Saturday, 24 June 2017

Troubadour



Nel corso degli anni ho scoperto di possedere lo spirito del cantastorie. Intrattenere le persone coi miei racconti, creare immagini nelle loro menti con le mie parole, scatenare sensazioni e sentimenti nel loro animo, dipingere il mondo per loro con gli stessi colori che io vedo giornalmente è per me fonte di piacere. Scritta o parlata, la parola abilmente intessuta crea una magia che raggiunge anche l'animo meno capace di sensibilità. Si attinge a piene mani al mondo intorno a noi: luoghi, avvenimenti e persone, tutto ciò che è minimamente degno di nota diviene materiale usato e trasformato per intessere un racconto. Il racconto acquisisce proprie qualità, quasi una vita propria. Almeno per il tempo che la tua parola ancora risuona nelle orecchie degli ascoltatori. Perché un racconto, e un cantastorie, hanno bisogno di un pubblico per dare un senso alla loro esistenza.
Circa tre anni fa scrissi questo: "Ma tranquilla, avrò sempre qualcuno a guardare il mio spettacolo. Almeno fin quando non deciderò di uscire di scena." E negli ultimi tempi ho realmente creduto fosse giunto il tempo di uscire di scena. Uno dopo l'altro ho escluso dalla mia vita i membri del mio pubblico, giorno dopo giorno ho creato una divisione fra me e il resto del mondo ritirandomi da esso, le parole hanno smesso di fluire come se la sorgente andasse inaridendosi. La perdita di una musa può portare un cantastorie al disastro. Ma la magia è ancora lì dentro di te, perché la tua natura, per quanto alterata dagli accadimenti, difficilmente può essere totalmente cambiata o distrutta. Ed ecco che alla prima occasione le parole tornano a fluire, scorrono spontanee dal tuo io più intimo per irretire nuovi ascoltatori. E la cosa ironica di ciò che mi sta accadendo è che, se il mio precedente pubblico era arrivato a darmi per scontato, a ritenere quasi di farmi un favore nel concedere di essere intrattenuto, questo nuovo pubblico che si sta formando è un pubblico pagante.
Ora manca solo la "mia fanciulla divina" e poi sarò nuovamente integro.


During the years I've found out to possess a storyteller spirit. Entertaining people with my tales, creating images in their mind using my words, triggering feelings and emotions in their soul, dyeing their world with the same colours I see daily is a source of pleasure to me. Written or spoken, the skilled entwined word creates a magic able to touch even the least sensible of the souls. You draw fully from the world all around you: places, events, and people, all that is slightly worth of being noticed is picked and transformed to weave a tale.  The tale acquires its own qualities, almost its own life. At least for all the time your word still sounds into the ears of your listeners. Because a story, like a storyteller, needs an audience of listeners to have a meaningful existence.
Roughly three years ago I wrote: "Don't worry, I will always have an audience to attend my plays. At least, till I will decide to leave the scene." And lately, I thought the time had come for me to leave the scene. One by one, I removed all the members of my audience; day by day, I withdrew from the world creating a divide in between; the words had stopped flowing like their source had parched. The loss of a muse can bring the disaster upon a storyteller. But the magic is still in you because your own nature, even if twisted by misfortune, can't be totally destroyed or changed. So, at the first chance, the words come flowing again spontaneously from your most inner self to enchant new listeners. And the funny thing is that, where my previous audience had come to think they were doing a favour to me when they let me entertain them, this new audience is made of paying bystanders.
Now, I only miss my "maiden so divine" and I will be whole again.

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