Saturday 31 March 2018

Alessia



 E' strano, e difficile, scrivere della sensazione che mi ha preso e tormenta dopo l'aver realizzato di aver buttato via gli ultimi sette anni della mia vita. Quando venni a Londra la prima volta non avevo niente se non le mie capacità e l'entusiamo, la voglia di fare e costruire. Insieme alla rabbia che covava pronta a scatenarsi, rabbia per quarant'anni di vita che mi erano stati sottratti, rubati. Adesso, invece, riparto da dove partii sette anni fa, nuovamente senza niente, e privo pure dell'entusiasmo. Quello, insieme a tante altre cose, l'avevo messo nella mia relazione con Alessia, e quando la relazione è finita tutto ciò che avevo messo in essa è finito con essa.
Aiuterebbe molto dare la colpa ad Alessia per ciò che mi è successo, ma lei non mi aveva mai fatto alcuna promessa e, sebbene fin dall'inizio avessi saputo che se ne sarebbe andata, io ho deciso di andare avanti e mettere tutto me stesso in quella relazione. Non avrei saputo in che altro modo farlo, comunque, e il danno che ne ho ricevuto, sebbene dovuto ad Alessia, non le è imputabile.
Fu una relazione particolare, in cui io misi tutto ciò che potevo, lei mise ciò che volle mettere. Fu una relazione in cui anche se avessi potuto mettere molto di più, sarebbe stato inutile. Non mi fece mai parte delle sue amicizie, non mi presentò mai uno dei suoi colleghi dell'università, parlò di me ai suoi genitori e me li fece conoscere solo quando non poté più evitarlo. Per il resto mi si dette con intensità, ma tutto ciò che riuscì a tenere per sé non me lo svelò, né mi dette accesso a tanti luoghi nascosti e dimenticati del suo animo. Fu come aggirarmi sotto le mura di una città silenziosa, le cui porte erano sbarrate; tutto intorno la desolazione di rapporti umani fittizi, campi coltivati i cui raccolti sono marciti sotto la pioggia. Quando infine riuscii a scalarne le mura e a godere della luce e calore delle sue vie, trovai la fortezza al suo centro sbarratami e mai riuscii ad espugnarne le porte. Perché quelle porte sono inespugnabili in ognuno di noi e le si possono varcare solo ce ci lasciano entrare. Alessia non le aprì mai.
Fu una relazione in cui lasciai che le colpe fossero deposte ai miei piedi, una dopo l'altra, perché tanto il non accettarlo non avrebbe cambiato niente . Le pesava che odiassi Londra, quando era stata lei a farmela odiare. Ma a me “Londra non era mai piaciuta.” Le pesava che fossi insoddisfatto, infelice diceva lei, e non si è mai fermata a pensare che la mia insoddisfazione derivasse dall'aver accettato di rimanere a Londra per amor suo, in attesa che lei fosse pronta ad andarsene. Ma poi, anche il fatto di andarcene da Londra divenne qualcosa “di cui non avevamo mai parlato seriamente.” Ed io avevo rinunciato a cercare il lavoro che mi piaceva, a perseguire una carriera mia, costretto a subire le frequentazioni di bassa lega che potevano venire dal mio lavoro, mentre lei viveva una vita parallela a quella insieme a me e popolata delle persone che la facevano stare bene. Mi accusò di non averle mai detto che era bella, ma si era dimenticata del perché avevo smesso di dirglielo, dello sguardo ferito che mi aveva rivolto una notte credendo che le mie parole non rispecchiassero ciò che veramente credevo.
Fu una relazione in cui mi sentii rinfacciare spesso il mio precedente matrimonio, la consapevolezza e tristezza di aver perso tutto ciò che avevo costruito e di cui avevo bisogno. Ma Alessia non fu mai disposta a riempire quel vuoto, preferì accusarmi di rimpiangere mia moglie e di farla sentire l' altra. Quando in realtà lei aveva deciso di essere l'altra, e di quando le chiesi di sposarmi sono certo non abbia memoria. Anzi, sono certo che neppure abbia capito che lielo stavo chiedendo. Così come sono certo non abbia mai pensato a quanto male possa avermi fatto il vederla piangere, non una ma più volte, per il suo ex, un uomo che l'aveva tradita e picchiata. Mi chiedo se abbia mai pianto per me.
Fu una relazione che finì senza che la verità fosse mai detta, senza che Alessia ammettesse che non ci aveva mai provato veramente, che non aveva mai avuto intenzione di rimanere con me. Fu una relazione che finì per un'offerta di lavoro che la pose davanti alla scelta fra la carriera e me, il motivo per cui sapevo che mi avrebbe lasciato: non era disposta a fare tale rinuncia per me. Essere barattato in questo modo fa male, ma ero preparato a ciò. Scoprire piano piano che la nostra relazione sarebbe potuta andare avanti nonostante questo lavoro, che il tutto fu solo una scusa per liberarsi di un legame che fino ad allora non era riuscita a spezzare, quello mi ha distrutto.
Fu una relazione in cui tante parole sono rimaste in sospeso, e che io accettai rimanessero tali per facilitarle la fuga. Del resto, in una relazione si deve essere pronti a fare delle rinunce, ma l'unica cosa a cui io potevo realmente rinunciare era Alessia, perché di tutto il resto non mi importava, e quindi lasciai che se ne andasse. E feci del mio meglio perché ciò non le pesasse, non so con quali risultati. Ma ora tutte quelle parole non dette cominciano a pesarmi. Quelle parole non pronunciate mi hanno portato a muovermi senza uno scopo, a non costruire niente, a consumare ciò che mettevo da parte, a non provare più gusto in niente e nessuno, a costruirmi il deserto intorno. Ed ora, ora che è chiaro che io sono solo stato un intermezzo per lei, ad anni di distanza dall'ultima volta che ci siamo visti, e che quelle parole non possono più farle male, credo sia tempo che quelle parole vengano infine pronunciate.

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