon guardava i piedi del Marciatore, affondati nella sabbia rovente del deserto che fuoriusciva da sotto il suo trono di rocce calcaree. -Questi sono luoghi che il tuo padrone non ha speranza di raggiungere, quindi dimmi cosa ti conduce a me, perché non è certo in veste di Araldo dell’ Inverno che sei venuto.
-Sono qui per chiedere il tuo aiuto, Leone dell’ Estate. La mente del mio signore è fredda e calcolatrice, e gelido il cuore che batte nel suo petto: lui non ha pietà e non concede niente, e chi cade sotto il suo dominio può aspettarsi solo dure sofferenze.
Fynyass ha fatto uccidere lo Spirito della Primavera e medita di muovere guerra anche al tuo regno. Chiedo il tuo aiuto per ricacciarlo nell’ Estremo Nord, quello è il suo luogo, adesso.
Horos scosse la testa. -Non ho interesse a combattere il Re d’ Inverno. Vuole estendere i confini del suo regno? Faccia pure, non ha speranza di giungere fino a me. E di altro non mi importa.
-Mio signore, ti prego! Gli uomini avranno molto a soffrire per la follia di Fynyass!
-Cosa vuoi che mi importi degli uomini, che esistono da talmente poco tempo che io ero già antico quando fecero la loro comparsa? E Fynyass si limita a seguire la sua natura: non c’ è follia in lui. Semplicemente fa ciò che deve fare. Come farò io.
E adesso vattene, pongo un divieto fra me e te: se tornerai ad importunarmi sarai distrutto dal mio calore.
Ma prima di allontanarti ti dirò una cosa. Non sei uno Spirito antico come lo siamo io e Fynyass, per questo non puoi ricordare. Tu non sei il primo Spirito dell’ Autunno, così come Ayleen non era il primo Spirito della Primavera. Già altre volte il Re d’ Inverno ha tentato di porre tutto il mondo in suo potere, arrivando a coprirlo quasi interamente di ghiaccio e neve, arrivando a cancellare anche la memoria di Autunno e Primavera.
Ora vai. E non tornare.

Nella Signoria di Croanor il tempo trascorreva nella vana attesa dell’ arrivo della primavera. Molti degli abitanti ridotti in schiavitù avevano rialzato il capo davanti alle angherie dei Ruach-carnach, sicuri che l’ ora della riscossa non avrebbe tardato a venire. Ma il tempo passava, i Feroci li deridevano e continuavano ad esseri spavaldi e sicuri. Niente dura per sempre, dicevano i vecchi. Ma di vecchi ne erano rimasti pochi, i più erano morti di stenti, e i giovani iniziavano a disperare. A Dun-Daerdach il Re e i suoi cavalieri scalpitavano. Sul Picco dei Lupi Fynyass rideva, e Freich il Sanguinario piangeva.
Un mattino Freich fu trovato morto: si era ucciso conficcandosi un pugnale nel cuore, distrutto dalla consapevolezza di ciò che stava per accadere. Altri presero il suo posto, senza cercare veramente una risposta alla morte del loro capo.
Morto Freich i lupi se ne andarono, tornando ai boschi delle montagne, ma l’ inverno continuava: una stagione giunta precocemente tardava a finire. La selvaggina nei boschi finì, così i lupi tornarono nelle Terre Basse, entrando negli ovili per sbranare le pecore. Poi cominciarono a sbranare i cani, perché le pecore erano finite. Le scorte invernali finirono: grano, carne essiccata e salata e pure quella stipata nelle ghiacciaie scavate nella terra, salumi, patate e altre verdure, frutta secca e pesce sotto sale. I Feroci uscirono a caccia, ma trovarono solo i lupi. Così gli uomini cominciarono a cacciare i lupi, e i lupi cacciavano gli uomini. Cominciarono a scomparire anche le persone: prima i bambini, poi le donne e anche gli uomini. I Feroci litigavano spesso fra di loro: avevano gli occhi infossati e le gengive si erano ritratte sui denti a causa della denutrizione e dello scorbuto. Ad ogni litigio c’ era almeno un morto, ed ogni volta il cadavere scompariva. La Fame camminava nel paese e nelle sale del castello, nemica per gli abitanti delle Terre Basse e per i Feroci e anche per i lupi: solo Fynyass non la temeva.

Il tempo della primavera era quasi giunto al termine, di lì a breve sarebbe dovuta giungere l’ estate, ma ancora l’ inverno non era finito. Tremante per il freddo nella sua camera, una notte Erhis fu svegliata da un lieve bacio. L’ odore di muschio e terriccio, foglie e funghi aleggiava nella stanza.
-Huryon!
-Sì, mia amata, sono io.
Erhis scoppiò a piangere. -Huryon , che succede? Perché tutto questo?
Huryon sospirò. -E’ colpa di Fynyass. Il Re d’ Inverno, a volte, si innamora tanto di una terra che si rifiuta di lasciarla. Quando fa così si trasforma nell’ Affamatore di Vedove, e a quel punto solo Ayleen, lo Spirito della Primavera, ha il potere per cacciarlo. Ma Fynyass e i Feroci sono riusciti ad ucciderla. Per questo l’ inverno non finisce più. Fynyass si è costruito un trono di ghiaccio sulla più alta vetta dei monti, e sta sempre seduto là a contemplare il suo dominio, sicuro di essere divenuto il signore indiscusso di queste terre. Se stai in ascolto, quando soffia il Vento del Nord, puoi udire la sua risata.
-Ma... allora non abbiamo più speranza.
-Una speranza c’ è ancora. Quello che è accaduto qua è già successo altre volte, in un passato così remoto che nessuno ne ha più memoria a parte la terra stessa. L’ acqua e le rocce mi hanno dischiuso i loro ricordi, parlandomi di un tempo in cui quasi tutte le terre e anche molti mari vennero completamente ricoperti dal ghiaccio e dalla neve e Fynyass giunse ad insidiare da vicino il Regno dell’ Estate. Questo mi hanno raccontato le montagne ed i fiumi. Ma ogni volta lo Spirito della Primavera risorse.
-Come?
-Una fanciulla, legata alla terra da un profondo amore, può diventare lo Spirito della Primavera.
-Una fanciulla... Io?
Huryon annuì. -Sì. Tu puoi. Ma sai cosa significa?
Erhis tacque a lungo, pensando, poi sussurro':-Sì, credo di sì.
Huryon si chinò a darle un altro bacio, asciugandole con le labbra l’ ultima solitaria lacrima. Poi si alzò e scomparve.
Dopo aver vegliato per il resto della notte, alle prime luci del mattino Erhis lasciò il castello. A piedi nudi camminò sulla neve, dirigendosi verso il Campo di Baldwin. Il suo amato boschetto di liquidambra non c’ era più, tagliato per farne legna da ardere.
Fu solo quando giunse vicino alle tombe degli eroi del Campo di Baldwin che si accorse di non sentire il freddo. Lo sgocciolio del ghiaccio che si scioglieva giunse ai suoi orecchi, insieme ai tonfi della neve che cadeva dai tetti e dagli alberi. Un dolce vento soffiò da est. Svegliatevi, diceva ai germogli dormienti sotto la neve. E i bucaneve spuntarono, così tanti e folti che la terra pareva ancora completamente coperta di neve. Ma l’ erba verde faceva capolino a ciuffi qua e là, le gemme degli arbusti si fecero grosse e cominciarono ad aprirsi. Erhis camminò a lungo, fino al Lagoscuro: lì viveva una famiglia di cigni.
L’ inverno è finito”, disse loro. “Dovete partire.”
E i cigni presero il volo, levandosi alti sopra i Monti Carnach.
Sire Fynyass”, gridarono nel vento. “E’ giunta la Primavera!”
Fynyass balzò in piedi, incredulo e sconvolto spaziò lo sguardo per le Terre Basse. E vide lo Spirito della Primavera camminare nella contrada: davanti a lei alberi ed arbusti si ricoprivano di fiori e foglie, il ghiaccio si scioglieva e la neve si ritirava, bulbi e semi addormentati sotto la terra si svegliavano e germogliavano, gli animali uscivano dal letargo, gli uccelli migratori tornavano a solcare i cieli.
A Dun-Daerdach i cavalieri del Re partirono per andare a liberare la contrada più settentrionale del regno: galopparono quanto più velocemente permettevano il fango e le ultime nevi, preceduti dalla notizia del loro arrivo. I Ruach-carnach ancora in vita si dettero alla fuga, in cerca di scampo sui monti, ma l’ improvviso disgelo aveva gonfiato a dismisura i torrenti che ne scendevano tagliando loro ogni ritirata. Così, pieni di furia, i cavalieri piombarono loro addosso e li uccisero fino all’ ultimo.

Dopo il tempo della vendetta venne quella per la conta dei morti. La neve che si andava sciogliendo rivelava fosse comuni, resti di battaglie e più macabri ritrovamenti: mucchi enormi dove le ossa rosicchiate dai lupi si mescolavano a quelle spezzate dagli uomini. Altre ossa in gran quantità furono trovate nelle cantine del castello e nelle case abbandonate. Colin e suo figlio Coller erano scomparsi da tempo, sicuramente sacrificati agli dei maligni dai Ruach-carnach, e nemmeno la figlia Erhis fu ritrovata, così il Re nominò un reggente per Croanor, fin quando Erhis non sarebbe stata ritrovata o un successore di Colin designato.
Gli aiuti d’ emergenza giunsero al seguito dell’ esercito, e il Re, prima di ripartire per Brunwick, lasciò molte disposizioni. Tutte le ossa ritrovate sarebbero state sepolte in una fossa comune, che venne scavata là dove un tempo si levava il boschetto dei liquidambra. Sulla fossa sarebbe poi stato eretto un monumento funebre. In quella stessa fossa furono sepolti anche molti abitanti che morirono dopo il disgelo, a causa delle malattie e degli stenti subiti. Dalle regioni vicine furono inviati braccianti e manovali, genieri e architetti, e sementi e piccole piante da frutto, così che la Signoria di Croanor potesse essere ricostruita. Ad ogni vedova e fanciulla in età da marito fu assegnata una piccola dote, così che potessero maritarsi con uno dei coloni inviati ad insediarsi a Croanor. E per quelle donne, ingravidate dai Ruach-carnach che non avessero voluto tenere un figlio bastardo, il Re ordinò che una volta svezzati potessero essere dati in adozione a qualche famiglia delle Marche Orientali.
Intanto, sulla cima dei Monti Carnach, Fynyass lottava per non essere scacciato. In preda al furore scagliava il suo Vento del Nord giù per le gole montane, richiamava nubi cariche di neve e tempesta dal Regno del Gelo, faceva cadere la brina sul fondovalle. Ma il risveglio della natura, guidato da Erhis, corse su per le valli e i crinali dei monti, inesorabile e festoso, liberando i pascoli montani e i ruscelli ancora prigionieri del ghiaccio, raggiungendo infine il Picco dei Lupi e scacciando l’ inverno.
Invisibile agli occhi dei più, Erhis camminò felice per le sue terre ancora per un poco, dato che il tempo dell’ estate stava per giungere. E così, quando da lontano udì il passo cadenzato del Marciatore, si apprestò a partire. Sarebbero trascorsi nove mesi, prima di riuscire a vedere nuovamente la terra dove era nata, e sapeva che mai più l’ avrebbe vista brillare dei suoi mille colori nel basso e fulgido sole d’ autunno. E mai più avrebbe visto il viso serio e il sorriso dolce del suo amato.


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