Saturday, 26 July 2014

Guida all'uso di accenti e apostrofi nell'italiano

Controllate l' uso di sé e se, quasi alla fine dell'articolo. Si impara sempre qualcosa di nuovo.


Quesito: 
Gianluca Adami, Antonio Di Tomaso, Linda Ansalone e Alberto Manenti, ponendo quesiti su singoli casi di parole da accentare o apostrofare, suggeriscono queste indicazioni generali sull'uso di accento grafico e apostrofo.
Guida all'uso di accenti e apostrofi nell'italiano  
L'uso dell'accento grafico in italiano è diventato stabile dal Novecento per i polisillabi tronchi (cittàvirtùlongevità). Costante è anche la presenza dell'accento in un numero, in realtà limitato, di monosillabi composti da due grafemi vocalici: ciògiàgiùpiùpuòscià, in cui ed sono solo segni grafici.
Si aggiungano le forme letterarie, e disusate, piè 'piede', diè 'diede' che, come, vengono indicate a volte con l'apostrofo. Tale alternanza tra accenti e apostrofi per alcuni monosillabi è controversa, ad esempio il DOP (Dizionario di ortografia e di pronunzia) indica come errata la forma pie', e riconosce soltanto per il troncamento di 'piede' piè e diè per la voce del verbo 'dare'. Perfé ('fece') segnala anche fe fe' pur rari. Come troncamento di 'fede' si dà solo, da cui deriva la parola composta autodafé, che introduce alla questione dell'accento di polisillabi composti con un originario monosillabo finale: per quanto detto all'inizio sull'uso dell'accento coi polisillabi, è chiaro che anche in questi casi, essendo il polisillabo tronco, si deve usare l'accento grafico (ventitré, rossoblù, nontiscordardimé, Oltrepò).
Si consideri ora l'uso dell'accento (e dell'apostrofo eventualmente) con i monosillabi che si scrivono con una sola vocale. L'accento si indica solo nei casi in cui occorra disambiguare il monosillabo per l'esistenza di un omografo; i casi più comuni sono:
ché: accentato solo come forma abbreviata di 'perché' o, più raramente, di 'affinché'; mentre è sempre che in tutti gli altri usi, anche in quello sostantivato:non è un gran che, ha un certo non so che; dopo di che vedremo. È diffusa e ammessa la forma con scrizione sintetica granché;
: presente indicativo di 'dare'; da è preposizione. L'imperativo richiederebbeda' ('dai'), ma questa forma e gli analoghi imperativi fa' ('fai'), sta' ('stai') e va'('vai') non sono universalmente accolti sia dall'uso reale sia dai grammatici, pertanto si può scrivere semplicemente da, fa, sta, va (forme tradizionali affiancate da quelle apostrofate nel fiorentino ottocentesco);
di' dì imperativo di 'dire';  'giorno', ma per altri (cfr. SERIANNI 1989: I 242) solo di' vale per l'imperativo di 'dire' (dal latino DIC) distinto in tal modo dalla preposizione di e dal sostantivo ;
è vale per la forma verbale mentre per la congiunzione;
 e  sono gli avverbi mentre la è articolo e li pronome atono;
 è congiunzione (non voglio mangiare né bere); ne pronome o avverbio; ene' vale per la preposizione articolata maschile plurale nei, ormai antiquata, come gli altri maschili plurali a', de', co', pe', e gli aggettivi be' que';
 indica il pronome, che essendo sempre tonico deve essere scritto con l'accento: le pur diffusissime varianti se stessose medesimo, contrariamente a una diffusa opinione, non sono pertanto giustificate; se indica il pronome atono usato talora in luogo di si (se lo mangia) e la congiunzione; se'  è forma disusata per 'sei';
 è l'avverbio e si il pronome e la nota musicale;
 indica la bevanda (ed è preferibile a the e thè); te è il pronome; si possono segnalare anche le forme antiquate te' sia per 'eccoti' sia per 'tieni'.
Un'ultima osservazione sull'apostrofo. I troncamenti di 'piede' e 'fede' si scrivono piè , ma per 'poco' si ha po' con l'apostrofo, l'unica forma, sia chiaro, codificata e ammessa dall'ortografia attuale e indicata dalle grammatiche. Solo come curiosità si segnala la proposta (in LEONE 1969) di estendere a tutti i monosillabi tronchi l'apostrofo, purché sia ancora viva la coscienza del troncamento, mentre, a parere d'altri, "il partito migliore sarebbe quello di eliminare addirittura l'apostrofo come segno dell'apocope sillabica, scrivendo semplicemente po (il quale non può confondersi con Po, che vuole la maiuscola), to e tohve vehbe behmo fe" (SERIANNI 1989: I 245).
Per approfondire:
  • Arrigo Castellani, Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, "Studi linguistici italiani", XXI 1995, pp. 3-47;
  • Alfonso Leone, Norme ortografiche: perché po' ma piè?, "Lingua nostra", XXX 1969, pp. 117-18;
  • Bruno Migliorini, Carlo Tagliavini, Piero Fiorelli, Dizionario di ortografia e di pronunzia, ERI-Rai, Roma, 1999;
  • Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 1989 [si indicano il numero di capitolo e di paragrafo].
A cura di Mara Marzullo
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
15 aprile 2003

fonte: http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/guida-alluso-accenti-apostrofi-nellitaliano 

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