Tuesday, 15 April 2014

Solo, sulla riva del fiume

 
   Conoscevo un uomo che viveva sulle pendici di un monte. Viveva di poco, ma coltivava i suoi amori ed i suoi sogni. Aveva pochi amici, ma quei pochi erano persone care. Viveva in armonia col suo mondo e la sua vita gli piaceva. Poi, un giorno, altre persone decisero che lui non aveva diritto ai suoi sogni. Altre persone decisero che non aveva diritto ad essere felice. Lui si oppose e lottò, ma era una lotta impari. Chiese aiuto alle persone che amava e queste vennero ad aiutarlo. Ma più la lotta si prolungava, più si faceva dura. E le persone intorno a lui, una ad una, cedettero. Una ad una smisero di lottare, gli dissero che era inutile, gli voltarono le spalle. Mentre il suo isolamento cresceva, la sua rabbia diventava sempre più grande, finché solo quella rabbia gli permise di andare avanti a lottare.
   Un giorno si rese conto che quella rabbia avrebbe finito per consumarlo, per distruggerlo, che gli stava sottraendo tutte le forze. Ma lui non voleva rinunciare ai suoi sogni, perciò prese l'unica decisione che gli parve possibile. Abbandonò la sua montagna e partì. Chiese chi sarebbe partito con lui, ma si ritrovò a viaggiare solo.
   Così se ne andò. Lasciandosi dietro le spalle i luoghi che amava e le persone da cui si era aspettato aiuto, quelle persone che credeva di conoscere e che ora voleva solo dimenticare, se ne andò verso una nuova vita. Viaggiò lontano, fino ad una terra che sembrava migliore, una terra dove avrebbe potuto crescere nuovi sogni in mezzo a genti nuove. E in quella terra conobbe una ragazza che abitava sulla riva di un fiume. La ragazza gli mostrò la vera natura di quella terra, gli mostrò che non c'era posto per lui, perché la sua natura era diversa e quella terra non lo conosceva. Ma, per amore degli occhi di lei, l'uomo decise di rimanere a vivere sulla riva del fiume. La ragazza gli aprì il suo cuore e lui la legò a sé, la legò a sé perché era l'unico modo di amare che l'uomo conoscesse. Lei era felice di stare con lui, e lui era felice della felicità di lei.
   La ragazza era giovane ed aveva grandi sogni, che non erano i sogni dell'uomo. Ma lui accantonò i propri sogni per aiutare a crescere quelli di lei. "Ti seguirò nei tuoi sogni", le disse. "Non mi importa di averne di miei." Ma l'uomo era perseguitato dal suo passato e da ciò che aveva perduto. Sebbene non avesse rammarico per ciò a cui aveva rinunciato per lei, rimpiangeva ciò che gli era stato sottratto, e il loro amore era venato di questa sua sofferenza.
   I sogni della ragazza erano grandi. Troppo grandi per lui, l'uomo si rese conto ben presto, vedendo in tale grandezza la sua fine. Ma la ragazza era felice con lui, perciò non la allontanò, sebbene sapesse che la fine era già stata scritta. Cercò solo di rendere i suoi giorni dolci fino a quando fosse giunto il tempo per la ragazza di partire, di inseguire uno dei suoi sogni. Sicuro che anche lei avrebbe compreso.
    E quel giorno giunse, inaspettato, e l'uomo vide che il sogno da inseguire era troppo grande per lui e che non aveva possibilità di seguire il suo amore. La lasciò andare. Forse non aveva alcuna possibilità di fermarla, ma neanche ci provò. Perché era giusto che la ragazza tentasse di realizzare il suo sogno e perché meritava una nuova vita in una terra che non la rifiutasse, a fianco di qualcuno che potesse renderla felice, qualcuno che non avesse un passato ad ossessionarlo e potesse darle ciò che lui non poteva perché gli era stato sottratto. L'uomo si rammaricò soltanto di averla legata a sé, perché se non lo avesse fatto ci sarebbe stato meno dolore. Ma l'universo tende al dolore, e per ogni gioia che godiamo dovremo pagare un prezzo di sofferenza, tanto più grande quanto più grande è stata la gioia.

   Ora quell'uomo è rimasto solo sulla riva del fiume, senza neanche più i suoi sogni a dargli uno scopo. A fargli compagnia solo le accuse di lei, che alla fine non aveva capito. E una domanda lo assilla, nata dalla sensazione che la sua nuova vita fosse cominciata da un atto sbagliato. Tutte quelle persone che si era lasciato alle spalle, che aveva amato e inutilmente cercato di dimenticare, avevano veramente smesso di lottare? O era lui quello che aveva rinunciato?

Saturday, 12 April 2014

A&E: come spendere una nottata in modo alternativo

   Dedico questo post a tutti gli italiani, sempre meno di giorno in giorno per fortuna, che credono "che all'estero tutto funzioni meglio". Ora che mi accingo a scrivere sono reduce da una nottata in bianco, con giusto un po' di sonno rubacchiato su una poltrona neanche tanto comoda. Occhio, quindi, che sono di pessimo umore.
   A&E sta per Accidents & Emergencies, ma potrebbe tranquillamente stare per Art & Entertaiment. E' l'equivalente del Pronto Soccorso in Italia. A parole, per lo meno.
   Stanotte ho avuto la mia terza esperienza in un A&E: le prime due per me stesso, questa volta per la "piccola" che si è sentita male. La prima volta in Tooting fu a seguito di una caduta dalle scale ed una brutta storta alla caviglia che mi tenne in casa per un mese: quattro ore di attesa dietro a persone che per lo più non necessitavano il pronto soccorso e che alla fine se ne andavano a casa allegre e zompettanti anche se avevano passato tutto il tempo di attesa su una sedia a rotelle. La seconda volta fu a Newham, non tanto tempo fa, nel tentativo (riuscito) di ottenere degli antibiotici per curare una brutta bronchite. Altre quattro ore di attesa in compagnia di persone che per lo più non parevano stare poi così male, dato che andavano in su e giù senza fermarsi un minuto, ed infermiere apatiche e insensibili che parlavano un inglese piccione, storpiando tutti i nomi che chiamavano per poi fissare senza capire la persona che ripeteva loro il proprio nome con la giusta pronuncia. Stanotte è andata peggio.
   Tornata a casa da lavoro, improvvisamente, alla piccola cominciano a bruciare gli occhi, come se li avesse pieni di sabbia. Nelle ore successive la cosa peggiora, al punto che a mezzanotte chiamiamo un minicab e ci facciamo portare al pronto soccorso. A questo punto la piccola già non riesce a tenere gli occhi aperti ed ha seri problemi di equilibrio. Alla reception, nonostante ci siano due impiegate ed una sola persona davanti a noi, dobbiamo aspettare 10 minuti buoni. La prima visita, con un infermiere, avviene dopo brevissimo tempo, per lo meno, ma è solo il prodromo della sala d'aspetto, che condividiamo con un ragazzone inglese dalla parlata scurrile che si è storto una caviglia giocando a calcio, una coppia di amici sudamericani uno dei quali pure si è storto una caviglia, un polacco con la moglie incinta che non ha una bella cera, più tutta una vagonata di gente che cammina, ride e scherza e da fastidio. Bambini compresi. Il tipo di persone che arrivano al pronto soccorso guidate dal non riuscire ad ottenere un appuntamento dal medico di base, fenomeno in crescita di cui si discute su tutti i giornali inglesi. Sugli schermi appesi al muro si staglia la scritta: WAITING TIME 4H +. Ci si preannuncia una lunga attesa.
   Il tempo passa, il dolore della piccola aumenta, al punto da cominciare a piangere. Vado in cerca di un infermiere e chiedo un painkiller, che ci viene portato con molta calma. Nel frattempo gli altri pazienti vengono rimbalzati da un infermiere all'altro a causa di una chiara penuria di dottori, chiamati ora in una direzione ora in un'altra da un inserviente, senza preoccuparsi se si tratta della donna incinta o del ragazzone che non riesce a camminare. Se la devono sbrigare da soli. Mentre gli stranieri sopportano in silenzio, l'inglese bestemmia (quando il personale non lo può sentire, ovviamente). Perché poi la sala d'aspetto è in un punto dove nessuno del personale e soprattutto nessun infermiere ti vede, e se stramazzi al suolo fra le poltroncine ti ritrova l'omino delle pulizie. Che probabilmente ti spazza via col suo scopettone col resto dei bicchieri del caffè e delle bottigliette di plastica abbandonate sul pavimento. Insomma, se ti senti veramente male mentre sei in sala d'aspetto non c'è nessuno che possa notarlo, a meno che non sia un altro paziente il quale si prenda la briga di cercare aiuto. Ma mentre sei in coda che aspetti, non molti hanno voglia di far passare qualcun altro avanti. E se tu sei prima di loro e muori, tanto di guadagnato, no?
   Trascorre il tempo, sono circa le 3:30 AM quando, in una waiting room ormai deserta, c'è il collasso. Lascio la piccola in stato di semi incoscienza sulla poltroncina e vado nella sala visite (un salone con un'isola centrale dove hanno tutti i computer, stampanti e altri schermi, circondata da piccole stanze coi lettini: a Totting le "stanze" erano create con tende mobili per dividere i lettini uno dall'altro). Spiego la situazione e mi dicono di andarla a prendere e farla sedere su una poltroncina che mi indicano. Certo. La piccola, per fortuna, riesce a camminare... camminare, che parola grossa in questo caso. Deambula, sostenuta da me e appoggiandosi al muro: non risponde al suo nome e non si ricorderà niente del percorso dalla sala d'aspetto alla sala visite (tutt'altro che breve). Il tempo di farla collassare sulla poltroncina che da una delle scrivanie mi viene detto di riportarla indietro in una delle stanze con lettino. Faccio notare che non riesce a camminare, e la donna mi risponde in modo sgarbato che ha camminato fin lì. Non c'è da stupirsi se in UK le aggressioni al personale ospedaliero aumentano di anno in anno. Hanno pure messo i manifesti: "Siamo qui per aiutarti" campeggia sopra la foto di un gruppo rappresentativo del personale, con sotto scritto: "Non aggredirci". Nella foto, sullo sfondo, alcuni poliziotti implicano la minaccia di conseguenze e rappresaglie. Beh, non state aiutando per niente e chi vi aggredisce, sebbene io non lo farei per quanto vicino mi ci stiate portando, non avrà mai molto del mio biasimo.
   L'attesa continua, ma per lo meno adesso la piccola è stesa su un lettino col mio fazzoletto bagnato sugli occhi. Dopo non so quanto tempo viene un'altra infermiera, ci dice che la viene a visitare ma poi sparisce. A questo punto la piccola è completamente incosciente e delira. Non troppo, per fortuna. Vado a cercare l'infermiera, le dico: "She's getting worse. Is incouscious now." "Incoscious?!" mi ripete a papagallo la diversamente colorata con tono di scherno. Chiaramente è abituata con quelli della sua stessa razza, che recitano una perenne sceneggiata che neanche i napoletani (non me ne vogliano i partenopei) son capaci di eguagliare (c'è poco da fare, quelli abbronzati son più bravi di voi).
   La visita fatta al momento dell'arrivo si ripete: rilevamento della pressione, del battito cardiaco, stesse domande, stesse risposte non ascoltate. Dieci minuti dopo arriva il primo dottore per una visita veloce e la decisione di controllare approfonditamente il fondo degli occhi ed il retro della testa. Il tutto da delegare ad un oculista. E qui riusciamo entrambi a prendere un po' di sonno,anche se leggero e spesso interrotto e ben poco ristoratore. Ci riusciamo perché l'oculista arriva verso le 6, quando entra in servizio.
    L'oculista è una ragazzotto paffuto e culone (ecco la spiegazione del perché i calzoni della divisa medica sono così larghi) che parla un inglese indianese non proprio semplice da decifrare. Il neo-laureato esegue la primary survey, la stessa cosa che abbiamo già spiegato ai due infermieri nelle due precedenti occasioni, ma per lo meno questa volta parliamo con qualcuno che ha un'idea, sebbene minima, di ciò di cui si parla e che pone anche domande a tema. Bene, dice in conclusione, vado a prendere il necessario per fare un controllo del fondo dell'occhio. Praticamente si tratta di mettere un collirio per indurre la midriasi, ovvero la dilatazione della pupilla, per poi guardarci dentro con l'ausilio di una luce. Sparisce per 10 minuti o più, quindi ritorna a mani vuote. Ci ho ripensato, il controllo del fondo dell'occhio potrebbe peggiorare i sintomi, e qui non siamo attrezzati per controlli più approfonditi. L'unica cosa che posso fare è suggerirvi di recarvi in una clinica specializzata.
...
(i lettori assidui sanno che i puntini di sospensione stanno a rappresentare le mie imprecazioni silenti)
   Cioè, se si tratta di una battuta io mica l'ho capita. Il dottorino è dispiaciuto (non che appaia particolarmente affranto, e quindi ripeto che comprendo quelle persone che danno poi loro un aspetto infranto con un bel pugno in faccia). E' possibile per lo meno prenotare una visita? Così ci evitiamo altre "sei ore" di attesa, dico io. Devo verificare. Verifico anche dove sia la clinica specializzata più vicina. Preparo anche i paper work (che sarebbero i documenti per la dismissione). E il dottorino sparisce di nuovo.
   Mentre siamo soli la piccola mi dice: "Dovrei presentarmi come laureata in medicina. Almeno eviterebbero di raccontarmi stronzate. Il dilatamento della pupilla non peggiorerebbe i sintomi. E' che tanto non possono fare niente di più quindi hanno deciso di risparmiare tempo. E' come non accertare se hai avuto un attacco di cuore perché tanto non hai la sala di rianimazione."
    Il dottorino ritorna dopo un bel po', coi suoi fottuti paper work che ricapitolano tutto ciò che hanno fatto e diagnosticato e il nome della più vicina clinica oculistica, che sta dalle parti Holborn, cioè non proprio dietro l'angolo. Presso la quale non è possibile prenotare, ma tanto hanno un walk-in aperto 24 ore su 24. Cioè ti presenti, gli spieghi il tuo problema e se loro ritengono che tu realmente necessiti di controlli ti visitano. Tempo di attesa al walk-in: sconosciuto. Non so se afferrate l'assurdità di un walk-in in una clinica specializzata: in una clinica specializzata ci vai perché un medico generico, o comunque uno specialista allocato in una struttura non sufficientemente attrezzata per procedere ha preventivamente individuato nello "specifico" quale problema hai. Non vai di testa tua in una clinica specializzata perché ti brucia un occhio a causa di qualcosa che richiede al massimo un poco di liquido eye wash.
    Ma ricapitoliamo anche noi ciò che hanno fatto per aiutarci: hanno dato un painkiller alla piccola, l'hanno fatta riposare su un lettino sotto l'aria condizionata fredda, poi ci hanno dismesso con delle scuse e il nome di un'altra cinica. Questo lo chiamano aiutare. Come possono aiutare in una struttura di primo soccorso che non è attrezzata neanche per il primo intervento in uno o più campi? E non è che il reparto oftalmico sia proprio senza pazienti: le ferite agli occhi rappresentano circa il 30% degli incidenti che si presentano agli A&E, e gli avvocati ci stanno facendo un sacco di soldi sopra. Ma con quale coraggio Cameron se ne è venuto fuori accusando i migranti europei di venire qui per benefit tourism? Ma solo un malato di mente, un totale demente verrebbe da uno qualsiasi degli altri paesi europei, dove i medici sono di gran lunga meglio qualificati e preparati, a farsi curare qui. In questi ospedali ci vai solo se proprio non puoi farne a meno, perché nel 70% dei casi non ti aiutano e ti dismettono consigliandoti di prendere del paracetamolo, l'ultima frontiera dei placebo, la panacea per tutti i mali dal raffreddore alla cecità e alle fibrillazioni cardiache. Non te lo rifilano anche per l'impotenza maschile perché la pillola è bianca e tutti sanno che la pillola giusta è blu. Ci sono anche gialle e rosa, certo, ma sono meno famose.
   Quando ce ne andiamo la waiting room è nuovamente affollata, sicuramente per lo più di persone che potevano fare a meno di recarvisi, ma quando non riesci a vedere il tuo medico di base o, nel caso tu ci riesca, vieni ignorato per tutta la durata della visita (fittizia) e il medico non ti guarda mai neppure una volta in faccia, è logico che vai in cerca di rassicurazioni da un'altra parte. Solo che la sfiducia cresce di volta in volta. Distesa, rattrappita su una fila di poltroncine, c'è una donna in vestaglia, che piange e si lamenta. Ignorata da tutti. Forse è una di quelle che "recitano", che hanno fatto indigestione di olio di palma e si lamentano per un mal di pancia come se fossero state sventrate con un coltello seghettato. E forse no. Forse è arrivata in quelle condizioni, forse è peggiorata nell'attesa (da quanto è lì?), ma le waiting room sono posizionate (volutamente, nella mia opinione) per ridurre al massimo il contatto fra pazienti e personale. E la polizia deve stazionare permanentemente negli ospedali.

Friday, 4 April 2014

Vorrei essere una figone lieta, mi aiuterai.

Che Libero.it fosse un pessimo account si sapeva. I filtri che le biblioteche londinesi hanno per impedire l'accesso ad alcuni siti lo scambiano regolarmente per un sito osceno e lo bloccano, infatti. Ma che email come questa neanche finiscano nello spam mi pare eccessivo. Ne ho trovate quattro nella casella, quest'oggi, e la seguente era la più esilarante.

Buongiorno!
Spero che stai bene, tesoruccio! Сom’è il tuo umore? 
Spero che la mia e-mail non ti dà fastidio. Ho molta aspirazione di incontrarti. 
Io mi chiamo Mashenka. Sono una calda gnocca, adolescente e ambiziosa. Non ho brutte.
Voglio incontrare uno ragazzo senza complessi, quello che vuole realmente riconoscere una nuova passione e che sogna di gioire l’affettuosità e la vicinanza. Chissà questa persona sei tu? 
Ho 25 anni di eta, ma sto cercando un ragazzo conoscitore o con il quale posso essere in grado di essere gradito dei miei sogni e brame. Cerco di incontrare un maschio chi adora fare sesso, che può convertire le sue fantasie in verità. Mi sei in grado di aiutare a effettuare fantasie di sesso?
Potremo di scambiare lettere, scambiare immagini, pure erotizzanti... Fammi sapere di più su di te e mi spedisci le tue foto.
Ti domando di rispondere alla mia e-mail.
Non vedo l'ora a vedere il tuo riscontro! Ti mando un bacio dolce, gentile ed erotico! Ti porgo i miei migliori saluti.
La tua tenera Mashenka !:)


Ti sono in grado di aiutare a effettuare fantasie di sesso? E che ne so?! Di sicuro no finché te ne stai in Russia, mia cara "calda gnocca".
Vabbe', Libero.it è più osceno di Mashenka che a 25 anni si considera ancora adolescente. La tenerona mi ha mandato pure una foto.


Thursday, 3 April 2014

Samuel e Cedric



Il mio nuovo corso lavorativo con la ditta presso cui sono assunto è cominciato con un periodo in cui sono stato letteralmente “parcheggiato” al Jubilee Garden, quel giardinetto pieno di bambini chiassosi, turisti che spargono spazzatura ovunque, artisti di strada che si esibiscono sul lungo-Thames e scippatori che girano su bici in fibra di carbonio adocchiando le borse della gente. Il tutto all’ombra di quella che è la ruota panoramica chiamata London Eye, una trappola per turisti che offre “the most boring forthy minutes of your life” alla modica cifra di 25 sterline e di una lunga attesa in coda prima di poter salire.
Il lavoro al Jubilee Garden è quanto meno stressante: abbiamo a che fare con la maleducazione della gente, che sporca, non rispetta le regole e distrugge il lavoro che facciamo quasi in tempo reale. Turisti o locals, nessuna categoria fa eccezione. Ma, ovviamente, là dove passa molta gente, c’è anche la possibilità di fare incontri davvero interessanti. Questa settimana ne ho fatti due, e molto particolari.
Il primo incontro è stato Samuel. Samuel, un ivoriano che ha studiato letteratura moderna, lavora al Jubilee Garden per la compagnia Veolia, che ha rilevato dalla mia ditta l’appalto per la pulizia del giardino. Insomma, ora è compito loro raccogliere i quintali di spazzatura, pulire i vetri delle bottiglie rotte dagli idioti, staccare i chewing gum dai viali, rimuovere il vomito e talvolta gli escrementi prodotti dai festaioli della movida notturna londinese che, ubriachi fradici, vengono a spendere le ore piccole nel giardino. Noi ci occupiamo solo della parte strettamente orticolturale, adesso.
Dovendo lavorare nello stesso spazio con un’altra persona, cerco di intavolare una relazione amichevole da subito, e lo scorso lunedì mattina, alle ore 6 quando entrambi iniziamo a lavorare, lo saluto e gli pongo alcune domande. Quelle di rito: come ti trovi a lavorare qui (uno schifo), vivi lontano (a Lewisham – sì, abbastanza lontano: non è facile arrivare per le 6 am), sei assunto direttamente o lavori per un’agenzia (agenzia, ovviamente: ormai la maggior parte dei lavori in UK sono tramite agenzie o a tempo determinato, così i sindacati distrutti dalla Thatcher non hanno speranza di riformarsi). Circa mezz’ora dopo, quando arriva il mio collega responsabile per il Jubilee Garden, nel corso di una nuova conversazione, viene fuori che sono italiano. Al che Samuel comincia a parlarmi in un ottimo italiano. Costretto dalla crisi, è partito per Londra dopo 22 anni vissuti in Italia, fra Napoli, Treviso e Padova. Portando con sé dell’Italia un ricordo splendido. E non solo. Nel momento in cui si arriva all’inevitabile fase in cui ci si racconta come ci troviamo a Londra, Samuel se ne esce fuori con: -No, ogni volta che parlo con altri italiani che sono venuti qui come me, mi dicono sempre che si trovano male. Non è come credevamo.
-No-, ribatto io. –Non è come ci avevano detto. Che è una cosa diversa.
-Hai ragione-, dice annuendo, con la comprensione che gli compare negli occhi. –Non è come ci avevano detto.
E andando avanti a parlare arrivo a spiegare le ragioni del perché io ho lasciato l’Italia.
-Io non sono scappato dalla crisi-, gli dico. –Sono scappato dalla mentalità degli italiani.
-Nooo-, mi fa scuotendo la testa, con l’espressione di un cane bastonato. –Non cominciare ad offendermi di primo mattino.
A quel punto ho realizzato: Samuel si sente italiano.

Soltanto il giorno dopo, faccio il secondo incontro: Cedric. Nel pomeriggio vengo approcciato da una coppia di ragazzi, uno cinese e l’altro chiaramente europeo, che mi chiedono, per voce del cinese, dove possano trovare un supermercato o un negozio comunque economico per comprare qualcosa da bere. Do loro le indicazioni opportune, con tre opzioni possibili, ed ho appena finito di spiegare dove possono andare quando l’europeo mi chiede da dove vengono.
-Italy-, rispondo, e indovinate. Inizia a parlarmi in italiano. Nato e cresciuto in Venezuela in una famiglia italiana, Cedric sta studiando inglese a Dublino ed era a Londra in visita, tifa Juventus, studia per diventare ufficiale di flotta mercantile, ha vissuto per un breve periodo nel Lazio con la madre prima di tornare a Caracas ed è legato indissolubilmente alle tradizioni italiane che il nonno ha tramandato nella famiglia. Cedric si sente italiano.

Cedric non può essere definito italiano al 100%, e ancor meno Samuel. In fondo in fondo sono degli stranieri, no? Ma chi, cosa è uno straniero? E’ uno straniero una persona che ritiene l’Italia la sua terra? E’ uno straniero una persona che sente le tradizioni italiane come proprie? Ma forse faremmo meglio a chiederci: chi, cosa è un italiano?
Gli italiani, in genere, non si sentono italiani. Ci definiamo fiorentini, siciliani, milanesi, abruzzesi. Diventiamo italiani solo quando siamo all’estero. Se non apparteniamo a quella categoria indegna di chi si vergogna di essere italiano. Là dove gli italiani per nascita e territorio non si sentono italiani, o addirittura si vergognano di esserlo, gli “stranieri”, oriundi o italiani per adozione, ivoriani, venezuelani o rumeni, si sentono molto più italiani di noi. Quando nel 1861 Vittorio Emanuele II proclamò la nascita del Regno d’Italia, Camillo Benso Conte di Cavour disse: “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani.” Se fosse ancora vivo, ci starebbe tutt’ora lavorando.
Chissà, forse sarà proprio grazie a questi “italiani d’importazione”, stranieri che hanno trovato accoglienza in qualche modo e si sono legati all’Italia, che riusciremo ad andare oltre alle divisioni, a mettere da parte le forme più stupide e perniciose di campanilismo, e a trovare quel filo che unisce, nonostante tutte le differenze delle macro e micro regioni che compongono la penisola, il nord fino al sud e alle isole lungo la dorsale appenninica. Un filo rosso fatto di modi di sentire, di cultura e storia, del modo di amare e anche di odiare, di paure ed egoismi, di folklore ed amore per il buon cibo e del desiderio di sorseggiare un bicchiere di vino con gli amici in una sera di estate, dello “schiocco del sole nel campo di grano” e della canicola sulla spiaggia d’agosto. Tutte quelle cose che ci sembrano così diverse da regione a regione quando siamo a casa nostra, ma che ci sembrano così uguali a noi che, volenti o nolenti, viviamo a Londra.


Wednesday, 2 April 2014

Charivarius and the chaos of English pronunciation

Per quelli di voi troppo pigri per verificare la corretta pronuncia parola per parola.


Gerard Nolst Trenité
From Wikipedia, the free encyclopedia
Dr. Gerard Nolst Trenité ( 20 July 1870, Utrecht - 9 October 1946, Haarlem), was a Dutch observer of English. Nolst Trenité published under the pseudonym Charivarius (which he pronounced irregularly as [ʃariˈvariəs][1]).  While the pronunciation of his own surname is not obvious (possibly the original French [tʁəniˈte]), he is best known in the English-speaking world for his poem The Chaos which demonstrates many of the idiosyncrasies of English spelling and first appeared as an appendix to his 1920 textbook Drop Your Foreign Accent: engelsche uitspraakoefeningen.[2] The subtitle of the book means "English pronunciation exercises" (this title has the pre-1947 Dutch spelling “engelsche” instead of “Engelse” currently).[2]


Sunday, 30 March 2014

Game over

"I'm extraordinarily patient provided I get my own way in the end."
Baroness Thatcher, 1925-2013


L' Applications Game si è concluso. Si è concluso quel balletto di form da riempire, curricula da inviare, telefonate e appuntamenti presi e viaggi spesso inutili dall'altra parte di Londra (no, non quella che funziona, semplicemente quella che sta all' altro capo delle linee della tube rispetto a Stratford). Fine del carosello di facce serie, allegre, impressionate, sospettose, false. Niente più interview informali fra i sacchi di concime o formali in un ufficio in Central London nelle profondità di un palazzo storico di fronte ad un triumvirato imbellettato. Niente più incontri con "eiaculatori precoci" in uffici ricavati sotto la sopraelevata di una delle principali arterie stradali di Londra: la tua ditta sarà pure di quelle che curano i "top end gardens" di Londra, ma che ti è passato per la testa di selezionare 50 candidati per la prima interview e fare colloqui di 15 minuti?
Niente più incontri con head gardener pronte a sgravare che soprintendono a giardini di logge massoniche (che altro può essere una società di avvocati?) il cui giardino è tenuto così (relativamente) male che mi son bastati 10 minuti per notare il bordo dei prati non rifilato, la linea delle aiuole non diritta, lo sporco nelle canalette e il ghiaino sparso sulle pietre del piazzale, nonché i cespugli potati male e lo stallatico sparso sulle erbacee anziché sul terreno. Niente più risposte negative che si alternano fra "you are overqualified for this position" e "you don't have the necessary experience for this position". Niente più sensazioni di essere stato chiamato solo per avere uno straniero nella short list né offerte con paghe ridicole. Tutto questo è finito, grazie a Dio.

Ma in che modo è finito? Probabilmente nel migliore dei modi possibili. Rimango con la mia attuale ditta. In un altro dipartimento della ditta si è resa necessaria l'assunzione di un giardiniere con competenze tecniche per eseguire la manutenzione di un paio di living wall che stanno dando problemi (e che stanno costando troppo) e i manager del mio dipartimento hanno proposto e appoggiato la mia candidatura, trasformando in fatti le parole "Alessio non vogliamo perderti". Un grazie sentito, perché la mia fiducia nella razza inglese se ne era andata da tempo.
Venerdì scorso, poi la ciliegina sulla torta. Viene fuori che per lavorare sulla piattaforma sospesa (foto a lato) da cui si fa la manutenzione del "muro vivente" (foto sopra) sono necessari due operatori. Vengo contattato dal mio direttore per un'opinione su chi affiancarmi e ovviamente faccio il nome di Igor. E' un amico, un ottimo lavoratore che usa la testa in quello che fa, quindi niente di strano. A parte il fatto che lui lavora per un'agenzia, non è un dipendente della ditta, mentre ci sono altri due dipendenti che venerdì hanno fatto il loro ultimo giorno di lavoro. Per uno dei due poco importa, dato che ha trovato un altro lavoro che comincia domani. Per il secondo, invece, si prospettano i benefit, dato che neppure ha cercato, in questi due mesi, un altro lavoro. Perché non ha avuto la possibilità, dice, dato che oggigiorno si fa tutto online e lui non ha internet a casa. Già, ma ci sono le biblioteche dove puoi usare un computer, che sono aperte fino alle 7 di sera e pure il sabato e spesso anche la domenica. Ora, per onestà avrei dovuto e avrebbe dovuto anche la ditta mettere questa persona avanti ad un "agency guy". Non fosse che il tipo in questione è il razzista che mi ha dato precedenti problemi, e che per mesi dopo che lo avevo fatto spostare in un altro team ha tentato ad ogni incontro di farmi arrabbiare con offese velate per arrivare negli ultimi giorni agli insulti espliciti, quando ormai il management non aveva più interesse né possibilità di prendere provvedimenti. Qualcuno, agli inizi della vicenda, mi disse che avrei dovuto sistemare la questione in modo chiaro. Beh, io sono una persona "straordinariamente paziente", e quando ho il tempo per mettere la pulce nell'orecchio alle persone giuste riguardo un "trouble maker" e al contempo sottolineare le buone qualità di un altro "hard worker", di sicuro ottengo la "my own way in the end". E così è stato. Grazie anche ad una buona dose di provvidenza divina, certo, ma non scordiamoci la parte di Cesare.

Mi hanno raccontato la reazione del trouble maker all'apprendere che un agency guy veniva tenuto mentre lui veniva licenziato, e devo dire che ne ho provato soddisfazione. Non perché io sia felice del male in cui è incorso, ma perché ritengo giusto che ognuno raccolga il frutto delle proprie azioni. Non che ci siano speranze che una tale persona capisca, si inasprirà soltanto nelle sue convinzioni, ma ciò che conta è che me lo sono levato dai piedi.

The Chaos

by G. Nolst Trenite' a.k.a. "Charivarius" 1870 - 1946


Questo era solo un assaggio. Divertitevi con la versione completa. Suggerisco di farlo con l' Oxford Dictionaries  aperto per verificare la pronuncia. Buona lettura.


Dearest creature in creation
Studying English pronunciation,
I will teach you in my verse
Sounds like corpse, corps, horse and worse
I will keep you, Susy, busy,
Make your head with heat grow dizzy.
Tear in eye your dress you'll tear,
So shall I! Oh, hear my prayer,
Pray, console your loving poet,
Make my coat look new, dear, sew it!
Just compare heart, beard and heard,
Dies and diet, lord and word,
Sword and sward, retain and Britain.
(Mind the latter, how it's written).
Made has not the sound of bade,
Say said, pay-paid, laid, but plaid.
Now I surely will not plague you
With such words as vague and ague,
But be careful how you speak,
Say break, steak, but bleak and streak.
Previous, precious, fuchsia, via,
Pipe, snipe, recipe and choir,
Cloven, oven, how and low,
Script, receipt, shoe, poem, toe.
Hear me say, devoid of trickery:
Daughter, laughter and Terpsichore,
Typhoid, measles, topsails, aisles.
Exiles, similes, reviles.
Wholly, holly, signal, signing.
Thames, examining, combining
Scholar, vicar, and cigar,
Solar, mica, war, and far.
From "desire": desirable--admirable from "admire."
Lumber, plumber, bier, but brier.
Chatham, brougham, renown, but known.
Knowledge, done, but gone and tone,
One, anemone. Balmoral.
Kitchen, lichen, laundry, laurel,
Gertrude, German, wind, and mind.
Scene, Melpomene, mankind,
Tortoise, turquoise, chamois-leather,
Reading, reading, heathen, heather.
This phonetic labyrinth
Gives moss, gross, brook, brooch, ninth, plinth.
Billet does not end like ballet;
Bouquet, wallet, mallet, chalet;
Blood and flood are not like food,
Nor is mould like should and would.
Banquet is not nearly parquet,
Which is said to rime with "darky."
Viscous, Viscount, load, and broad.
Toward, to forward, to reward.
And your pronunciation's O.K.,
When you say correctly: croquet.
Rounded, wounded, grieve, and sieve,
Friend and fiend, alive, and live,
Liberty, library, heave, and heaven,
Rachel, ache, moustache, eleven,
We say hallowed, but allowed,
People, leopard, towed, but vowed.
Mark the difference, moreover,
Between mover, plover, Dover,
Leeches, breeches, wise, precise,
Chalice, but police, and lice.
Camel, constable, unstable,
Principle, disciple, label,
Petal, penal, and canal,
Wait, surmise, plait, promise, pal.
Suit, suite, ruin, circuit, conduit,
Rime with "shirk it" and "beyond it."
But it is not hard to tell,
Why it's pall, mall, but Pall Mall.
Muscle, muscular, gaol, iron,
Timber, climber, bullion, lion,
Worm and storm, chaise, chaos, and chair,
Senator, spectator, mayor,
Ivy, privy, famous, clamour
And enamour rime with hammer.
Pussy, hussy, and possess,
Desert, but dessert, address.
Golf, wolf, countenance, lieutenants.
Hoist, in lieu of flags, left pennants.
River, rival, tomb, bomb, comb,
Doll and roll and some and home.
Stranger does not rime with anger.
Neither does devour with clangour.
Soul, but foul and gaunt but aunt.
Font, front, won't, want, grand, and grant.
Shoes, goes, does. Now first say: finger.
And then: singer, ginger, linger,
Real, zeal, mauve, gauze, and gauge,
Marriage, foliage, mirage, age.
Query does not rime with very,
Nor does fury sound like bury.
Dost, lost, post; and doth, cloth, loth;
Job, Job; blossom, bosom, oath.
Though the difference seems little,
We say actual, but victual.
Seat, sweat; chaste, caste.; Leigh, eight, height;
Put, nut; granite, and unite.
Reefer does not rime with deafer,
Feoffer does, and zephyr, heifer.
Dull, bull, Geoffrey, George, ate, late,
Hint, pint, Senate, but sedate.
Scenic, Arabic, Pacific,
Science, conscience, scientific,
Tour, but our and succour, four,
Gas, alas, and Arkansas.
Sea, idea, guinea, area,
Psalm, Maria, but malaria,
Youth, south, southern, cleanse and clean,
Doctrine, turpentine, marine.
Compare alien with Italian,
Dandelion with battalion.
Sally with ally, yea, ye,
Eye, I, ay, aye, whey, key, quay.
Say aver, but ever, fever.
Neither, leisure, skein, receiver.
Never guess--it is not safe:
We say calves, valves, half, but Ralph.
Heron, granary, canary,
Crevice and device, and eyrie,
Face but preface, but efface,
Phlegm, phlegmatic, ass, glass, bass.
Large, but target, gin, give, verging,
Ought, out, joust, and scour, but scourging,
Ear but earn, and wear and bear
Do not rime with here, but ere.
Seven is right, but so is even,
Hyphen, roughen, nephew, Stephen,
Monkey, donkey, clerk, and jerk,
Asp, grasp, wasp, and cork and work.
Pronunciation--think of psyche--!
Is a paling, stout and spikey,
Won't it make you lose your wits,
Writing "groats" and saying "grits"?
It's a dark abyss or tunnel,
Strewn with stones, like rowlock, gunwale,
Islington and Isle of Wight,
Housewife, verdict, and indict!
Don't you think so, reader, rather,
Saying lather, bather, father?
Finally: which rimes with "enough"
Though, through, plough, cough, hough, or tough?
Hiccough has the sound of "cup."
My advice is--give it up! 

Thursday, 27 March 2014

Taken home 2

Otherwhise...

My little, black pot.


It's the perfect container to use while you're weeding.

Sunday, 23 March 2014

Immi drucocu - I am the bad wolf

Gaulish*
Omnos
Immi daga uimpi geneta
lana beððos et iouintutos
Blatus ceti, cantla carami
Aia gnata uimpi iouinca
pid in cete tu toue suoine
pid uregisi peli doniobi
Aia gnata uimpi iouinca
pid in cete tu toue suoine
Aia mape coime, adrete!
In blatugabagli uorete
cante snon celiIui in cete!
Vrit- me lindos dubnon -piseti (x2)
Nimmi mapos, immi drucocu
In cetobi selgin agumi
selgin blatos tou iouintutos
Nu, uoregon, cu, uorigamos
lamman, cu, suuercin lingamos
indui uelui cantla canamos!
Nimmi mapos, immi drucocu
In cetobi selgin agumi
Ne moi iantus gnaton uorega
iantus drucocunos uoregon
cante toi in medie cete
Vrit- me lindos dubnon -piseti (x4)
Cu allate, papon sod urege
eððiIo de iantu in cridie
VediIumi: cante moi uosta!
Ne, a gnata, ne uostami, ne te carami!
Nec carasumi!
Boua daga uimpi geneta
Immi trouga, lana nariIas
Vrit- me lindos dubnon -piseti (x2)

*
The Gaulish language is an extinct Celtic language that was spoken in parts of France and the Swiss Rhine area [1] in the Roman period. It is also considered to be epigraphically attested in Belgium and Northern Italy.[2] Gaulish was supplanted by Vulgar Latin and various Germanic languages from around the 5th century AD onwards. Galatian is the form of Gaulish spoken[3][4] in Asia Minor after 281 BC. Lepontic is considered to be either a dialect of or a language closely related to Gaulish.


English
Fear
I am a fair, pretty girl
Full of virtue and youthfulness
The forest's flowers and songs I love
Hey, pretty young girl
What are you doing in the forest alone
So far from all beings?
Hey, pretty young girl
What are you doing in the forest alone?
Hey, handsome boy, come here!
Let us pick some flowers
in this forest together!
Now only the deep pond awaits me (x2)
I am not a boy, I am the bad wolf
In the woods I hunt
Hunt for the flower of your youth
Well, wolf, let us play a game
Let us dance a joyful dance
Let us sing decent songs!
I am not a boy, I am the bad wolf
In the woods I hunt
I don't like children's games
I like playing sinister wolf games
In the depths of the forest, with you
Now only the deep pond awaits me (x4)
Wild wolf, do whatever your heart longs for
But I beg you: Stay with me!
No, girl, I'm not staying with you and don't love you!
Never loved you!
I was a fair and pretty girl
Now I'm poor and overcome with shame
Now only the deep pond awaits me (x2)


Nick Vujicic




Parole in bilico

Le nostri estati scorrono come un filare d'alberi lungo 
una strada che percorriamo a gran velocità. Ed anche quando 
rallentiamo per assaporarle, sono come sabbia 
che inesorabilmente ci sfugge fra le dita, segnando il nostro tempo.


Saturday, 22 March 2014

Parole in sospeso

   


    Ci sono parole che non diciamo, che restano silenti ma la cui presenza viene percepita da chi ascolta. Parole che forse non hanno importanza, parole che non sappiamo pronunciare, parole di cui abbiamo paura perché non siamo capaci di dar loro un significato intellegibile. Sono parole che temiamo vengano male interpretate, parole che pensiamo possano ferire, parole che vorremmo dimenticare perché non ci appartengono e qualcuno ce le ha appiccicate addosso. Sono parole che ci fanno male, a cui non vogliamo pensare, parole che non ci piacciono. Sono parole che forse un giorno pronunceremo, parole che pronunceremo quando saremo pronti. 
     Oppure non accadrà mai. Ma pronunciate oppure mai dette, sono parole che, messe insieme, formano le storie della nostra vita. Ed i racconti dovrebbero sempre avere qualcuno che possa ascoltarli.

Drunk English in Indian restaurant


Sunday, 16 March 2014

RocknRolla

Qualcuno crede ancora che la situazione qui sia pulita. Di sicuro è complicata. Ma ricordatevi sempre che gli artisti hanno l'occhio più lungo della gente normale, vedono più lontano.


Friday, 14 March 2014

Lapis

I nostri errori sono pietre. 

Diventano lapidi nel cimitero dei nostri sentimenti. Diventano pietre squadrate e posate una sull'altra a partire da quel primo errore, dalla pietra angolare della nostra fortezza dell'animo ferito. Diventano lastre con cui pavimentiamo la nostra strada verso nessun luogo. 

C'è chi non si volta mai indietro e non se ne rende conto, e continua a vivere felice e indifferente di chi ha ferito. Ma se ti fermi soltanto un momento a guardare, se solo per un attimo ti soffermi ad osservare, non puoi non capire che sei giunto dove sei giunto guidato dai tuoi errori. Ed allora hai paura.

Hai paura delle conseguenze, hai paura di commettere nuovi errori. Hai paura di ciò che sei diventato perché ogni errore è una cicatrice, e tutto il tuo corpo ne è solcato. Ma che altro possiamo fare, se non pagarne il prezzo ed andare avanti? 


E così camminiamo, fra due ali di volti sconosciuti, ed ogni errore è una pietra che la folla usa per lapidarci. Sanguiniamo, barcolliamo, vorremmo tornare indietro quando sappiamo che non è possibile. Paghiamo il prezzo, un prezzo di sangue, e ci mostriamo a un nuovo amore, sfigurati dai colpi ricevuti. 
E, sanguinandogli davanti, diciamo: 

"Questo sono io. Dammi cio' che vuoi, io ti darò quel che posso."



Our own mistakes become stones.

They become gravestones in the cemetery of our sentiments. They become square-shaped stones laid on each other starting from that first mistake, from the cornerstone of our fortress of bleeding soul. They become slates we paved our path with, a path to nowhere.


There is who never turns back and doesn't understand, who gets on being happy and indifferent to who he hurt. But if you stop just a moment to watch, if you linger to observe, you have to understand that you have arrived where you are because of your mistakes. Then you're scared.

You're scared of the consequences, you're scared to make new mistakes. You're scared of what you became, since every mistake is a scar, and the whole your body is cleavage with scars. But what else could we do, if not pay the price and carry on?


So we walk, between two lines of stranger's faces, and every mistake is a stone which the mob uses to stone us. We bleed, we falter, we would like to go back even when we know we can't. We pay the price, a price of blood, and we show ourselves to a new love, disfigured by the blows.
And bleeding in front of it, we say:

"This is what I am. Give me what you want, I'll give you what I can."

Monday, 10 March 2014

The Tyger

Se pronunci Tiger Tiger in Londra, oggi, tutt'al più ti senti rispondere con la località di un pub. Persone di cultura ce ne sono, ma si son nascoste bene. Non hanno molta voglia di mescolarsi con quelli che la cultura l'hanno lasciata sul fondo di una pinta di birra.











Tyger! Tyger! burning bright
In the forests of the night, 
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry? 

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes? 
On what wings dare he aspire? 
What the hand, dare sieze the fire? 

And what shoulder, & what art, 
Could twist the sinews of thy heart? 
And when thy heart began to beat, 
What dread hand? & what dread feet? 

What the hammer? what the chain? 
In what furnace was thy brain? 
What the anvil? what dread grasp
Dare its deadly terrors clasp? 

When the stars threw down their spears, 
And water'd heaven with their tears, 
Did he smile his work to see? 
Did he who made the Lamb make thee? 

Tyger! Tyger! burning bright
In the forests of the night, 
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry?


Qui l'analisi completa della poesia.

Sunday, 9 March 2014

Dov'è quel sapore come di miele sulla lingua?

     

        Dov'è quel sapore come di miele sulla lingua? Dove sono i giorni migliori? Dove sono i luoghi in cui essere in pace col mondo e con se stessi? 
      C'è chi scrive dei voli del cuore, di speranze e gioie. C'è chi scrive di sogni e viaggi mai intrapresi, del piacere di vivere e di amori effimeri. Io scrivo di sofferenze e rancore, di illusioni svelate e speranze perdute. Perché questo è ciò che rimane quando hai raschiato il fondo del barile, quando hai cercato in tutti gli angoli e ciò che hai trovato è solo polvere. 
       La vita è fatta di miserie, solo temporaneamente nascoste dalla luce della speranza e degli innamoramenti di cui cadiamo vittime. La vita è un guado insidioso in acque sporche, e non puoi passarlo senza portartene l'odore addosso. Quelli che credevamo sogni che si alzavano in volo erano invece corvi, scesi a nutrirsi del nostro grano. Le speranze svaniscono e vengono rimpiazzate da nuove altrettanto vane. Sediamo nell'ombra e non discerniamo chi abbiamo accanto. Andiamo avanti per amore, senza accorgerci di chi ci siamo lasciati indietro.
       Non c'è dolcezza nella bocca, solo il sapore del discontento. Nella nostra mente risiede perennemente l'insoddisfazione, sottile e pericolosa, la stessa di quando non riusciamo a ricordare una parola che ci elude di poco. Nei nostri cuori fa presa la sensazione di aver dimenticato qualcosa, un sogno che abbiamo sognato ma che non riusciamo a ricordare.



Sunday, 2 March 2014

English pronunciation


There's no appeal



Ma veramente credi che ti concederanno una prova di appello? Ti useranno, poi ti getteranno con gli altri rottami. Cementeranno le fondamenta dei loro palazzi col tuo sangue, banchetteranno con le tue carni. Non c'è perdono, non c'è pietà né seconde possibilità. Sii pronto ad uccidere il tuo fratello, ad alzare la tua mano contro di lui, e poi a strisciare ai piedi dei tuoi padroni. Sarai giudicato secondo la Legge, e la Legge non può cambiare, ma la Legge è mutevole. Ti trascineranno in fronte alla loro Corte, sarai umiliato e privato di tutto ciò che hai. Ti strapperanno il tuo orgoglio, cammineranno sulla tua dignità, ti aizzeranno contro i tuoi cari come cani rabbiosi. 

Nei Luoghi Santi ormai pascolano gli animali selvatici e le fiere riposano all'ombra dei tuoi altari. Tutto ciò in cui riponevi la tua fede è in rovina. E tu sei il colpevole. Come osi chiedere pietà?

Do you really believe that they will allow you an appeal? They will use you, then you will be thrown among the other wrecks. They will spill your blood on their palace's bases, and feast on your flesh. There's no forgiveness, there's no pity nor a second chance. Be ready to murder your brother, be ready to raise your hand on him, and then to grovel at your masters' feet. You'll be judged by the Law, and the Law can't change, but the Law is changeable. They will hauled you in front of their Court, you'll be humiliated and deprived of everything you own. They will tear your proud from you, will walk on your dignity, and set your loved ones on you like rabid dogs.

The countryside animals graze on the Holy Places and the wild beasts rest in the shade of your altars. Everything you used to put your trust in is in ruin. And you are guilty of it. How do you dare begging mercy?