Si, in quei luoghi l'erba era piu' verde, la luce acquisiva una caratteristica particolare...c'erano le sere d'inizio estate, spese sulla panchina fuori della cucina, una birra in mano, il mio grosso cane vicino ai piedi, quando il sole gia' era calato sotto la linea degli alberi, ed insetti ed effimere si levavano a nugoli dall'erba del crinale, alta e grassa; c'erano stormi di uccelli, che al crepuscolo si accomodavano sugli alberi vicino la casa chiamandosi l'un l'altro chiassosamente: mia moglie li chiamava "il condominio"; e c'erano le umide sere di autunno, appena prima delle gelate e della fine dei funghi e l'arrivo delle castagne: il fumo del fuoco spargeva tutt' intorno a casa l'odore della legna di abete, il profumo della resina bruciata, e il bimbo era ancora a giro, dopo una giornata passata a tormentare i rospi (non ne ha mai ucciso uno, per carita', ma dubito che ai poveretti sia mai capitato di essere manipolati in quel modo! Credo che il tasso di suicidi fra i rospi di Montepiano sia aumentato vertiginosamente in quel periodo!) Ed io uscivo sulla porta della cucina, nel buio di un cielo cosi' pieno di stelle che ti dimenticavi di te stesso guardandole. Chiamavo mio figlio a gran voce, perche' era pronta la cena, e mi rispondevano gli "uccellacci", gufi e civette appollaiati sugli alberi piu' prossimi alla casa. E c'erano i rientri a casa d'inverno, dopo il lavoro, guidando per le strade di montagna, ai cui bordi la neve, accumulata dagli spalaneve, arrivava ad un metro. E la luna piena, bianca ed enorme, stagliava le forme nere degli alberi spogli e mandava cosi' tanta luce, luce che si rifletteva cosi' intensamente nella neve bianca, che nonostante fosse "notte" potevo guidare a fari spenti. E la terra indurita dal gelo, il profumo delle foglie e del terriccio nel bosco, quello dell'erba estiva su cui mi distendevo, la corsa veloce di un cinghiale o un capriolo, i daini maestosi che ti osservavano passare da bordo strada, l'affrettarsi goffo e "sculettante" di un grosso istrice; la tana del tasso e le orme della volpe; i falchi che planavano in alti cerchi e scomparivano dietro il monte e un barbagianni dai "grandi occhi", bianco e quasi etereo, che come un fantasma si lasciava scivolare da un ramo per venirmi incontro mentre guidavo nel bosco di notte.
C'era magia in quei luoghi. Lo spirito del Dio viveva in quei luoghi e mi parlava, mi sussurrava all'orecchio e metteva pace nel mio animo. Mi parlava attraverso tutte le cose che ho descritto e molte altre. In questo momento comprendo come debbano essersi sentiti Adamo ed Eva, allontanati dal Giardino dell'Eden. Sicuramente hanno trovato molte cose belle nel mondo in cui hanno dovuto vivere, ma non era il "loro" luogo. Erano stranieri in terra straniera, non piu' in pace con se stessi, bramosi di qualcosa in piu' di cio' che avevano, non piu' soddisfatti e spinti da un demone alla ricerca di qualcosa che in realta' non gli serviva.
Forse l'Eden ce lo portiamo dentro, o forse, come qualcuno ha gia' detto, ci portiamo dentro il nostro inferno personale. L' insoddisfazione diventa parte di noi, compenetra le nostre cellule. Credo che quei luoghi mi siano ormai preclusi. Non da un angelo con una spada fiammeggiante, ma semplicemente da un sistema che non lascia possibilita' di riscatto a chi e' stato sconfitto, che vorrebbe per questi una condanna come quella di Sisifo. Ma se Sisifo era astuto, in suo figlio Ulisse all'astuzia ed arguzia si sommano la saggezza e la tenacia; e se Sisifo nella sua "spensieratezza" riesce ad incatenare Thanatos e poi per un certo tempo a sfuggire agli inferi, prima di esservi definitivamente rinchiuso quando il suo macigno gia' lo aspettava, Ulisse, con caparbia ostinatezza, attraverso privazioni e rinunce, riesce infine a prevalere sugli dei maligni e volubili, raggiungendo la meta che si era prefissato.
La mia Itaca mi aspetta in qualche mare sperduto, ne sono certo.
La mia Itaca mi aspetta in qualche mare sperduto, ne sono certo.
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