Tuesday, 29 April 2014

Enter: night


Sunday, 27 April 2014

Il Gruppo della Birretta

   Nel settembre del 2011 incontrai, in un pub vicino Covent Garden, @Apache71 (ora ha un nuovo profilo su Twitter, dato che questo ha dovuto chiuderlo a causa di una donna rivelatasi trooooppo gelosa). Io venivo da circa tre mesi di isolazionismo, durante i quali non ero riuscito non dico a creare dei rapporti di amicizia con nessuno, ma addirittura non ero riuscito a parlare con nessuno, dato che lavoravo con polacchi che mi parlavano in polacco sopra la testa come se neppure esistessi o con inglesi che parevano sforzarsi di usare un accento incomprensibile proprio per impossibilitare ogni tentativo di comunicazione. Apache, al secolo Luca, era il primo italiano che incontravo dopo aver deciso che non potevo tagliare fuori dalla mia vita la mia italianità. Ma questo argomento magari lo riprenderò in altra sede. Pensiamo a ciò che di importante accadde in quel pub, dato che decise la traccia di come avrei vissuto a Londra questi tre anni ormai sul punto di terminare, traccia dalla quale probabilmente non uscirò fin quando non lascerò questa Metropoli Farneticante.
   Durante la conversazione Luca dette voce ad un'idea che da un po' di tempo mi ronzava in testa. "Mi piacerebbe", disse, "creare un gruppo di italiani che si incontri regolarmente. Magari una volta a settimana." Quello fu il momento in cui nacque il Gruppo della Birretta, la cui paternità fu causa di alcune discussioni fra noi, dato che entrambi la reclamavamo. Luca avendovi dato voce, io avendovi già iniziato a lavorare, sebbene semplicemente provando a realizzare la proposta di un altro membro di Italiani a Londra che aveva invitato, chiunque volesse, a ritrovarsi per bere una "birretta" insieme. Tale proposta non si realizzò mai, dato che fu fatta durante i Riots e il propositore fu in seguito raggiunto dalla fidanzata e dagli amici ed ebbe di meglio da fare che incontrare altri connazionali  a lui sconosciuti. Ma qualcuno di coloro che si erano resi disponibili quella prima volta accettarono poi di incontrarsi in successive occasioni e lo fecero sotto il nome di Gruppo della Birretta. Iniziai allora un lavoro di organizzazione di incontri, che ben presto divennero regolari ogni weekend, dal venerdì sera alla domenica pomeriggio, tutti pubblicati in anticipo su Italiani a Londra, con la descrizione della meta, che fosse un museo o un pub per ballare la salsa, gli orari degli incontri e il journey plan del Transport for London (tfl.gov.uk) più ogni altra informazione utile o sfiziosa. Insomma, i miei post settimanali erano davvero bellini! 
   Piano piano, fra adesioni spontanee e arruolamenti eseguiti da me online e da Luca (di tanto in tanto) durante le sue peregrinazioni lavorative, arrivammo a creare un gruppetto discreto a cui si univano personaggi di passaggio. Di passaggio sia nel gruppo che a Londra. Nessuno di noi era un angelo, io con le mie paturnie, Luca con la sua testardaggine a non voler vedere certe cose neanche quando gliele sbattevi sotto il naso (tipo che McDonalds vende veleni, dato che lui è innamorato di McDonalds per questioni lavorative), tutti gli altri con le loro fisime personali. Ma nel Gruppo si era creata un'atmosfera rilassata, mancando secondi fini ed essendo mirato semplicemente allo stare in amicizia, senza bisogno di essere vigili contro approcci indesiderati. Questo portò il Gruppo ad essere composto per lo più da donne, che nella compagnia si sentivano sicure e tranquille: io e Luca eravamo gli unici uomini, spesso e volentieri, circondati da un numero di donne che variava dalle quattro alle dieci. Niente del genere "niente sesso siamo inglesi", anche perché inglesi non lo eravamo (grazie a Dio!); ma anche se poi ho scoperto che il caro Luca si è fatto le sue belle pascolate con qualcuna delle ragazze, il sesso fu una caratteristica marginale e non creò mai problemi. Che io sappia, almeno, ma essendo io mattiniero per necessità, per altrettanta necessità andavo a dormire prima degli altri, che una volta non più sotto il mio paterno controllo si sbizzarrivano di nascosto in attività sull'orlo dell' infantilismo che qualche piccola grana hanno creato.
   Una caratteristica comune univa tutti i membri stabili del Gruppo della Birretta: tutti avevamo dei problemi. E tali problemi influenzavano le nostre vite al punto che iniziai a descrivere il Gruppo della Birretta, a chi me ne chiedeva la natura, come un "gruppo di mutuo soccorso". Chi veniva da un matrimonio finito o travagliato e in procinto di rompersi, chi era venuta a Londra con la scusa di cercare lavoro ma in realta' per fuggire da un ragazzo con cui non riusciva a rompere, o chi si era trasferita a Londra per spurgare una relazione amorosa intossicante, ognuno di noi era in cerca di qualche tipo di conforto. Il Gruppo funzionò eccelsamente per alcuni mesi, attraverso tutta l'estate e l'autunno e l'inizio d'inverno che quell'anno furono particolarmente miti. Così miti che il 1 ottobre andammo a Brighton, dato che mi era venuta voglia di nuotare, cosa che feci nell'acqua sporca e gelida della Manica e che mi guadagnò un pisello ridotto ai minimi termini per le ore successive e una bronchite che non riuscii a guarire finché un angelo non trafugò degli antibiotici per me dall'ospedale dove lavorava (qui gli antibiotici te li danno solo se sei sul punto di sputare pezzi di polmone quando tossisci). Da Natale in poi l'attività del Gruppo rallentò fin quasi a fermarsi, spostandosi parzialmente sulla chat di Italiani a Londra, per riprendere a scartamento ridotto in primavera. Il Gruppo della Birretta aveva iniziato a perdere i suoi pezzi.
   La natura stessa del Gruppo era alla base della sua fine. Non era un fallimento, semplicemente il Gruppo aveva assolto il suo scopo e realizzato la sua natura. Essendosi formato intorno ai bisogni e problemi dei suoi membri, via via che ognuno di noi andava risolvendoli, si staccò contemporaneamente dal gruppo. Nuove compagne furono trovate, vecchi rapporti furono definitivamente troncati, ognuno andava ricreandosi una sua vita nel modo che gli era più consono. O almeno tentavamo.
   Alcuni membri del Gruppo scomparvero definitivamente, con altri sono rimasto in contatto. In questo modo si realizzò ciò da cui molte persone residenti a Londra da lunga data mi avevano messo in guardia fin dalle prime settimane: Londra è come un porto di mare, le persone vengono, stanno per un poco, ed un mattino scopri che sono ripartite, magari perché si son degnate di inviarti un messaggio mentre stanno per imbarcarsi sull'aereo. E molti non si degnano neanche. Mantenere a Londra delle conoscenze, se non delle amicizie, che siano durature è quasi impossibile. Anche chi viene qui deciso a rimanerci, più spesso che no, se ne va, volente o (raramente) nolente. Sono veramente poche le persone che, dopo una residenza di alcuni mesi, ritengano Londra un luogo dove valga la pena stanziarsi definitivamente, costruire una famiglia e crescere dei figli. Chi rimane, in genere, sono coloro che si ritrovano prigionieri dei loro stipendi. O che sono bloccate qua per altri motivi.
   Ad oggi, solo un'altra persona, oltre a me, rimane di coloro che erano i membri originari e permanenti del Gruppo della Birretta. Luca stesso ha colto al volo l'occasione di tornare in Italia, dove pare stia ricostruendosi una nuova vita come piace a lui (gli auguro in questo ogni bene). Nuovi amici sono entrati a far parte della mia cerchia, alcuni di recente, altri con cui avevo costruito un rapporto parallelo già nel 2011/12, ma il Gruppo della Birretta, con le sue scorribande per pub e musei, è definitivamente finito. E fra non molto io sarò l'unico membro del Gruppo restante a bazzicare i paesaggi originari che videro la nascita di belle amicizie ed amori più o meno durevoli. 
   E' stato un bel periodo, guardandolo in retrospettiva. Tormentato, altalenante tra felicità e depressione, irto di difficoltà, sia nella sfera personale che sul lavoro. Ma ricchissimo di esperienze, fra cui la nascita di questo blog che in parte è dedicato a raccontarle. Un bel periodo, ma che è prossimo a finire. Non molto tempo ancora e mi ritroverò al punto di partenza, dov'ero circa tre anni fa. Io pensavo di star camminando in un labirinto simbolico, ma forse i sentieri che sto percorrendo sono quelli di un dedalo. E non c'è Dio ad aspettarmi al suo centro, bensì il Minotauro.

Saturday, 26 April 2014

The passenger



I am a passenger
And I ride and I ride
I ride through the city's backside
I see the stars come out of the sky
Yeah, they're bright in a hollow sky
You know it looks so good tonight

I am a passenger
I stay under glass
I look through my window so bright
I see the stars come out tonight
I see the bright and hollow sky
Over the city's a rip in the sky
And everything looks good tonight

Singin'

Get into the car
We'll be the passenger
We'll ride through the city tonight
See the city's ripped insides
We'll see the bright and hollow sky
We'll see the stars that shine so bright
The sky was made for us tonight

Oh the passenger
How how he rides
Oh the passenger
He rides and he rides
He looks through his window
What does he see?
He sees the sided hollow sky
He see the stars come out tonight
He sees the city's ripped backsides
He sees the winding ocean drive
And everything was made for you and me
All of it was made for you and me
'Cause it just belongs to you and me
So let's take a ride and see what's mine

Singing

Oh, the passenger
He rides and he rides
He sees things from under glass
He looks through his window's eye
He sees the things he knows are his
He sees the bright and hollow sky
He sees the city asleep at night
He sees the stars are out tonight
And all of it is yours and mine
And all of it is yours and mine
Oh, let's ride and ride and ride and ride

Singing

Should she stay or should she go?

Difficilmente una donna rimarrà per sua libera scelta. Le servirà sempre un qualche tipo di costrizione: i figli, la convinzione che andandosene getterà via gli anni spesi fino a quel momento, una catena affettiva che non riesce a rompere. Nei casi più squallidi un benessere a cui non vuole rinunciare. Mancando la costrizione, quale che sia, andarsene sarà sempre "la cosa più giusta da fare". E se ne andrà, fisicamente o spiritualmente,  che sia una fuga o che sia l'inizio di un nuovo viaggio che vuol fare da sola, certa di essere nella ragione, senza realmente analizzare se tale ragione esiste o meno. E questo, semplicemente, perché una donna non è capace di restare di sua libera scelta, pagando il prezzo e raccogliendo i frutti di tale decisione.

Hardly a woman will stay for her free choice. She will need always some kind of bound: children, the certainty that leaving she will throw the years spent till that moment away, an affective chain which she can't break. In the most sordid cases a wealth she doesn't want to give up. Lacking the bound, whichever it is, leaving will be always "the right thing to do". And she will leave, physically or spiritually, that be a getaway or that be a new journey's beginning which she wants to get through alone, believing she's right, without really analyse if that right exists or not. And this simply because a woman is not able to stay for her free choice, paying the price and reaping the rewards of her choice.

Stabilità




Thursday, 24 April 2014

Carlo Martello


A Post-Modern Middle Age

"Until the 1980s, corporate CEOs were paid, on average, 30 times what their typical worker was paid. Since then, CEO pay has skyrocketed to 280 times the pay of a typical worker; in big companies, to 354 times.
Meanwhile, over the same thirty-year time span the median American worker has seen no pay increase at all, adjusted for inflation. Even though the pay of male workers continues to outpace that of females, the typical male worker between the ages of 25 and 44 peaked in 1973 and has been dropping ever since. Since 2000, wages of the median male worker across all age brackets has dropped 10 percent, after inflation.
This growing divergence between CEO pay and that of the typical American worker isn’t just wildly unfair. It’s also bad for the economy. It means most workers these days lack the purchasing power to buy what the economy is capable of producing — contributing to the slowest recovery on record. Meanwhile, CEOs and other top executives use their fortunes to fuel speculative booms followed by busts.
Anyone who believes CEOs deserve this astronomical pay hasn’t been paying attention. The entire stock market has risen to record highs. Most CEOs have done little more than ride the wave."

Robert B. Reich

A Post-Modern Middle Age is showing at the horizon. For whoever has will be given more, and they will have an abundance. Whoever does not have, even what they have will be taken from them. They won't leave anything to us. They will take us one by one. Open your eyes.

Wednesday, 23 April 2014

Everyday London

   Lunedì di Pasquetta prendo la bici e decido di provare il tragitto da casa al mio attuale posto di lavoro, dall' East End a Central London. 40 minuti di pedalata, secondo Google Maps, lungo una delle più famigerate strade di Londra, Bow Road, che comincia con la Bow Roundabout, dove 2 dei 14 ciclisti investiti ed uccisi lo scorso anno sono stati fatti mash potatoes. Lunedì era un bankholiday, splendeva un bel sole e prevedibilmente il traffico era minore di un giorno lavorativo: la giornata adatta per provare un nuovo tragitto e guardarsi intorno.
   Dunque parto e pedalo alla volta di London Bridge e South Bank. Il viaggio si svolge tranquillamente e anche abbastanza piacevolmente, e nei 40 minuti (circa) pronosticati da Google arrivo in Holland Street, che si trova esattamente dietro il Tate Modern, museo di arte contemporanea (a me non piace, ma magari a voi sì), con la sua nuova parte in costruzione. La nuova ala è costruita con prefabbricati in calcestruzzo, così grandi che ne possono caricare solo uno per volta sugli autotreni, rigorosamente made in Holland. Del resto siamo in Holland Street, mica potevano usare un prodotto inglese. Ma soprassediamo e procediamo oltre.

In questa foto potete vedere il condominio super-lusso dove sto lavorando al momento (sostituisco un ragazzo che è in ferie mentre attendo che inizi il mio nuovo contratto). Stanze triangolari in edifici a base romboidale, pareti a vetro come le teche per i serpenti e prezzi non proprio alla portata di tutti: 1 milione e mezzo di sterline per l'appartamento più economico e ben 22 per la penthouse (l'attico). E tra l'altro, fra le 8am e le 8pm, chiunque può passare attraverso il giardino del condominio. Rompicoglioni a giro ma almeno hanno la security che sta lì tutto il tempo, a dire good morning e good afternoon ed aprire le porte alle signore che rientrano con le braccia cariche di spesa appena fatta. 
   Vi chiederete, ma cosa c'è intorno che valga la pena pagare quelle cifre per vivere lì? A parte il Tate, niente di niente. Solo strade trafficate e squallide. Certo, c'è il Lungo Tamigi a due passi, ma non è che sia questo gran che. Il punto è che ormai, le persone ricche, non comprano casa a Londra per viverci perché la città abbia un fascino particolare, comprano casa a Londra perché è un investimento. Le autorità stanno supportando con tutti i mezzi possibili la bolla immobiliare, coi prezzi degli immobili che salgono e salgono ogni anno (mentre le paghe scendono). Primo risultato: molte aziende stanno chiudendo le loro sedi a Londra per riaprirle in altre nazioni più economiche (vedi Reuters che apre in Polonia), mantenendo qui solo gli uffici centrali. Escluse quelle aziende che li vanno aprendo in Irlanda per usufruire della tassazione fiscale ridotta, ovviamente. Secondo risultato: la gente normale non riesce più a permettersi gli affitti o di comprare casa a Londra.      
Anche il flat-sharing comincia a diventare costoso. Nessun problema, la nuova linea ferroviaria Cross Rail sarà completata nel 2018. Loro dicono che servirà a collegare la City (Canary Wharf) con l'aeroporto di Hethrow, ma non è vero! Servirà a collegare Shenfield con Londra, perché è laggiù che stanno mandando le persone a vivere, lontano, dove non danno noia. Controllate su Gogle Maps dove si trova Shenfield, perché fra non molto diventerà periferia di Londra. E visto che ci siete, controllate anche dove si trova Ebbsfleet, perché ci vogliono costruire una città giardino per nasconderci gli indesiderabili, quelli i cui redditi li pongono in situazione di necessitare di affordable housing, ovvero le nostre case popolari . Ormai i terreni a Londra valgono oro, e chi comanda non vuole rinunciare neanche ad un metro quadrato: si abbattono le council houses e si costruiscono centri commerciali. Higher, brighter, bigger living soltanto, a Londra. Per chi può permetterselo, ovviamente. Chissà, forse, a forza di spingerla nelle periferie delle periferie, un giorno si sveglieranno e si accorgeranno che di gente normale a Londra non ce n'è più, che restano solo turisti e ricchi giapponesi. Certo, una bolla immobiliare ha bisogno di gente che compra per continuare a crescere, e mi sa che i giapponesi da soli non sono sufficienti. Neanche con l'aiuto dei russi. Per sostenere la domanda serve anche la gente normale, quella che si ammazza quasi per pagare il mutuo, quella che stanno mandando lontano da Londra. Risolvere il problema è semplice: si cambia il codice postale di Shenfield e la si fa diventare parte di Londra. Lo stanno facendo da anni e anni: annettono le piccole cittadine limitrofe, le chiamano Londra, e continuano a dire alla gente di venire a Londra, perché Londra è viva, a Londra c'è lavoro, eccetera eccetera. Si guardano bene dal dirgli, però, in quale parte di Londra vogliono farla vivere, quella gente.
 
 Ovviamente, non poteva mancare la pioggia. In 5 minuti, dal sole splendente alla pioggia a dirotto. A Londra funziona così. Ma basta ripararsi, aspettare che spiova, quindi saltare in sella alla bici e tornare a casa.
   E così torno verso l' East End, e mentre mi lascio alle spalle i quartieri dei turisti e dei colletti bianchi, dove l' 80 per cento della gente che vedi è di pelle bianca, e imbocco nuovamente Bow Road che mi riconduce verso i quartieri del Londonistan, dove la popolazione è "diversamente colorata" e si fa a volte fatica ad individuare un altro bianco sui marciapiedi, ebbene noto che i segni del passato acquazzone vanno scomparendo, fino ad essere completamente assenti. Il Cielo, penserete voi, non ha voluto infierire su quella parte della popolazione già troppo colpita per natura ed una volta tanto non ha piovuto sul bagnato. No, non è così: il Cielo ha fatto piovere poco o niente perché così quelli non hanno avuto il tempo di lavarsi.
   Ultima nota saliente di quella pedalata è stato un ragazzino (bianco), che approfittando del fatto che, per imboccare un flyover, la sopraelevata che passa sopra la Bow Roundabout, mi trovavo sulla corsia centrale di un tratto a tre corsie, mi ha tirato contro qualcosa. Mi ha mancato, per fortuna. Data la mia posizione non ho potuto fare altro che mostrargli il dito indice. 
    Questa è Sparta? No. Questa non è Sparta, è Londra. La Londra di tutti i giorni. Che è molto peggio.

Sunday, 20 April 2014

Una follia ogni tanto...

...va fatta, mi son detto. La realtà è che se mi lasciano entrare in libreria da solo sono pericoloso. Pericoloso per il mio portafogli, s'intende. Ma andiamo in ordine.
   Venerdì pomeriggio vado a conoscere di persona uno dei miei contatti su Twitter, @profilocriminale. "...io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare." recita la sua bio, citazione di Samuel Bellamy, pirata britannico soprannominato il Principe dei Pirati per la misericordia che era uso dimostrare verso coloro che catturava. Le premesse erano interessanti, quindi è stato con gran piacere che ho accettato l'invito fattomi da @profilocriminale di andarci a bere qualcosa insieme per conoscerci quando si è trasferito a Londra. Luogo d'incontro, il Caffè Vergnano vicino alla stazione di Leicester Square. Un poco di pubblicità, ma se avrete mai la sventura di essere spinti dalle correnti della vita sulle rive londinesi, voi poveri relitti umani, sappiate che Caffè Vergnano è l'unico luogo in Londra dove potete trovare una cioccolata calda degna di questo nome. In qualunque altro luogo, almeno fino ad oggi, mi hanno servito solo acqua calda con una polverina sciolta dentro. Latte al posto dell'acqua una volta, a Notting Hill. Se doveste decidere di volere una cioccolata calda a Londra e paga qualcun altro, prendete la tazza grande con la panna. Merita.
   Ma torniamo a cosa è successo venerdì scorso. Io arrivo davanti al Caffè Vergnano e @profilocriminale è in ritardo. Cioè, al momento non lo era, ero io ad essere in anticipo. Quindici minuti di anticipo, anziché dell'ora canonica. Ecco perché mi porto sempre dietro un libro. Ma leggere in mezzo alla strada, non è che sia il massimo. Quindi, dato che proprio di fianco al caffè ci sono due librerie, decido di entrare a dare un'occhiata. Infilo nella prima: quella sbagliata, Henry Pordes Books (che tra l'altro mi sa che è proprietà di un italiano). In vetrina, a fianco del corridoio d'ingresso, fra una copia de "The incredulity of Father Brown" di Chesterton e una di "Grek Art:Byzantin Wall-Painting" di Acheimastou-Potamianou e Mirtaly, vedo questo:


   Attrae la mia attenzione, ma tiro a diritto ed entro nel negozio, nella cui sala d'ingresso, seduti ad una piccola scrivania d'altri tempi, siedono un britannico di circa 60 anni ed un uomo molo più giovane, sui 35, straniero, che conversano in inglese riguardo una qualche rappresentazione teatrale. Mi infilo fra gli altri clienti, scivolo nella seconda sala e guardo fra i libri. Ne trovo addirittura uno sulla "Questione del Meridione" (d'Italia, ovviamente). Ma la mia mente era tutta per la copia de "The Lord of the Rings" vista in vetrina.


   Torno indietro e raggiungo la scrivania. "How much is the edition of The Lord of the Rings which is in the window-shop?" chiedo. "It should be 100 pounds." No, troppo. Gli spiego che cento sterline sono troppe, ma mi informo comunque se sia l'opera integrale. Certo, mi dicono. "But it's so thin..." "It's printed on Indian paper." Io avevo visto solo copie della Bibbia stampate su carta indiana. Mi allontano e mi dirigo verso una terza saletta, ma non sono neanche alla porta che già mi si forma un'idea in testa.


   Torno indietro. "I changed my mind." "Do you want the book?" "Yes, you must do something crazy, sometimes." "Let me check the price", dice lo straniero alzandosi. "I'm not sure if it's 100 or 150." "150?" Già quel something crazy cominciava a sembrarmi fin troppo crazy.
   Andiamo alla vetrina, il tipo la apre, maneggia i libri con la reverenza di un prete che maneggi reliquie, prende il volume che mi interessa e lo riporta alla scrivania. "It's 150." "Wow", boccheggio io. "But it's a unique copy. 1978. You can have a look."



   Una copia nuova, immacolata, con tutte le mappe com'erano disegnate nelle prime edizioni. "I will not try to open te maps", dico, e l'inglese mi sorride. "Is 150 your best price?" chiedo. "Well, I can do 140."
   Ok, we have a deal.

   
   E circa due ore dopo, come un bischero, al momento di tornare a casa, dopo aver bevuto insieme a @profilocriminale una birra (lager, mai ale) in un pub di fronte a Saint Giles di Renzo Piano, dove ho a malincuore ignorato gli ammiccamenti di un trio di donne carine, per poco non mi dimenticavo la borsa con il libro dentro. Per poco. Taken home.

Friday, 18 April 2014

John Barleycorn e il rito della mietitura


Il significato metaforico del testo è abbastanza chiaro, una allegoria della produzione del whisky, nettare in cima ai desideri degli inglesi, dalla semina fino al raccolto. John Barleycorn è la personificazione dello "spirito del grano", che si trova in tutte le società agricole fino dalla preistoria, a volte in forma maschile a volte in forma femminile (la madre del grano). Lo spirito del grano è la spiegazione mitica del mistero contenuto nel continuo rinnovarsi della vita: dai semi del grano vecchio (che muore) nascerà l'anno successivo il nuovo raccolto. E la nascita del grano nuovo, e quindi del cibo, fonte principale e quasi unica di sostentamento e vita nella civiltà contadina, non era certo un fatto secondario, e giustificava attenzioni particolari, fino in alcuni casi a sacrifici propiziatori rituali, in alcuni casi anche umani, o, più tardi, a rappresentazioni allegoriche degli antichi sacrifici.
Perché lo spirito del grano doveva morire? Era una metafora del ciclo della mietitura, il grano crescente doveva essere mietuto, quando finiva era finito il raccolto. Ma lo spirito sarebbe rinato l'anno dopo, bastava sincerarsi che morisse in modo certo per garantirne la rinascita, e quindi doveva essere inscenata una uccisione simbolica e inappellabile (nella canzone è il "voto solenne"), con le forme e la brutalità del sacrificio.
Le modalità simboliche dell'uccisione descritte nella canzone sono proprio quelle in uso nelle campagne inglesi del Devonshire e della Scozia fino ai primi decenni del '900.
Per esempio nella regione agricola del Devonshire, prevedevano che il mietitore che finiva per ultimo, il mietitore che mieteva l'ultimo covone e simbolicamente uccideva il raccolto di quell'anno, e quindi uccideva lo spirito del grano, doveva in qualche modo prendere su di sé la sventura della fine della vita, della morte, veniva perciò legato e addobbato come un covone, cioè con tutte le spighe di grano intorno, proprio come nella figura tipica di John Barleycorn nei disegni tradizionali, e veniva brutalizzato, naturalmente nella nostra epoca in forma simbolica (scherzi pesanti o cose simili). Il taglio delle gambe citato nella canzone era proprio il momento rituale del sacrificio, ed echeggiava nelle canzoni della mietitura e in grida rituali che i mietitori facevano tutti assieme, in modo da farsi sentire a miglia di distanza, e quindi simbolicamente da farsi sentire anche dagli dei, buoni o cattivi che fossero, per dimostrare che quello che doveva essere fatto era compiuto.

estratto da Musica e Memoria

John Barleycorn must die


There were three men came out of the West, their fortunes for to try
C'erano tre uomini che venivano da occidente, per tentare la fortuna
And these three men made a solemn vow
e questi tre uomini fecero un solenne voto
John Barleycorn must die
John Barleycorn deve morire
They've plowed, they've sown, they've harrowed him in
loro avevano arato, avevano seminato, loro avevano dissodato
Threw clods upon his head
e avevano gettato zolle di terra sulla sua testa
And these three men made a solemn vow
e questi tre uomini fecero un solenne voto
John Barleycorn was dead
John Barleycorn era morto
They've let him lie for a very long time, 'til the rains from heaven did fall
lo lasciarono giacere per un tempo molto lungo, fino a che scese la pioggia dal cielo
And little Sir John sprung up his head and so amazed them all
e il piccolo sir John tirò fuori la sua testa e lasciò tutti stupiti
They've let him stand 'til Midsummer's Day 'til he looked both pale and wan
loro l'avevano lasciato steso fino al giorno di mezza estate e fino ad allora lui era sembrato pallido e smorto
And little Sir John's grown a long long beard and so become a man
e al piccolo sir John crebbe una lunga lunga barba e così divenne un uomo
They've hired men with their scythes so sharp to cut him off at the knee
loro avevano assoldato uomini con falci veramente affilate per tagliargli via le gambe
They've rolled him and tied him by the way, serving him most barbarously
l'avevano avvolto e legato tutto attorno, trattandolo nel modo più brutale
They've hired men with their sharp pitchforks who've gripped him to the heart
avevano assoldato uomini con i loro forconi affilati che avevano conficcato nel (suo) cuore
And the loader he has served him worse than that
e il carrettiere lo trattò peggio di così
For he's bound him to the cart
perché lo legò al carro
They've wheeled him around and around a field 'til they came onto a barn
e andarono con il carro tutto intorno al campo finché arrivarono al granaio
And there they made a solemn oath on poor John Barleycorn
e fecero un solenne giuramento sul povero John Barleycorn
They've hired men with their crabtree sticks to cut him skin from bone
assoldarono uomini con bastoni uncinati per strappargli via la pelle dalle ossa
And the miller he has served him worse than that
e il mugnaio lo trattò peggio di così
For he's ground him between two stones
perché lo pressò tra due pietre
And little Sir John and the nut brown bowl and his brandy in the glass
e il piccolo sir John con la sua botte di noce e la sua acquavite nel bicchiere
And little Sir John and the nut brown bowl proved the strongest man at last
e il piccolo sir John con la sua botte di noce dimostrò che era l'uomo più forte dopo tutto
The huntsman he can't hunt the fox nor so loudly to blow his horn
il cacciatore non può suonare il suo corno così forte per cacciare la volpe
And the tinker he can't mend kettle or pots without a little barleycorn
e lo stagnaio non può riparare un bricco o una pentola senza un piccolo (sorso) di grano d'orzo.

John Barleycorn

Ballata popolare nella versione del poeta scozzese Robert Burns (1759-1796). La dizione è quella scozzese antica.

 There was three kings into the east,
   Three kings both great and high,
 And they hae sworn a solemn oath
   John Barleycorn should die. 

 They took a plough and plough'd him down,
   Put clods upon his head, 
 And they hae sworn a solemn oath
   John Barleycorn was dead.

 But the cheerful Spring came kindly on,
   And show'rs began to fall;
 John Barleycorn got up again, 
   And sore surpris'd them all.

 The sultry suns of Summer came,
   And he grew thick and strong,
 His head weel arm'd wi' pointed spears,
   That no one should him wrong.

 The sober Autumn enter'd mild,
   When he grew wan and pale;
 His bending joints and drooping head
   Show'd he began to fail.

 His coulour sicken'd more and more,
   He faded into age;
 And then his enemies began
  To show their deadly rage.

 They've taen a weapon, long and sharp,
   And cut him by the knee;
 Then ty'd him fast upon a cart,
   Like a rogue for forgerie.

 They laid him down upon his back,
   And cudgell'd him full sore;
 They hung him up before the storm,
   And turn'd him o'er and o'er.

 They filled up a darksome pit
   With water to the brim,
 They heaved in John Barleycorn,
   There let him sink or swim.

 They laid him out upon the floor,
   To work him farther woe,
 And still, as signs of life appear'd,
   They toss'd him to and fro.
 
 They wasted, o'er a scorching flame,
   The marrow of his bones;
 But a Miller us'd him worst of all,
   For he crush'd him between two stones.

 And they hae taen his very heart's blood,
   And drank it round and round;
 And still the more and more they drank,
   Their joy did more abound.

 John Barleycorn was a hero bold,
   Of noble enterprise,
 For if you do but taste his blood,
   'Twill make your courage rise.

 'Twill make a man forget his woe;
   'Twill heighten all his joy:
 'Twill make the widow's heart to sing,
   Tho' the tear were in her eye.

 Then let us toast John Barleycorn,
   Each man a glass in hand;
 And may his great posterity
   Ne'er fail in old Scotland!

Alla ricerca di Altroquando

Comincia il mio viaggio alla ricerca di Altroquando, un luogo che si trova in un posto diverso da qui e che esiste in un momento che non è adesso. E' la Tanelorn del mondo di Elric di Melniboné, l'isola di Avalon nascosta dalle nebbie di memoria arturiana. Luogo di pace ed armonia, luogo che è sempre appena oltre l'orizzonte, non importa per quanto tu abbia viaggiato. Un luogo che è dentro di noi, ma che non possiamo trovare se non c'è pace al di fuori di noi. La vediamo in sogno, la collina che conoscevamo ma abbiamo dimenticato. Un luogo dove vorremmo essere adesso, ma non potremo esserci fino a domani. Ma quando il domani verrà sarà l'adesso, e dopo un attimo sarà passato e l' avremo perso. E' un luogo che non c'è, perché lì esiste ciò di cui abbiamo bisogno. E' un luogo dove possiamo arrivare solo seguendo un percorso fra le stelle, un percorso nei nostri sogni ma che non troveremo fino al mattino. E', semplicemente, Altroquando. Verrà col domani e dove è andato ieri se ne andrà.



Pan's Labyrinth




Wednesday, 16 April 2014

Meritocracy

Vai a SouthBank, e la manager è una giovane e bella donna. Lavori in un condominio il cui appartamento più economico costa un milione e mezzo di sterline e l'attico ventidue, e il manager è una giovane e bella donna. Arriva una troupe televisiva e il manager è una bella ragazza che avrà pochi più anni di mio figlio. Ah! Che bello trovarsi in una nazione civile dove le capacità contano, dove esiste la vera meritocrazia! Mica come in Italia.

You go to SouthBank, and the manager is a young and beautiful woman. You work in a condominium where the cheapest flat is worth 1.5 million pounds and the penthouse even 22, and the manager is a young and beautiful woman. A television troupe arrive and the manager is a beautiful girl very few years older than my son. Ah! What a great thing is to be in a civil nation where the skills count, where there's a real meritocracy! Not like in Italy.

Tuesday, 15 April 2014

Solo, sulla riva del fiume

 
   Conoscevo un uomo che viveva sulle pendici di un monte. Viveva di poco, ma coltivava i suoi amori ed i suoi sogni. Aveva pochi amici, ma quei pochi erano persone care. Viveva in armonia col suo mondo e la sua vita gli piaceva. Poi, un giorno, altre persone decisero che lui non aveva diritto ai suoi sogni. Altre persone decisero che non aveva diritto ad essere felice. Lui si oppose e lottò, ma era una lotta impari. Chiese aiuto alle persone che amava e queste vennero ad aiutarlo. Ma più la lotta si prolungava, più si faceva dura. E le persone intorno a lui, una ad una, cedettero. Una ad una smisero di lottare, gli dissero che era inutile, gli voltarono le spalle. Mentre il suo isolamento cresceva, la sua rabbia diventava sempre più grande, finché solo quella rabbia gli permise di andare avanti a lottare.
   Un giorno si rese conto che quella rabbia avrebbe finito per consumarlo, per distruggerlo, che gli stava sottraendo tutte le forze. Ma lui non voleva rinunciare ai suoi sogni, perciò prese l'unica decisione che gli parve possibile. Abbandonò la sua montagna e partì. Chiese chi sarebbe partito con lui, ma si ritrovò a viaggiare solo.
   Così se ne andò. Lasciandosi dietro le spalle i luoghi che amava e le persone da cui si era aspettato aiuto, quelle persone che credeva di conoscere e che ora voleva solo dimenticare, se ne andò verso una nuova vita. Viaggiò lontano, fino ad una terra che sembrava migliore, una terra dove avrebbe potuto crescere nuovi sogni in mezzo a genti nuove. E in quella terra conobbe una ragazza che abitava sulla riva di un fiume. La ragazza gli mostrò la vera natura di quella terra, gli mostrò che non c'era posto per lui, perché la sua natura era diversa e quella terra non lo conosceva. Ma, per amore degli occhi di lei, l'uomo decise di rimanere a vivere sulla riva del fiume. La ragazza gli aprì il suo cuore e lui la legò a sé, la legò a sé perché era l'unico modo di amare che l'uomo conoscesse. Lei era felice di stare con lui, e lui era felice della felicità di lei.
   La ragazza era giovane ed aveva grandi sogni, che non erano i sogni dell'uomo. Ma lui accantonò i propri sogni per aiutare a crescere quelli di lei. "Ti seguirò nei tuoi sogni", le disse. "Non mi importa di averne di miei." Ma l'uomo era perseguitato dal suo passato e da ciò che aveva perduto. Sebbene non avesse rammarico per ciò a cui aveva rinunciato per lei, rimpiangeva ciò che gli era stato sottratto, e il loro amore era venato di questa sua sofferenza.
   I sogni della ragazza erano grandi. Troppo grandi per lui, l'uomo si rese conto ben presto, vedendo in tale grandezza la sua fine. Ma la ragazza era felice con lui, perciò non la allontanò, sebbene sapesse che la fine era già stata scritta. Cercò solo di rendere i suoi giorni dolci fino a quando fosse giunto il tempo per la ragazza di partire, di inseguire uno dei suoi sogni. Sicuro che anche lei avrebbe compreso.
    E quel giorno giunse, inaspettato, e l'uomo vide che il sogno da inseguire era troppo grande per lui e che non aveva possibilità di seguire il suo amore. La lasciò andare. Forse non aveva alcuna possibilità di fermarla, ma neanche ci provò. Perché era giusto che la ragazza tentasse di realizzare il suo sogno e perché meritava una nuova vita in una terra che non la rifiutasse, a fianco di qualcuno che potesse renderla felice, qualcuno che non avesse un passato ad ossessionarlo e potesse darle ciò che lui non poteva perché gli era stato sottratto. L'uomo si rammaricò soltanto di averla legata a sé, perché se non lo avesse fatto ci sarebbe stato meno dolore. Ma l'universo tende al dolore, e per ogni gioia che godiamo dovremo pagare un prezzo di sofferenza, tanto più grande quanto più grande è stata la gioia.

   Ora quell'uomo è rimasto solo sulla riva del fiume, senza neanche più i suoi sogni a dargli uno scopo. A fargli compagnia solo le accuse di lei, che alla fine non aveva capito. E una domanda lo assilla, nata dalla sensazione che la sua nuova vita fosse cominciata da un atto sbagliato. Tutte quelle persone che si era lasciato alle spalle, che aveva amato e inutilmente cercato di dimenticare, avevano veramente smesso di lottare? O era lui quello che aveva rinunciato?

Saturday, 12 April 2014

A&E: come spendere una nottata in modo alternativo

   Dedico questo post a tutti gli italiani, sempre meno di giorno in giorno per fortuna, che credono "che all'estero tutto funzioni meglio". Ora che mi accingo a scrivere sono reduce da una nottata in bianco, con giusto un po' di sonno rubacchiato su una poltrona neanche tanto comoda. Occhio, quindi, che sono di pessimo umore.
   A&E sta per Accidents & Emergencies, ma potrebbe tranquillamente stare per Art & Entertaiment. E' l'equivalente del Pronto Soccorso in Italia. A parole, per lo meno.
   Stanotte ho avuto la mia terza esperienza in un A&E: le prime due per me stesso, questa volta per la "piccola" che si è sentita male. La prima volta in Tooting fu a seguito di una caduta dalle scale ed una brutta storta alla caviglia che mi tenne in casa per un mese: quattro ore di attesa dietro a persone che per lo più non necessitavano il pronto soccorso e che alla fine se ne andavano a casa allegre e zompettanti anche se avevano passato tutto il tempo di attesa su una sedia a rotelle. La seconda volta fu a Newham, non tanto tempo fa, nel tentativo (riuscito) di ottenere degli antibiotici per curare una brutta bronchite. Altre quattro ore di attesa in compagnia di persone che per lo più non parevano stare poi così male, dato che andavano in su e giù senza fermarsi un minuto, ed infermiere apatiche e insensibili che parlavano un inglese piccione, storpiando tutti i nomi che chiamavano per poi fissare senza capire la persona che ripeteva loro il proprio nome con la giusta pronuncia. Stanotte è andata peggio.
   Tornata a casa da lavoro, improvvisamente, alla piccola cominciano a bruciare gli occhi, come se li avesse pieni di sabbia. Nelle ore successive la cosa peggiora, al punto che a mezzanotte chiamiamo un minicab e ci facciamo portare al pronto soccorso. A questo punto la piccola già non riesce a tenere gli occhi aperti ed ha seri problemi di equilibrio. Alla reception, nonostante ci siano due impiegate ed una sola persona davanti a noi, dobbiamo aspettare 10 minuti buoni. La prima visita, con un infermiere, avviene dopo brevissimo tempo, per lo meno, ma è solo il prodromo della sala d'aspetto, che condividiamo con un ragazzone inglese dalla parlata scurrile che si è storto una caviglia giocando a calcio, una coppia di amici sudamericani uno dei quali pure si è storto una caviglia, un polacco con la moglie incinta che non ha una bella cera, più tutta una vagonata di gente che cammina, ride e scherza e da fastidio. Bambini compresi. Il tipo di persone che arrivano al pronto soccorso guidate dal non riuscire ad ottenere un appuntamento dal medico di base, fenomeno in crescita di cui si discute su tutti i giornali inglesi. Sugli schermi appesi al muro si staglia la scritta: WAITING TIME 4H +. Ci si preannuncia una lunga attesa.
   Il tempo passa, il dolore della piccola aumenta, al punto da cominciare a piangere. Vado in cerca di un infermiere e chiedo un painkiller, che ci viene portato con molta calma. Nel frattempo gli altri pazienti vengono rimbalzati da un infermiere all'altro a causa di una chiara penuria di dottori, chiamati ora in una direzione ora in un'altra da un inserviente, senza preoccuparsi se si tratta della donna incinta o del ragazzone che non riesce a camminare. Se la devono sbrigare da soli. Mentre gli stranieri sopportano in silenzio, l'inglese bestemmia (quando il personale non lo può sentire, ovviamente). Perché poi la sala d'aspetto è in un punto dove nessuno del personale e soprattutto nessun infermiere ti vede, e se stramazzi al suolo fra le poltroncine ti ritrova l'omino delle pulizie. Che probabilmente ti spazza via col suo scopettone col resto dei bicchieri del caffè e delle bottigliette di plastica abbandonate sul pavimento. Insomma, se ti senti veramente male mentre sei in sala d'aspetto non c'è nessuno che possa notarlo, a meno che non sia un altro paziente il quale si prenda la briga di cercare aiuto. Ma mentre sei in coda che aspetti, non molti hanno voglia di far passare qualcun altro avanti. E se tu sei prima di loro e muori, tanto di guadagnato, no?
   Trascorre il tempo, sono circa le 3:30 AM quando, in una waiting room ormai deserta, c'è il collasso. Lascio la piccola in stato di semi incoscienza sulla poltroncina e vado nella sala visite (un salone con un'isola centrale dove hanno tutti i computer, stampanti e altri schermi, circondata da piccole stanze coi lettini: a Totting le "stanze" erano create con tende mobili per dividere i lettini uno dall'altro). Spiego la situazione e mi dicono di andarla a prendere e farla sedere su una poltroncina che mi indicano. Certo. La piccola, per fortuna, riesce a camminare... camminare, che parola grossa in questo caso. Deambula, sostenuta da me e appoggiandosi al muro: non risponde al suo nome e non si ricorderà niente del percorso dalla sala d'aspetto alla sala visite (tutt'altro che breve). Il tempo di farla collassare sulla poltroncina che da una delle scrivanie mi viene detto di riportarla indietro in una delle stanze con lettino. Faccio notare che non riesce a camminare, e la donna mi risponde in modo sgarbato che ha camminato fin lì. Non c'è da stupirsi se in UK le aggressioni al personale ospedaliero aumentano di anno in anno. Hanno pure messo i manifesti: "Siamo qui per aiutarti" campeggia sopra la foto di un gruppo rappresentativo del personale, con sotto scritto: "Non aggredirci". Nella foto, sullo sfondo, alcuni poliziotti implicano la minaccia di conseguenze e rappresaglie. Beh, non state aiutando per niente e chi vi aggredisce, sebbene io non lo farei per quanto vicino mi ci stiate portando, non avrà mai molto del mio biasimo.
   L'attesa continua, ma per lo meno adesso la piccola è stesa su un lettino col mio fazzoletto bagnato sugli occhi. Dopo non so quanto tempo viene un'altra infermiera, ci dice che la viene a visitare ma poi sparisce. A questo punto la piccola è completamente incosciente e delira. Non troppo, per fortuna. Vado a cercare l'infermiera, le dico: "She's getting worse. Is incouscious now." "Incoscious?!" mi ripete a papagallo la diversamente colorata con tono di scherno. Chiaramente è abituata con quelli della sua stessa razza, che recitano una perenne sceneggiata che neanche i napoletani (non me ne vogliano i partenopei) son capaci di eguagliare (c'è poco da fare, quelli abbronzati son più bravi di voi).
   La visita fatta al momento dell'arrivo si ripete: rilevamento della pressione, del battito cardiaco, stesse domande, stesse risposte non ascoltate. Dieci minuti dopo arriva il primo dottore per una visita veloce e la decisione di controllare approfonditamente il fondo degli occhi ed il retro della testa. Il tutto da delegare ad un oculista. E qui riusciamo entrambi a prendere un po' di sonno,anche se leggero e spesso interrotto e ben poco ristoratore. Ci riusciamo perché l'oculista arriva verso le 6, quando entra in servizio.
    L'oculista è una ragazzotto paffuto e culone (ecco la spiegazione del perché i calzoni della divisa medica sono così larghi) che parla un inglese indianese non proprio semplice da decifrare. Il neo-laureato esegue la primary survey, la stessa cosa che abbiamo già spiegato ai due infermieri nelle due precedenti occasioni, ma per lo meno questa volta parliamo con qualcuno che ha un'idea, sebbene minima, di ciò di cui si parla e che pone anche domande a tema. Bene, dice in conclusione, vado a prendere il necessario per fare un controllo del fondo dell'occhio. Praticamente si tratta di mettere un collirio per indurre la midriasi, ovvero la dilatazione della pupilla, per poi guardarci dentro con l'ausilio di una luce. Sparisce per 10 minuti o più, quindi ritorna a mani vuote. Ci ho ripensato, il controllo del fondo dell'occhio potrebbe peggiorare i sintomi, e qui non siamo attrezzati per controlli più approfonditi. L'unica cosa che posso fare è suggerirvi di recarvi in una clinica specializzata.
...
(i lettori assidui sanno che i puntini di sospensione stanno a rappresentare le mie imprecazioni silenti)
   Cioè, se si tratta di una battuta io mica l'ho capita. Il dottorino è dispiaciuto (non che appaia particolarmente affranto, e quindi ripeto che comprendo quelle persone che danno poi loro un aspetto infranto con un bel pugno in faccia). E' possibile per lo meno prenotare una visita? Così ci evitiamo altre "sei ore" di attesa, dico io. Devo verificare. Verifico anche dove sia la clinica specializzata più vicina. Preparo anche i paper work (che sarebbero i documenti per la dismissione). E il dottorino sparisce di nuovo.
   Mentre siamo soli la piccola mi dice: "Dovrei presentarmi come laureata in medicina. Almeno eviterebbero di raccontarmi stronzate. Il dilatamento della pupilla non peggiorerebbe i sintomi. E' che tanto non possono fare niente di più quindi hanno deciso di risparmiare tempo. E' come non accertare se hai avuto un attacco di cuore perché tanto non hai la sala di rianimazione."
    Il dottorino ritorna dopo un bel po', coi suoi fottuti paper work che ricapitolano tutto ciò che hanno fatto e diagnosticato e il nome della più vicina clinica oculistica, che sta dalle parti Holborn, cioè non proprio dietro l'angolo. Presso la quale non è possibile prenotare, ma tanto hanno un walk-in aperto 24 ore su 24. Cioè ti presenti, gli spieghi il tuo problema e se loro ritengono che tu realmente necessiti di controlli ti visitano. Tempo di attesa al walk-in: sconosciuto. Non so se afferrate l'assurdità di un walk-in in una clinica specializzata: in una clinica specializzata ci vai perché un medico generico, o comunque uno specialista allocato in una struttura non sufficientemente attrezzata per procedere ha preventivamente individuato nello "specifico" quale problema hai. Non vai di testa tua in una clinica specializzata perché ti brucia un occhio a causa di qualcosa che richiede al massimo un poco di liquido eye wash.
    Ma ricapitoliamo anche noi ciò che hanno fatto per aiutarci: hanno dato un painkiller alla piccola, l'hanno fatta riposare su un lettino sotto l'aria condizionata fredda, poi ci hanno dismesso con delle scuse e il nome di un'altra cinica. Questo lo chiamano aiutare. Come possono aiutare in una struttura di primo soccorso che non è attrezzata neanche per il primo intervento in uno o più campi? E non è che il reparto oftalmico sia proprio senza pazienti: le ferite agli occhi rappresentano circa il 30% degli incidenti che si presentano agli A&E, e gli avvocati ci stanno facendo un sacco di soldi sopra. Ma con quale coraggio Cameron se ne è venuto fuori accusando i migranti europei di venire qui per benefit tourism? Ma solo un malato di mente, un totale demente verrebbe da uno qualsiasi degli altri paesi europei, dove i medici sono di gran lunga meglio qualificati e preparati, a farsi curare qui. In questi ospedali ci vai solo se proprio non puoi farne a meno, perché nel 70% dei casi non ti aiutano e ti dismettono consigliandoti di prendere del paracetamolo, l'ultima frontiera dei placebo, la panacea per tutti i mali dal raffreddore alla cecità e alle fibrillazioni cardiache. Non te lo rifilano anche per l'impotenza maschile perché la pillola è bianca e tutti sanno che la pillola giusta è blu. Ci sono anche gialle e rosa, certo, ma sono meno famose.
   Quando ce ne andiamo la waiting room è nuovamente affollata, sicuramente per lo più di persone che potevano fare a meno di recarvisi, ma quando non riesci a vedere il tuo medico di base o, nel caso tu ci riesca, vieni ignorato per tutta la durata della visita (fittizia) e il medico non ti guarda mai neppure una volta in faccia, è logico che vai in cerca di rassicurazioni da un'altra parte. Solo che la sfiducia cresce di volta in volta. Distesa, rattrappita su una fila di poltroncine, c'è una donna in vestaglia, che piange e si lamenta. Ignorata da tutti. Forse è una di quelle che "recitano", che hanno fatto indigestione di olio di palma e si lamentano per un mal di pancia come se fossero state sventrate con un coltello seghettato. E forse no. Forse è arrivata in quelle condizioni, forse è peggiorata nell'attesa (da quanto è lì?), ma le waiting room sono posizionate (volutamente, nella mia opinione) per ridurre al massimo il contatto fra pazienti e personale. E la polizia deve stazionare permanentemente negli ospedali.

Friday, 4 April 2014

Vorrei essere una figone lieta, mi aiuterai.

Che Libero.it fosse un pessimo account si sapeva. I filtri che le biblioteche londinesi hanno per impedire l'accesso ad alcuni siti lo scambiano regolarmente per un sito osceno e lo bloccano, infatti. Ma che email come questa neanche finiscano nello spam mi pare eccessivo. Ne ho trovate quattro nella casella, quest'oggi, e la seguente era la più esilarante.

Buongiorno!
Spero che stai bene, tesoruccio! Сom’è il tuo umore? 
Spero che la mia e-mail non ti dà fastidio. Ho molta aspirazione di incontrarti. 
Io mi chiamo Mashenka. Sono una calda gnocca, adolescente e ambiziosa. Non ho brutte.
Voglio incontrare uno ragazzo senza complessi, quello che vuole realmente riconoscere una nuova passione e che sogna di gioire l’affettuosità e la vicinanza. Chissà questa persona sei tu? 
Ho 25 anni di eta, ma sto cercando un ragazzo conoscitore o con il quale posso essere in grado di essere gradito dei miei sogni e brame. Cerco di incontrare un maschio chi adora fare sesso, che può convertire le sue fantasie in verità. Mi sei in grado di aiutare a effettuare fantasie di sesso?
Potremo di scambiare lettere, scambiare immagini, pure erotizzanti... Fammi sapere di più su di te e mi spedisci le tue foto.
Ti domando di rispondere alla mia e-mail.
Non vedo l'ora a vedere il tuo riscontro! Ti mando un bacio dolce, gentile ed erotico! Ti porgo i miei migliori saluti.
La tua tenera Mashenka !:)


Ti sono in grado di aiutare a effettuare fantasie di sesso? E che ne so?! Di sicuro no finché te ne stai in Russia, mia cara "calda gnocca".
Vabbe', Libero.it è più osceno di Mashenka che a 25 anni si considera ancora adolescente. La tenerona mi ha mandato pure una foto.


Thursday, 3 April 2014

Samuel e Cedric



Il mio nuovo corso lavorativo con la ditta presso cui sono assunto è cominciato con un periodo in cui sono stato letteralmente “parcheggiato” al Jubilee Garden, quel giardinetto pieno di bambini chiassosi, turisti che spargono spazzatura ovunque, artisti di strada che si esibiscono sul lungo-Thames e scippatori che girano su bici in fibra di carbonio adocchiando le borse della gente. Il tutto all’ombra di quella che è la ruota panoramica chiamata London Eye, una trappola per turisti che offre “the most boring forthy minutes of your life” alla modica cifra di 25 sterline e di una lunga attesa in coda prima di poter salire.
Il lavoro al Jubilee Garden è quanto meno stressante: abbiamo a che fare con la maleducazione della gente, che sporca, non rispetta le regole e distrugge il lavoro che facciamo quasi in tempo reale. Turisti o locals, nessuna categoria fa eccezione. Ma, ovviamente, là dove passa molta gente, c’è anche la possibilità di fare incontri davvero interessanti. Questa settimana ne ho fatti due, e molto particolari.
Il primo incontro è stato Samuel. Samuel, un ivoriano che ha studiato letteratura moderna, lavora al Jubilee Garden per la compagnia Veolia, che ha rilevato dalla mia ditta l’appalto per la pulizia del giardino. Insomma, ora è compito loro raccogliere i quintali di spazzatura, pulire i vetri delle bottiglie rotte dagli idioti, staccare i chewing gum dai viali, rimuovere il vomito e talvolta gli escrementi prodotti dai festaioli della movida notturna londinese che, ubriachi fradici, vengono a spendere le ore piccole nel giardino. Noi ci occupiamo solo della parte strettamente orticolturale, adesso.
Dovendo lavorare nello stesso spazio con un’altra persona, cerco di intavolare una relazione amichevole da subito, e lo scorso lunedì mattina, alle ore 6 quando entrambi iniziamo a lavorare, lo saluto e gli pongo alcune domande. Quelle di rito: come ti trovi a lavorare qui (uno schifo), vivi lontano (a Lewisham – sì, abbastanza lontano: non è facile arrivare per le 6 am), sei assunto direttamente o lavori per un’agenzia (agenzia, ovviamente: ormai la maggior parte dei lavori in UK sono tramite agenzie o a tempo determinato, così i sindacati distrutti dalla Thatcher non hanno speranza di riformarsi). Circa mezz’ora dopo, quando arriva il mio collega responsabile per il Jubilee Garden, nel corso di una nuova conversazione, viene fuori che sono italiano. Al che Samuel comincia a parlarmi in un ottimo italiano. Costretto dalla crisi, è partito per Londra dopo 22 anni vissuti in Italia, fra Napoli, Treviso e Padova. Portando con sé dell’Italia un ricordo splendido. E non solo. Nel momento in cui si arriva all’inevitabile fase in cui ci si racconta come ci troviamo a Londra, Samuel se ne esce fuori con: -No, ogni volta che parlo con altri italiani che sono venuti qui come me, mi dicono sempre che si trovano male. Non è come credevamo.
-No-, ribatto io. –Non è come ci avevano detto. Che è una cosa diversa.
-Hai ragione-, dice annuendo, con la comprensione che gli compare negli occhi. –Non è come ci avevano detto.
E andando avanti a parlare arrivo a spiegare le ragioni del perché io ho lasciato l’Italia.
-Io non sono scappato dalla crisi-, gli dico. –Sono scappato dalla mentalità degli italiani.
-Nooo-, mi fa scuotendo la testa, con l’espressione di un cane bastonato. –Non cominciare ad offendermi di primo mattino.
A quel punto ho realizzato: Samuel si sente italiano.

Soltanto il giorno dopo, faccio il secondo incontro: Cedric. Nel pomeriggio vengo approcciato da una coppia di ragazzi, uno cinese e l’altro chiaramente europeo, che mi chiedono, per voce del cinese, dove possano trovare un supermercato o un negozio comunque economico per comprare qualcosa da bere. Do loro le indicazioni opportune, con tre opzioni possibili, ed ho appena finito di spiegare dove possono andare quando l’europeo mi chiede da dove vengono.
-Italy-, rispondo, e indovinate. Inizia a parlarmi in italiano. Nato e cresciuto in Venezuela in una famiglia italiana, Cedric sta studiando inglese a Dublino ed era a Londra in visita, tifa Juventus, studia per diventare ufficiale di flotta mercantile, ha vissuto per un breve periodo nel Lazio con la madre prima di tornare a Caracas ed è legato indissolubilmente alle tradizioni italiane che il nonno ha tramandato nella famiglia. Cedric si sente italiano.

Cedric non può essere definito italiano al 100%, e ancor meno Samuel. In fondo in fondo sono degli stranieri, no? Ma chi, cosa è uno straniero? E’ uno straniero una persona che ritiene l’Italia la sua terra? E’ uno straniero una persona che sente le tradizioni italiane come proprie? Ma forse faremmo meglio a chiederci: chi, cosa è un italiano?
Gli italiani, in genere, non si sentono italiani. Ci definiamo fiorentini, siciliani, milanesi, abruzzesi. Diventiamo italiani solo quando siamo all’estero. Se non apparteniamo a quella categoria indegna di chi si vergogna di essere italiano. Là dove gli italiani per nascita e territorio non si sentono italiani, o addirittura si vergognano di esserlo, gli “stranieri”, oriundi o italiani per adozione, ivoriani, venezuelani o rumeni, si sentono molto più italiani di noi. Quando nel 1861 Vittorio Emanuele II proclamò la nascita del Regno d’Italia, Camillo Benso Conte di Cavour disse: “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani.” Se fosse ancora vivo, ci starebbe tutt’ora lavorando.
Chissà, forse sarà proprio grazie a questi “italiani d’importazione”, stranieri che hanno trovato accoglienza in qualche modo e si sono legati all’Italia, che riusciremo ad andare oltre alle divisioni, a mettere da parte le forme più stupide e perniciose di campanilismo, e a trovare quel filo che unisce, nonostante tutte le differenze delle macro e micro regioni che compongono la penisola, il nord fino al sud e alle isole lungo la dorsale appenninica. Un filo rosso fatto di modi di sentire, di cultura e storia, del modo di amare e anche di odiare, di paure ed egoismi, di folklore ed amore per il buon cibo e del desiderio di sorseggiare un bicchiere di vino con gli amici in una sera di estate, dello “schiocco del sole nel campo di grano” e della canicola sulla spiaggia d’agosto. Tutte quelle cose che ci sembrano così diverse da regione a regione quando siamo a casa nostra, ma che ci sembrano così uguali a noi che, volenti o nolenti, viviamo a Londra.