Thursday 20 December 2012

LA MASCHERA CIECA



La notte aveva portato la neve. Poca, giusto una spolverata visibile in strisce e chiazze in mezzo all'erba della radura seccata dal gelo. Ma il significato era chiaro: l'inverno era cominciato. Presto la neve sarebbe caduta copiosa, coprendo tutto il paesaggio. Lo Scuro guardò avidamente oltre la radura, là dove, al limite del bosco di abeti, la Casa dei Morti era una forma scura contro lo sfondo più scuro degli alberi. Nervosamente si guardò intorno. Si aggiustò le pelli che lo coprivano, inadeguate alla stagione che stava arrivando. Doveva trovare un riparo per le notti gelide o non avrebbe superato l'inverno. Ne era cosciente.
La Casa dei Morti. Nessuno eccetto lo Sciamano poteva entrarvi e nessuno vi entrava mai. Anche il vecchio Sogni lo faceva raramente. Poteva trovare un altro riparo? Le grotte vicino al fiume non erano sicure. Nessuno lo avrebbe accettato nella propria tenda, non dopo che Denti lo aveva cacciato dalla sua.
Con un brivido di rabbia e paura Scuro ricordò l'accaduto, il suo tentativo di accoppiarsi con la femmina-madre e il rientro improvviso di Denti. Denti non era il suo maschio-padre, quello era morto in caccia, sbranato dall'orso. Dopo il fatto Denti aveva preso la femmina-madre di Scuro nella sua tenda, insieme ai tre figli. Denti decideva per chiunque vivesse nella sua tenda. E quando lo aveva scoperto che cercava di possedere una delle sue femmine lo aveva picchiato e cacciato dalla tenda. Sulla spalla destra portava ancora il segno di un profondo morso che Denti gli aveva dato, una sorta di marchio che il maschio dominante imponeva a chi sconfiggeva.
Digrignando i denti si guardò intorno. Nessuno nelle vicinanze. Aggirando la radura si diresse verso la Casa dei Morti. Lo Scuro non era un cacciatore: troppo giovane, troppo debole. Il suo fisico esile non si era ancora adeguatamente sviluppato per la sua età. Denti non gli dava molto da mangiare.
Però era abile a prendere i pesci con le mani. Stava fermo immobile, nell'acqua bassa, le mani immerse e vicine. Era capace di stare immobile per ore se necessario. Sembrava neanche respirasse. E quando un pesce delle dimensioni adeguate sgusciava fra le sue dita queste si serravano nella sua carne in modo tale che non potesse sfuggirgli. Ma di inverno non poteva stare nell'acqua gelida. Ed anche se avesse potuto farlo senza farsi gelare le mani, i pesci stavano a dormire nell'acqua profonda dove lui non poteva raggiungerli. Nessuno lo avrebbe sfamato per tutto l'inverno nell'attesa della primavera, quando avrebbe potuto riprendere a pescare.
Raggiunto il retro della Casa dei Morti lo Scuro stette in ascolto. Nessuno sarebbe venuto lì, non verso l'imbrunire. Neppure Sogni. Ma la paura era tanta ugualmente. Non credeva a Sogni, non quando minacciava la vendetta dei morti. I morti sono morti, che possono farti? Altrimenti il suo maschio-padre avrebbe impedito che Denti si prendesse la sua femmina. Non lo aveva fatto, perché era morto.
La Casa era costruita con piccoli tronchi d'albero, rami e frasche coperti di fango, a base rettangolare. Altri rami e zolle d'erba formavano il tetto. Non era alta e i muri erano spessi. Nel centro del tetto c'era un'apertura, per lasciare entrare i corvi. Non adatta al suo scopo, lo Scuro ignorò l'apertura nel tetto, ma si concentrò su un punto dove i rami del tetto non erano ben inseriti in quelli della parete. Riuscì ad allargarli sufficientemente per il suo corpo sottile e vi sgusciò in mezzo come una donnola. I capelli neri e stopposi si impigliarono nei rami, ma lui dette uno strattone incurante del dolore. Con un grugnito cadde all'interno e rotolò sul fondo di terra battuta.
Alzando la testa si guardò intorno. In un primo momento non vide niente, poi gli occhi si abituarono alla semioscurità e cominciò a distinguere le forme intorno a lui. Al centro della Casa, proprio sotto l'apertura nel tetto, c'era il catafalco costruito ammassando rocce che poi erano state ricoperte di pelli. Lì sopra venivano deposti i morti. I corvi entravano dall'apertura nel tetto per mangiarne le carni, liberare lo spirito del morto ed accompagnarlo nel Mondo degli Spiriti. E, appese alla parete dietro il catafalco, c'erano le maschere di Sogni. Nell'oscurità crescente non poteva vederle chiaramente, erano solo forme vagamente distinte.
Con una scrollata di spalle lo Scuro raggiunse l'angolo più lontano dall'ingresso e, ignorando i brontolii dello stomaco, si lasciò cadere a terra e si addormentò.

Svegliandosi il mattino dopo, infreddolito e dolorante, si soffermò a guardare le maschere di Sogni. C'era il Corvo, fatta di corteccia nera, che lo Sciamano indossava per i funerali; l'Uomo-Albero, di giunchi intrecciati, per la Festa di Primavera, che per l'occasione veniva ricoperta di tutti i tipi di foglie; la Madre, usata per invocare l'aiuto della Dea-Madre, specialmente al momento del parto; l'Orso, coperta di pelliccia nera, propiziatoria della caccia; il Volto-di-Paglia, fatto di paglia strettamente intrecciata, per propiziare il raccolto; i Falsi-Volti, di fango dipinto di nero, che Sogni indossava quando un membro della tribù affrontava il rito di iniziazione all'età adulta. Infine c'era lo Straniero, il Nemico, lo Sconosciuto. Una sola maschera di legno scavato che racchiudeva in sé molteplici persone. Dipinta di rosso. Priva di fori per gli occhi. Era la maschera che Sogni indossava più di rado. Lo Scuro gliela aveva vista indosso solo due volte, l'anno precedente, la prima per propiziarsi gli Spiriti contro una tribù giunta da nord che aveva invaso il loro territorio di caccia, e la seconda dopo lo scontro, quando sei membri della tribù nemica erano stati catturati. La maschera era priva di occhi, ma lui aveva visto Sogni camminare come se potesse vedere chiaramente. Lo aveva visto impugnare la sua mazza, fatta di una pietra tonda legata in cima ad un bastone di legno d'abete, e avvicinarsi al gruppo dei prigionieri, quattro uomini e due donne troppo vecchie per diventare le mogli di qualcuno dei cacciatori. I prigionieri erano in ginocchio, legati mani e piedi con funi di erbe intrecciate. Lo Scuro li aveva visti arrivare, scortati dai cacciatori vittoriosi, camminando a fatica a piccoli passi a causa delle funi che legavano le loro caviglie. Sogni aveva alzato la mazza per abbatterla sul cranio del primo dei prigionieri. Urla e pianti erano scoppiati fra il gruppo fino a quel momento rassegnato, interrotti uno dopo l'altro da un crack quando la mazza sfondava il cranio di uno di loro. Lo Sciamano li aveva uccisi tutti. Poi l'intera tribù si era gettata sui corpi e li aveva mangiati.
Spavaldo, lo Scuro si avicinò alle maschere. Sembravano fissarlo, con le loro occhiaie vuote e le bocche spalancate. Solo la maschera rossa, quella priva di occhi, la bocca una stretta fessura, sembrava indifferente alla sua presenza. L'unica che non si curava della sua profanazione. Un po' incerto, il ragazzo allungò un braccio e con mano tremante staccò la maschera dalla parete. Quasi la fece cadere, nel farlo, cosa che gli mozzò il respiro. Quando il cuore ebbe smesso di battergli all'impazzata nel petto scarno fece un lungo respiro, chiuse gli occhi e si portò la maschera al volto. In principio, dopo aver riaperto gli occhi, non vide niente, anche se non era così buio come si era aspettato. Poi comprese che la luce filtrava attraverso un gran numero di piccolissimi fori che coprivano tutta la superficie della maschera. Bugiardo! Il pensiero esplose nella sua mente. Sogni é un bugiardo. La maschera non é cieca! Ci mise un po di tempo, ma alla fine riuscì ad abituarsi a guardare attraverso i fori a sufficienza per fare un intero giro intorno al catafalco mortuario. A quel punto, sorridente e soddisfatto, rimise la maschera al suo posto fra le altre. Tutte false, come falso era Sogni. E gli Sciamani prima di lui. Non c'era nessuno Spirito, non c'erano le anime dei morti. Erano solo bugie.
Quel giorno e i seguenti, uscendo e rientrando per la stessa via, allargò il passaggio, mimetizzandolo perché l'apertura non fosse visibile da fuori. La neve ancora tardava, e il ragazzo impiegò il poco tempo rimastogli nel tentativo di fare un po' di provviste. Bacche aspre, le ultime erbe coriacee, un piccolo pesce che riuscì fortuitamente a pescare e che mangiò crudo. Mangiava tutto quello che trovava, pensando di fare come gli orsi, che si preparano all'inverno mangiando tutta l'estate. Vermi e larve, ogni piccola creatura su cui riusciva a mettere le mani. Portò delle bacche nella Casa dei Morti, con l'intenzione di conservarle per quando la neve fosse arrivata, ma rientrando il giorno successivo trovò che i ratti le avevano mangiate tutte. Passata la rabbia, questo gli fece venire in mente che avrebbe potuto usare le bacche come esca per i ratti; così si armò di una pietra rotonda e fece gli agguati ai grossi roditori. Per tre giorni mangiò carne, poi le bestie capirono e non si vecero più vedere.
Nel frattempo la neve era caduta.
Passò i primi due giorni nella Casa, tremando di freddo ma più timoroso del freddo che avrebbe trovato fuori, col cielo completamente grigio di nubi basse ed uniformi che a tratti lasciavano cadere la neve in grossi e fitti fiocchi. La seconda notte, trascorsa in un sonno frammentato e tormentato dai morsi della fame, sognò di qualcuno che gli parlava. Erano parole quasi inintelleggibili, in principio, ma verso l'alba riuscì ad afferrarne il senso. Era una sola frase, ripetuta senza sosta: nella tenda comune ci sono cibo e pelli.
Quando aprì gli occhi, lo sguardo dello Scuro andò istintivamente alla maschera rossa. Perché, chiese a se stesso? Disgustato si alzò in piedi, tremando per il freddo e la fame. Il sogno aveva detto giusto: cibo e pellicce erano custodite nella tenda comune. Raggiunse l'apertura, ma ancor prima di rimuovere le frasce della copertura si rese conto che fuori stava nevicando forte. Era sul punto di tornarsene a giacere nel suo angolo quando sentì nuovamente la voce del sogno.
La neve coprirà le tue tracce.
Attonito si guardò intorno. La voce era così vicina che gli aveva fatto saltare un battito del cuore: aveva creduto ci fosse qualcun altro con lui nella Casa dei Morti. Non c'era nessuno. Ma che la neve avrebbe coperto le sue tracce era vero. Tutti sarebbero stati nelle loro tende, con quella nevicata, nessuno lo avrebbe visto. Non avrebbe avuto occasione migliore.
Poco dopo era fuori, nella neve alta fino al ginocchio, lottando per orizzontarsi nella neve che cadeva fitta. Era come un muro di fronte a lui, che rifletteva una pallida luce che non si capiva da dove potesse provenire, ma sufficiente a malapena a far risaltare la tenebra un metro più avanti. In pochi minuti le pelli che lo vestivano si erano inzuppate d'acqua e aveva preso a gelare. I piedi erano diventati insensibili e spesso inciampava. Cominciò a battere i denti.
Quando ormai credeva di essersi perso nella nevicata e il panico iniziava a fare presa, come gli artigli di una fiera piantati nella carne, si ritrovò in mezzo alle tende. Raggiunse la tenda comune da dietro. Incurante di qualsiasi cosa ne sollevò i lembi, vi si infilò sotto e, trovata una grossa pelliccia, vi buttò dentro tutto quello che fu in grado di trovare al buio. Riavvolse la pelliccia, quindi fece ritorno il più velocemente possibile alla Casa dei Morti.
Nell'entrare cadde letteralmente dentro, semicongelato, al punto da non essere in grado di muovere propriamente le gambe e da non sentirsi più le dita delle mani. Strisciò nel suo angolo, si strappò come poté le pelli fradice di dosso, svolse la pelliccia e vi si arrotolò dentro, iniziando a strofinarsi le estremità.
Il mattino successivo era ancora vivo.

Aveva la febbre ma era vivo. Dentro la pelliccia stava caldo. Il principio di congelamento sofferto gli faceva dolere le dita di mani e piedi, ma il dolore era qualcosa con cui conviveva giornalmente. Si guardò intorno, stordito: il catafalco mortuario era coperto di neve su cui il sole si rifletteva e la luce riflessa illuminava chiaramente le sette maschere. Lo Scuro rimase a fissare la maschera rossa, appesa centralmente rispetto alle altre.
Infine si riscosse dai suoi pensieri e guardò il cibo che aveva rubato. Non c'era molto. Credeva di essere riuscito a prendere di più. Ma c'era della carne essiccata, il che non era male. Presone un pezzo iniziò a masticarlo lentamente.
Ben presto il suo sguardo riprese a rivolgersi sempre più spesso verso la maschera dello Sconosciuto. Di chi era la voce che ho sentito? si chiese.
Non trovò risposta, perciò si mise a dormire. E dormendo la maggior parte del tempo passò i giorni successivi. Razionò il cibo, bevve la neve caduta dentro la Casa. La febbre passò, recuperò le forze ma non l'uso completo delle dita dei piedi, che erano diventate molto scure. Non ci fece caso. Nevicò altre due volte, poi le nubi passarono oltre e il sole prese a splendere su un mondo che, sapeva, era completamente bianco. Il cibo finì.
Non puoi uscire.
La voce fu come un sussurro, la udì proprio mentre stave per indossare le sue vecchie pelli.
-Andrò di notte-, rispose. Non si preoccupava più di sapere a chi appartenesse la voce.
Seguiranno le tue orme nella neve e scopriranno che sei qui dentro.
Il gelo si impossessò del ragazzo.
Devi aspettare che nevichi di nuovo.
Aspettare un'altra nevicata? Poteva non nevicare per settimane!
Risparmia le energie. Dormi.
E così fece lo Scuro. Si buttò nel suo angolo, si avvolse nella pelliccia di orso e dormì.

Dormì per giorni, in letargo come l'animale la cui pelliccia lo avvolgeva. Dormì come il bruco dorme dentro il suo bozzolo. Lo fece fin quando la fame si fece così forte da farsi sentire anche attraverso lo stato di catatonia in cui si era lasciato cadere.
Non riuscì più a dormire in maniera continuata, inconsapevole del tempo che trascorreva. I crampi della fame lo attanagliavano oltre il suo stato di incoscienza. Ma ancora non nevicava. Mangiò i suoi stessi escrementi, seccatisi in un angolo della Casa. Poi gli stati di incoscienza cominciarono a calare su di lui improvvisi, senza che fosse lui a richiamarli. E durante uno di questi periodi di incoscienza nevicò, e lui perse l'occasione di andare in cerca di cibo. Risvegliandosi e rendendosi conto della cosa pianse, le lacrime che gli si congelavano sul viso.
Poi, un giorno, l'alba fu accompagnata da urla e pianti. Lo Scuro si risvegliò, capendo subito che si trattava di pianti funebri. Non per una morte inaspettata.
La vecchia Tre Dita é morta stanotte, disse la voce.
-La porteranno qui!
Sogni sta già venendo qui a prendere il Corvo.
-Mi scoprirà!- Il terrore si impadronì del ragazzo. -Devo uscire!
Ma come pronunciava rocamente le parole comprese che non ne aveva la forza.
Stenditi nell'angolo, copriti con la pelliccia e resta immobile. Sogni non ti vedrà.
E così fece lo Scuro. Coperto dalla pelliccia, immobile come una pietra, quasi senza respirare, rimase ad ascoltare i rumori fatti da Sogni che apriva l'accesso alla Casa, entrava e andava alla parete dove stavano le maschere. Poi i rumori finirono.
Se ne é andato, ma torneranno presto a portare il corpo. Tu rimani immobile sotto la pelliccia, io li distrarrò.
Il tempo passò in uno stillicidio torturante. Lo Scuro temeva di perdere coscienza e di tradirsi con un gemito. E a tratti la sua mente si faceva nera, ma sempre si costringeva a tornare indietro. Infine li sentì arrivare. I pianti rituali si fecero più vicini, l'arrancare della tribù nella neve divenne chiaramente distinguibile, fin quando tutti si arrestarono fuori dell'ingresso. In due, Sogni e qualcuno scelto per l'occasione, un congiunto di Tre Dita, portarono il cadavere dentro la Casa, probabilmente usando una barella di rami intrecciati, e lo adagiarono sul catafalco. E mentre l'aiutante di Sogni si affrettava ad uscire dalla Casa, lo Sciamano prese ad intornare le invocazioni agli Spiriti. Infine il canto tacque, la maschera fu riposta sulla parete e l'accesso della Casa richiuso. La tribù tornò alle tende, i pianti messi da parte.
Se ne sono andati e non torneranno per molto tempo, disse la voce. Puoi uscire.
Lo Scuro fece capolino dalla pelliccia. La vista era appannata, distinse a malapena la forma immobile sul catafalco. Il suo stomaco gorgogliò.
é carne, disse la voce.
Lo Scuro scosse violentemente la testa, provocandosi un capogiro. -No! é un membro della tribù!
Nel silenzio che seguì il ragazzo perse conoscienza. La luce del sole si affievolì, ma lui non se ne accorse. La tenebra riempiva la Casa quando rinvenne. I crampi allo stomaco non gli davano tregua. Si passò la lingua rasposa sulle labbra gonfie.
Anche tu hai mangiato la carne dei prigionieri, disse la voce. Ricordi il sapore del loro sangue?
-Erano stranieri, non erano della tribù.
Non é più la tua tribù.
-Cosa?
Ti hanno cacciato, ti hanno condannato a morte.
Lo Scuro ristette, la mente svuotatasi all'improvviso.
Tu sei la tua tribù.
Quando si rese conto di cosa stava facendo, era strisciato già per metà della distanza che lo divideva dal catafalco. Nel buio, a tentoni, trovò il cadavere, freddo e rigido, e lo addentò. Le gengive si erano ritratte e mordere gli provocò dolore. Sentendo i denti tentennare desistette, ma solo il tempo di trovare una parte più morbida da cui cominciare.
Mangia lentamente, disse la voce sardonica, o vomiterai.

Le temperature si stavano rialzando. Seduto nella sua sua pelliccia d'orso, lo Scuro stava spezzando le ultime ossa di Tre Dita per succhiarne il midollo. Aveva riacquistato peso e forze.
-Allora é vero che tu parli a Sogni.
Mai parlato con Sogni.
-Ah no?- Succhiando da una tibia il giovane guardò di sottecchi la maschera rossa appesa alla parete.
Sogni é un bugiardo. Non crede al potere delle maschere. Non é uno sciamano.
-E perché parli a me?
Tu sei diverso. Tu solo puoi sentirmi.
Lo Scuro gettò via l'osso svuotato, sulle penne di alcuni corvi che avevano provato a reclamare la loro parte di carne.
-La carne é finita.
Là fuori ce n'é altra.
Lo Scuro rivolse uno sguardo corrucciato alla maschera. -Le mandrie sono andate lontano, ormai. E comunque non ho una lancia. E non sono un cacciatore.
Fidati di me e avrai carne in abbondanza.

La maschera sul viso, lo Scuro avanzò completamente nudo nella neve, insensibile alle temperature. Lui non se ne rendeva conto, ma nei mesi passati nella Casa dei Morti il suo fisico aveva subito una trasformazione, come veramente fosse stato un bruco chiuso nel bozzolo. Ora era più alto e il suo corpo si era irrobustito.
Ipnotizzato dal suo stesso respiro all'interno della maschera, il giovane aveva perso coscienza di se stesso. Qualcun altro stava guidando il suo corpo, mentre, insensibile al gelo, procedeva spedito attraverso il paesaggio bianco. Percorse il bosco di conifere, maestosi abeti e picea che svettavano al cielo stretti uno all'altro. Poca neve era riuscita a raggiungere il suolo in questa parte della foresta, formando uno strato spesso non più di una decina di centimetri, incapace di coprire i rami spezzati dal vento o i tronchi delle piante più piccole che avevano perso la competizione per la vita ed erano morte, precipitando poi al suolo fra l'indifferenza silenziosa dei loro simili. Ma lo Scuro procedeva spedito incurante degli ostacoli, calpestando rami appuntiti e rocce, che parevano non avere alcun effetto su di lui, come se camminasse su una superficie totalmente soffice. Piano piano agrifogli, tassi, querce e faggi mescolati ad aceri e frassini si sostituirono alle sempreverdi. In questa parte del bosco, formata di alberi decidui, la neve si era accumulata alta, sommergendo quasi totalmente il sottobosco di rovi, felci e viburni di varie specie. Il suo procedere si fece più lento, ma sempre sostenuto e sicuro.
Guidato dalla coscienza aliena che risiedeva nella maschera, lo Scuro aveva compiuto un lungo giro che lo aveva portato alle spalle del villaggio. Non lontano scorreva il fiume, dove la tribù andava a prendere l'acqua e a lavorare le pelli. In inverno, col fiume ghiacciato, nessuno vi si recava, se non uno dei cacciatori per provare a catturare qualche pesce con la lancia. L'area era comunque considerata sicura, perciò capitava che membri anche giovani della tribù potessero recarvisi da soli.
E così fu quel giorno. Nascosto dietro il tronco di un grande frassino, lo Scuro osservò l'avvicinarsi di uno dei bambini più grandi, avvolto in vesti di pelliccia, che in solitudine si stava recando al fiume. Ma fu lo Sconosciuto che rimase in agguato dietro l'albero, che attese il bambino passasse a fianco d'esso, e che quindi, con mani veloci e sicure, lo afferrò per la gola. Lo Scuro rimase solo ad osservare, distante ed indifferente, quasi, il piccolo corpo che scalciava sollevato da terra, gli occhi pieni di terrore fissi sulla maschera rossa.
Quando il corpo fu infine privo di vita, i due se lo caricarono in spalla e fecero ritorno alla Casa dei Morti.

-Non credi che verranno qua a vedere?
Nessuno si avvicina alla Casa dei Morti senza motivo. Se non troveranno il corpo non verranno qui.
-Potrebbero seguire le mie tracce nel bosco.
Una risata chioccia risuonò dalla maschera. So come nascondere una pista, non avere paura.
Lo Scuro fissò il corpo del bambino. Un'espressione pensierosa gli corrugò il volto.
Non mangi?
-C'é qualcosa di sbagliato...
Non c'é niente di sbagliato nel voler sopravvivere. Mangia. Ti sto aiutando a sopravvivere.
E lo Scuro mangiò.

Il tempo trascorse lento, scandito dalle albe e dai tramonti. Nevicò ancora, soffiò il vento, ci fu il sole. Lo Scuro girava nudo sotto il sole scintillante o nelle notti di tormenta. Era ormai insensibile agli elementi. Solo di notte, quando dormiva, si avvolgeva nella pelliccia d'orso. Ma era più un'abitudine che una necessità. Tornò due volte ancora a rubare dalla tenda comune e nella tribù si sparse la convinzione che uno Spirito fosse adirato con la tribù stessa. Andarono da Sogni e gli chiesero di cacciare lo Spirito, ma lo Sciamano sapeva che non c'era alcuno Spirito. Ma non sapeva che fare, perciò prese tempo e si ritirò in una grotta, per divinare disse.
Non fu più permesso ai bambini di allontanarsi dal villaggio, e per ben tre volte lo Scuro e lo Sconosciuto fecero loro la posta inutilmente. Poi, un giorno, si imbatterono in un cacciatore solitario. Lo Scuro lo conosceva, il suo nome era Occhi Grigi, un compagno di Denti. Non era una preda facile come un bambino, ma c'era molta più carne.
L'uomo girava per il bosco in cerca della traccia di qualche animale, o delle loro tane. Quella parte del bosco era relativamente sicura, gli animali da preda si aggiravano lontano dal villaggio, perché lontano dal villaggio stavano le loro prede. Perciò non era particolarmente guardingo, e su questo lo Sconosciuto contava. Lo attese nascosto dal fogliame di un agrifoglio, una pietra aguzza nella mano. Sapeva che Occhi Grigi sarebbe giunto vicino al cespuglio, nel suo vagare in cerca di segni, e così fu.
La pietra si abbatté pesantemente sulla sua nuca, affondando nel cervelletto. Occhi Grigi stramazzò a terra con un grugnito. Leccando il sangue sulla pietra, lo Sconosciuto pensò che l'uomo era troppo pesante perché lo Scuro potesse trasportarlo a lungo, e tanto meno avrebbe potuto sollevarlo oltre l'apertura ricavata sotto il tetto della Casa dei Morti. Scagliò la pietra lontano, poi sollevò il cadavere sulle spalle.
Lo portarono in una zona della foresta dal sottobosco fitto, e lì lo fecero a pezzi. Usando il coltello di selce del cacciatore lo Sconosciuto estrasse il fegato e i reni e lo Scuro li mangiò, lordandosi di sangue. Lo Scuro mangiò fino a saziarsi, poi tagliò via una gamba, con un lento lavoro stancante, quindi fece ritorno alla Casa dei Morti quando già la tenebra era calata.

I cacciatori trovarono il corpo del loro compagno alcuni giorni dopo. Gli animali del bosco ne avevano fatto ulteriore scempio.
-Non lo ha ucciso un animale-, disse Denti, mentre fianco a fianco a Sogni guardavano il cadavere di Occhi Grigi. -E non é morto qui. Abbiamo trovato la sua lancia ieri, distante da qui, più vicino al villaggio.
-Non é stato uno Spirito, Denti-, rispose lo Sciamano. -Io non posso fare niente.
Denti annuì. -C'erano orme di piedi nudi. Forse uno del Popolo delle Caverne. O uno dei Pelosi.
Involontariamente Sogni rabbrividì. I Pelosi erano abomini, né uomo né animale, feroci e maligni. Ma se si trattava di uno del Popolo delle Caverne poteva essere peggio.
-Qualunque sia,- continuò Denti, -é astuto. Non lascia tracce a sufficienza per poterlo seguire. Metteremo delle trappole e lo prenderemo. Gli strapperò il cuore.

Fu così che portarono Occhi Grigi alla Casa dei Morti. Lo Sconosciuto udì Sogni avvicinarsi, per prendere la maschera del Corvo, ed avvisò lo Scuro. Lasciarono la Casa e si nascosero al perimetro del bosco ad osservare lo Sciamano che, visibilmente scosso, usciva dalla Casa inciampando. Si era dimenticato di prendere il Corvo.
Fece ritorno non molto tempo dopo, in compagnia di Denti. Il cacciatore lo seguì riluttante nella Casa, e quando uscì il suo volto era aggrondato. Era visibilmente nervoso, ma fece il giro della Casa e tornò indietro meno impaurito. La sua espressione era dubbiosa, mentre stava ad ascoltare Sogni.
Non può dirgli la verità, rise lo Sconosciuto. Sogni crede che non ci sia nessuno Spirito, crede che un uomo sia l'artefice di tutto, ma non può dirlo a Denti.
-E Denti non gli crede-, aggiunse lo Scuro. -Non del tutto almeno. Ha molti dubbi.
Videro Denti fare un segno secco allo Sciamano, che si zittì e rientrò nella Casa, uscendone con la maschera del Corvo. Poi i due se ne andarono.
Quando la processione funebre giunse alla Casa dei Morti, era Denti che aiutava Sogni a trasportare la barella col cadavere di Occhi Grigi. I due entrarono nella Casa, Denti ne uscì poco dopo, mentre Sogni si tratteneva per le propizziazioni. Poi anche quest'ultimo usci. Ma non se ne andò insieme alla tribù. Lui, Denti e altri quattro cacciatori rimasero alla Casa. Quattro piccoli fuochi di legno di agroverde, un cespuglio il cui legno bruciava lentamente e senza fiamma, furono accesi agli angoli della Casa, e i quattro cacciatori si disposero vicino ad essi a fare la guardia.
Fumo di agroverde contro gli Spiriti, uomini di guardia contro gli uomini.
Lo Scuro e lo Sconosciuto se ne andarono. Non potevano rientrare nella Casa dei Morti.

La primavera giunse improvvisa, come ogni anno, coi venti caldi delle Terre Dove Il Sole é Più Alto. La neve si sciolse e trasformò il terreno in fango, il fiume si disgelò e ingrossò al punto da essere pericoloso. I cacciatori non uscivano più da soli, le donne che si recavano nel bosco a raccogliere erbe e germogli erano sempre accompagnate da almeno due uomini.
Lo Sconosciuto guidò lo Scuro lontano dal villaggio, in una piana in cui i cacciatori non si recavano mai. Era un terra insidiosa, di acquitrini celati dalle erbe alte e di fanghi che potevano risucchiare lentamente un uomo. Ma non c'erano animali da preda, mentre invece c'era acqua e c'erano pesci.
Lo Scuro vi rimase tutta la primavera e parte dell'estate, pescando pesci con le mani e con la lancia, raccogliendo crostacei e molluschi, mangiando erbe, radici e bacche, funghi e frutta. Solo una volta tornò verso il villaggio. Arrivò fino alla radura della Casa dei Morti, vide i corvi che entravano dall'apertura del tetto, si chiese chi fosse morto e tornò indietro.
Mangiando a sazietà il suo corpo crebbe dell'altro, diventando ancor più alto e robusto. Mise su una cintura di grasso intorno ai fianchi e il viso fu coperto da una folta barba.
Un giorno oppresso da una cappa di caldo che rendeva l'aria irrespirabile, in quella piana chiusa dai colli dove le brezze non riuscivano a penetrare, lo Sconosciuto parlò allo Scuro.
Ti serve una femmina.
Lo Scuro ristette, steso sull'erba alta che gli faceva leggermente prudere la schiena nuda. Il suo sguardo si rivolse verso il basso, dove il suo sesso svettava eretto. L'aver portato la sua attenzione sulla questione risvegliò uno strano miscuglio di sensazioni, un rimescolio dei visceri che gli fece pulsare dolorosamente i testicoli.
-E dove la trovo una femmina?
Prendine una della tribù. Una delle giovani é pronta per andare da un uomo.
-Come lo sai?
La maschera rise. Io so molte cose, non chiederti come faccio. Limitati a fidarti.
Fu così che lo Scuro lasciò la terra degli acquitrini per tornare al bosco della tribù. Camminò per tre giorni prima di giungere in prossimità del villaggio. Sospettoso si aggirò per due giorni nella foresta intorno al villaggio e alla Casa dei Morti, prima di avvicinarsi ulteriormente. I cacciatori non erano alle tende, partiti per una battuta di caccia. Tutto sembrava essere tornato alla normalità, dopo molte lune durante le quali non si erano verificati né furti né morti. Non c'erano più guardiani, e le donne si allontanavano da sole in cerca di frutti, bacche ed erbe.
Troveremo la femmina di cui ti ho parlato domani, disse lo Sconosciuto. Possiamo passare la notte nella Casa dei Morti.
Fu così che lo Scuro tornò alla sua vecchia tana. Trovò che era stata ripulita, le ossa, la pelliccia e tutti i segni del suo pernottare rimossi.
Sogni ha bruciato la pelliccia. Ha fatto arrabbiare Denti.
-Aveva ucciso lui quell'orso-, commentò lo Scuro mentre si lasciava cadere nell'angolo dove lo scorso inverno era giaciuto, debole ed affamato, in preda alla febbre e vicino alla morte.
Ora dormi, domani avrai la tua femmina.

Lasciarono la Casa prima dell'alba. Gli uccelli cantavano nella tenebra impigliata fra i rami degli alberi, era il canto del risveglio. Si addentrarono nel bosco, lo Scuro seguendo le indicazione dello Sconosciuto fino ad una radura ben precisa, i cui bordi erano formati da fitti cespugli di lamponi. Lo Scuro si sfamò coi frutti appena appena aspri, quindi, incurante delle piccole spine delle piante di lampone, si stese fra di esse in attesa.
Nel pomeriggio la femmina che stava aspettando arrivò. Lo Scuro si ricordava di lei, una femmina acerba e silenziosa, che parlava sempre a voce bassa. Sì, lo Sconosciuto aveva ragione, era pronta per andare da un uomo. Stette a guardarla mentre coglieva i frutti del lampone, riempiendo una cesta di vimini intrecciati. Attese finché fu abbastanza vicina, quindi la chiamò col saluto della tribù, perché non si spaventasse e scappasse via immediatamente. Lentamente si alzò dal suo giaciglio, la maschera rossa in una mano. La ragazza lo guardò senza capire. Le aveva rivolto il saluto della tribù, ma non lo riconosceva. Non era in grado di collegare il ragazzo magro dalla pelle scura e i capelli neri con questo uomo alto e muscoloso, dalla folta barba nera. Il saluto formale fu sufficiente a permettere allo Scuro di percorrere i primi metri senza che lei fuggisse, senza che la figura di un uomo totalmente nudo che le si avvicinava col sesso eretto e sgocciolante liquido preseminale facesse breccia nel suo stupore. Quando lasciò cadere il cesto coi lamponi e si girò per fuggire era ormai troppo tardi. Lo Scuro coprì l'ultimo metro con un unico balzo e la afferrò per un polso, strattonandola a terra e gettandolesi sopra. Strappò le pelli che la coprivano e la penetrò quasi in un unico movimento. Fu tutto così veloce che la ragazza non riuscì neanche a gridare, prima lasciata senza fiato dall'urto col terreno, poi dal dolore della penetrazione immediatamente seguita da un'abbondante fluido che la riempì.
Lo Scuro giacque su di lei, travolto dall'intensità dell'orgasmo che immediatamente era sopraggiunto penetrandola. Non aveva neanche avuto il tempo di capire cosa stava facendo o accadendo. L'orgasmo lo aveva attraversato in tutto il corpo e lasciato incapace di pensare, senza respiro, disteso sul corpo della ragazza. In meno di un minuto tutto era finito, i due giacevano totalmente immobili uno sull'altra, lui ansimando e lei senza osare fiatare, impaurita e stordita da ciò che era successo.
Fu lei la prima a riprendersi. Con una contorsione ed una spinta ribaltò il corpo inerme dello Scuro e si dette alla fuga. Lo Scuro si rialzò traballando, ancora incapace di realizzare pienamente cosa gli era successo, afferrò la maschera rossa che giaceva nell'erba e si dette all'inseguimento. Ma i suoi passi erano incerti, il suo respiro affannoso e la ragazza andava guadagnando terreno.
Lascia fare a me!
Lo Scuro indossò la maschera ed immediatamente i suoi piedi tornarono sicuri, il suo respiro regolare. In pochi minuti di corsa fra gli alberi ed il sottobosco la distanza fu recuperata, un ultimo balzo e fu sulla sua preda, atterrandola nell'erba e nelle foglie del sottobosco. Il desiderio nuovamente urgeva nei lombi del giovane. Spinse la ragazza sulla schiena, le aprì le cosce a forza e la penetrò nuovamente, questa volta senza lasciare che il piacere lo sopraffacesse. Ma non più colta di sorpresa, sebbene impaurita ed anzi proprio per questo, la ragazza oppose resistenza e lottò cercando di graffiarlo. Non fu difficile, per lo Scuro, afferrandola per i polsi, bloccarle le braccia a terra mentre continuava a penetrarla ritmicamente. Ma a quel punto la ragazza cominciò a gridare, acuti richiami d'aiuto. Le grida spaventarono lo Scuro. I cacciatori!
-Falla stare zitta!- urlò allo Sconosciuto. -Al villaggio sentiranno!
Certo, rispose lo Sconosciuto, una vena di divertimento e derisione nella voce. Lascia fare a me.
Per la testa dello Scuro non passò minimamente l'idea che i cacciatori fossero lontani per la caccia. Le sue mani lasciarono i polsi della ragazza e la strinsero alla gola, con forza. Le grida cessarono, quando l'aria le mancò, e mentre il suo volto si faceva paonazzo, gli occhi le strabuzzavano, lo Scuro, sotto la maschera, sorrise sentendo il piacere montargli dentro. Eiaculò nello stesso momento in cui il corpo della ragazza si contraeva in fremiti, gli ultimi spasmi incontrollati del corpo che moriva.
Si risvegliò sul corpo della ragazza.
Hai avuto la tua femmina, disse la voce nella sua testa. Come ti avevo promesso.
Il giovane si sritrasse dal corpo immobile. La sua mente era vuota. Si alzò e se ne andò.

Sogni aveva paura. Denti e i cacciatori erano lontani e il demonio che aveva terrorizzato la tribù era tornato. Non era uno Spirito, gli Spiriti erano una bugia degli Sciamani. Questo era un pericolo in carne ed ossa, e lui non sapeva come affrontarlo. Le donne avevano trovato il corpo di Sussurri non molto lontano dal villaggio. Era chiaro cosa le fosse successo, con lo sperma che le traboccava sull'interno cosce, gli occhi strabuzzati, il viso congestionato. E sulla gola segni neri dove le mani avevano stretto. Non era stata uccisa né da uno del Popolo delle Caverne, né da uno dei Pelosi. Si trattava di un uomo, qualcuno magari scacciato da un'altra tribù, oppure un cacciatore solitario.
Guardando le donne e i vecchi, Sogni seppe che non avrebbe ricevuto aiuto da loro. Non gli rimase che recarsi da solo alla Casa dei Morti.

Stanno portando la tua femmina nella tua Casa, disse lo Sconosciuto. Potrai averla ancora.
Lo Scuro, la sua mente totalmente nera, priva di pensieri coscienti, rimase ad ascoltare i pianti funebri che si recavano alla Casa dei Morti. Il pomeriggio afoso stava giungendo al termine, il calore stava scemando, e una brezza fresca carezzava i suoi muscoli imperlati di sudore. I pianti smisero che già imbruniva, rimanendo in ascolto poté udire le donne della tribù affrettarsi a ritornare alle tende. A quel punto lasciò il suo nascondiglio ed andò alla Casa dei Morti.
Il corpo della femmina giaceva nel buio. La mente vuota, il fiato corto, lo Scuro si levò la maschera, spogliò il cadavere e si accoppiò nuovamente con la morta.

I giorni trascorsero, caldi ed afosi. Lo Scuro cacciava i corvi che entravano dal tetto per cibarsi del cadavere. Usciva solo di notte, per procacciarsi del cibo, pescando pesci con le mani nel buio. Sogni guardava i corvi che stavano sul tetto della Casa dei Morti ma che non entravano, e sapeva che il demonio era dentro la Casa, ma non ebbe mai il coraggio di fare qualcosa.
Nel calore il cadavere iniziò a decomporsi. Lo Scuro si accoppiò con esso ancora un paio di volte, prima di desistere a causa di liquidi ed umori che presero a fuoriuscirne. Poi il ventre della ragazza morta cominciò a gonfiarsi.
Tuo figlio sta crescendo, disse lo Sconosciuto.
-Mio figlio...- Un concetto nuovo per lo Scuro, qualcosa da rigirare nella sua mente, per guardarlo da differenti angolazioni, dotato di differenti possibilità. Aveva una femmina, presto avrebbe avuto un figlio. Sapeva cacciare, era forte adesso. La tribù lo avrebbe riaccettato. E se Denti avesse parlato contro di lui lo avrebbe ucciso e preso tutte le sue femmine. Anzi, lo avrebbe ucciso in ogni caso, pensò lo Scuro carezzandosi la cicatrice che il morso di Denti gli aveva lasciato sulla spalla destra.
Poi, un giorno, nell'odore nauseabondo che riempiva la Casa dei Morti, il ventre del cadavere esplose. Letteralmente. Il vagito del bambino riempì le orecchie dello Scuro.
Guarda tuo figlio, disse la voce della maschera. Prendilo e portalo alla tribù.
Lo Scuro guardò suo figlio e lo raccolse dal cadavere devastato. Tenendolo nelle braccia, aprì l'accesso della Casa dei Morti e si diresse verso il villaggio, camminando sotto le stelle.

I cacciatori erano tornati. Avevano aceso un grande fuoco, mentre le donne già lavoravano sulle carcasse degli animali uccisi. Sogni stava davanti a Denti, cercando di convincerlo a recarsi immediatamente alla Casa dei Morti. Lo Sciamano cercava di non far capire a Denti quanto fosse spaventato. In quel momento una donna gridò e tutti i membri della tribù balzarono ad afferrare le armi, pronti a fronteggiare il pericolo. Poi videro la figura di un uomo nudo avanzare verso di loro nel buio. con passo lento e sicuro.
Quando entrò nella luce del falò, ogni uomo ed ogni donna si ritrasse, vedendo che il volto era coperto dalla maschera rossa, la maschera cieca, lo Sconosciuto, lo Straniero.
Il Nemico.
-é uno Spirito-, grugnì Denti, cercando di contenere la paura superstiziosa che si era impossessata di lui. Ci riuscì a malapena quando vide la massa di interiora putrefatte che la figura portava come se tenesse una bambino tra le braccia. In molti si ritrassero quando il fetore li raggiunse.
-No!- strillò Sogni con voce acuta. -é un uomo!
Ma non osò dire di più.
La tribù guardò lo Sconosciuto avanzare fino dove la luce del falò illuminava a giorno, cacciando anche le ombre. Fu a quel punto che Denti dette una specie di gemito, lasciò andare l'aria nei suoi polmoni come se fosse stato colpito da un pugno alla bocca dello stomaco.
-Quello é lo Scuro!- mormorò. -Il morso sulla spalla glielo feci io.
Sogni guardò da Denti al nuovo arrivato, dapprima smarrito. Poi, repentina, la compresione giunse. Collegò tutti gli accadimenti: i furti nella tenda comune, le tracce di piccoli piedi, la pelle scura dell'uomo indossante la maschera dello Sconosciuto, la pelliccia rubata ritrovata nella Casa dei Morti. Comprese come lo Scuro, cacciato dalla tenda di Denti, fosse riuscito a sopravvivere all'inverno.

Lo Scuro stette immobile ed eretto in mezzo alla tribù. Vedeva i loro sorrisi, i loro sguardi di approvazione. Distese in avanti le braccia perché tutti potessero vedere suo figlio. Poi il crack del suo stesso cranio che si spaccava riempì le sue orecchie, il fuoco esplose nel suo cervello. Solo per un attimo. E cadde morto faccia in avanti.

Sotto gli sguardi terrorizzati della tribù, e quello ancor più terrorizzato di Denti, Sogni estrasse la sua mazza cerimoniale dalla nuca dello Scuro Il fetore della poltiglia decomposta che questi stringeva al petto quasi lo fece vomitare. Voltò il cadavere con un piede e tolse la maschera dal suo viso. Un sorriso di soddisfazione cattiva sul viso rugoso.
Alzando lo sguardo su Denti, per riceverne l'approvazione deferente che si aspettava, vide che il cacciatore era sempre più sconvolto. Dannato stupido! Ancora convinto che non fosse un uomo ma uno Spirito!
-Era un uomo!- gli urlò sulla faccia, lasciando cadere la mazza ed agitando la maschera cieca. -Era solo un uomo, un ladro. Ed io l'ho ucciso!
-Camminava con la maschera cieca...- balbettò Denti. -Lo Sconosciuto possedeva quel corpo!
Sogni si lasciò andare ad un grido di frustrazione.
-Un uomo! Un uomo!- ripeté più volte, mentre Denti scuoteva la testa.
Infine Sogni afferrò i capelli del cacciatore e gli premette la maschera sul viso, soffocando un gemito di paura sotto il legno colorato.
-Guarda, stupido! Vedi? Ci sono i fori! Puoi vedere attraverso.
E Denti vide.
Quando il respiro del cacciatore si fu regolarizzato, Sogni disse: -Hai capito?- e tolse la maschera. Gli occhi duri di Denti, la rabbia che covava profondamente in essi, rivelarono al vecchio Sciamano il suo errore.
-Ho visto-, disse Denti.
Sogni scosse il capo, provò a balbettare qualcosa, poi un dolore lancinante gli perforò il basso ventre. Abbassando gli occhi vide il coltello di selce di Denti, ancora stretto nel suo pugno, affondato poco sopra l'inguine. Incontrò un'ultima volta gli occhi di Denti, poi questi con un gesto secco mosse il coltello diagonalmente verso l'alto, aprendo il ventre di Sogni come apriva quello degli animali che abbatteva a caccia.
Sogni cadde in ginocchio con un lamento, acuto e strozzato dal dolore. Cercò di trattenere i suoi intestini che fuoriscivano dalla ferita, ma erano troppo viscidi e gli scivolavano fra le dita. In poco tempo la vita lo abbandonò e lui scivolò di fianco, gli occhi sbarrati, la bocca aperta in un gemito silenzioso, le braccia incrociate sul ventre.
Ansimando per la rabbia, il coltello di selce insaguinato nella mano, Denti si chinò a raccogliere la maschera rossa. La strinse e fece per gettarla nel falò.
Aspetta! disse una voce. Getti via così il potere?
Denti si immobilizzò, ristette. Guardò la maschera, spaventato e pensieroso insieme. Quindi sorrise con cattiveria, indossò la maschera rossa ed avanzò al centro della tribù che si era raccolta intorno a lui mentre uccideva Sogni. Allargando le braccia, il coltello insaguinato nella mano sinistra, avanzò in mezzo agli uomini e alle donne lasciando che lo guardassero, che lo temessero.
Capo dei cacciatori, disse ancora la maschera. Sciamano.
Io sono lo Sconosciuto. Io ti parlo!


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