Tuesday 15 September 2015

Istruzioni: non ti agitare troppo prima dell'uso

Siccome le visite a questo blog sono ormai vicine alla media di 2000 visualizzazioni giornaliere, penso sia tempo di fornire qualche inutile istruzione per l'uso di questo stesso blog. A dire il vero lo avevo gia' fatto tempo fa, a completo beneficio di una singola persona che amava leggermi ma che puntualmente non mi capiva. Sperando, per il suo bene e la mia tranquillita', che tale persona abbia infine smesso di venire su questo blog, ma dubitando della sua saggezza in questo caso a causa di alcuni commenti caustici rivoltimi in un paio di messaggi scritti con la chiara ma vana intenzione di ferirmi che mi ha inviato in tempi abbastanza recenti, mi rivolgo, questa volta, all'intera platea dei miei lettori. O meglio, a quella parte, che e' la maggioranza, la quale non mi conosce di persona. E il fatto che non mi conosciate di persona e' cio' che mi ha indotto ad inserire in apertura l'aggettivo "inutile". Chi mi conosce tende ad interpretare cio' che scrivo attraverso la loro personale esperienza, attraverso la lente fornita loro dalla minima conoscenza della mia persona. Il che li porta, non sempre ma abbastanza spesso, a misinterpretare i miei scritti. Nessuno dovrebbe chiedere il nome del narratore: le parole della storia sono cio' che deve essere ricordato, non chi le pronuncia. Ma questo problema, voi che non mi conoscete, non lo avete.
Quindi, veniamo a noi. E a come usare questo blog. Come i piu' perspicaci avranno gia' capito, questo e' un blog introspettivo. I miei sentimenti, i miei pensieri e le mie paure, il mondo e suoi abitanti visti attraverso i miei occhi e sperimentati attraverso gli altri mie sensi, i miei desideri, i miei umori e le mie debolezze, i miei scarsi successi e i miei continui fallimenti: tutto questo compone il nucleo del mio raccontare. Di tanto in tanto sconfino in altri temi, ma raramente sono oggettivo. Ed ovviamente, nello scrivere, giudico. Cerco di farlo giustamente, cioe' dando ad ognuno cio' che gli e' dovuto, ma sempre un giudizio esprimo. Esattamente come fa ognuno di voi, ogni giorno, con ogni suo atto e ogni sua parola. Anche quando credete di non giudicare, in realta' lo fate: quanto meno giudicate voi stessi, ritenendovi incapaci di esprimere un giudizio. Se veramente non giudicate mai siete dei mostri, siete delle creature insensibili al dolore altrui e che per codardia rifiutano di schierarsi. E a questo punto vi prego di cercare su un dizionario, se gia' non la conoscete, la differenza fra giudicare e condannare
Leggendomi, tenete sempre a mente che ho perso il centro del mio universo, che non c'e' piu' una donna che sia il mio punto di riferimento stabile, ma ce n'e' una verso cui ritengo di non avere adempiuto tutto il mio dovere, un'altra che e' diventata il metro con cui misuro le persone, e poi molte altre di passaggio, passate e presenti, reali ed immaginarie. Insomma, non fate confusione fra le donne della mia vita cosi' come l'hanno fatta loro, le mie donne, tanto per voi importa poco o niente a quale donna io mi stia riferendo.
Un' altra cosa da considerare attentamente quando mi leggete, e' che a me piace tanto scrivere e che lo scrivere ha per me un effetto catartico e che mi aiuta a schiarire le idee. Pero': Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra e' prudente (Proverbi 10:19). Io dovrei frenare la penna, o meglio le dita che battono sulla tastiera del computer, perche' insieme ad alcuni pezzi di reale valore letterario (perdonatemi la totale mancanza di umilta') produco anche una caterva di scritti mediocri. E nella moltitudine delle parole non mancano le idiozie. 
Cos'altro aggiungere? Attenti alla dicotomia. Che poi e' cio' che frega i lettori che mi conoscono di persona. Io scrivo come Bisanzio, e forse nel mio mondo tutt'ora immaginario e' proprio cosi' che mi chiamo; ma nel mondo in cui voi camminate, e in cui anch'io cammino per la maggior parte del mio tempo, il nome che porto e' un altro. Bisanzio e quell'uomo che porta un altro nome sono sicuramente la stessa persona, ma non si sovrappongono piu' alla perfezione e i tempi della loro vita sono un poco sfasati. C'e' donna di cui conosco solo la voce, che forse mi ha dato il suo vero nome e forse no, che forse mi ha detto veramente dove vive e forse no, ma che mi sta aiutando a capire alcune cose. E questo e' veramente cio' che conta, perche' il nome del narratore e' meno importante della storia che egli narra. Questa donna un giorno mi ha chiesto: "Ma perche' quando parli al telefono sei una persona normale mentre quando scrivi sembri uno psycho?" Ah! Cara mia, forse perche' e' in atto uno sdoppiamento di personalita'. O forse perche' mi diverto a scrivere cose folli. "Non dovresti scrivere in quel modo a chi non ti conosce!" E che divertimento ci sarebbe a farlo con chi mi conosce? Non si spaventerebbero. Beh, le parole scritte mi vengono un po' diverse da quelle parlate. Del resto, quando si scrive, si ha tutto il tempo di affilarle alla perfezione perche' possano penetrare piu' a fondo.
Questa stessa donna mi ha detto che, sebbene cio' che scrivo sia triste e tenebroso, le piace comunque leggerlo perche' la fa riflettere, perche' trova qualcosa di se stessa in cio' che racconto. E in fondo non e' che siamo poi cosi' diversi, voi ed io: ci spaventano le stesse cose, abbiamo gli stessi basilari desideri, sanguiniamo se ci tagliano. Io, come un lebbroso, ho pero' perso la capacita' di sentire dolore quando qualcuno mi taglia. Ed allora non ho remore nel tagliarmi da solo e piu' a fondo, per poter studiare i vari strati della mia carne e del fluire del sangue che si versa, e venire qui a raccontarvelo, a voi a cui, forse, il dolore non permette di vedere chiaramente, o che, forse, non avete la capacita', quella capacita' che spesso manca pure a me, di mettere in parole chiare quei sentimenti che sentite nel petto o che vi stringono allo stomaco. E poco mi importa se cio' vi porta a giudicarmi (appunto, giudicarmi) deprimente e negativo. Non siete parte di quel ristretto gruppo il cui giudizio mi importa. Pero' non riesco a capire perche' riteniate mormali, spesso arrivando ad esaltare, ossessioni anche distruttive, mentre non possiate accettare questo mio desiderio di studiare la parte triste e dolorosa dell'animo umano. Perdersi nella passione per il proprio lavoro va bene; dedicarsi anima e corpo allo studio o alla ricerca o allo sport e' accettabile. Questo mio attaccamento a cio' che striscia e zampetta nel terriccio umido del sottobosco della nostra vita, invece, alla fin fine e' deprecabile.

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