L'origine dei linguaggi indoeuropei viene fatto risalire, secondo una teoria, ad un'invasione di popolazioni provenienti dalle steppe ucraine. Un popolo guerriero capace di soggiogare tutte le popolazioni autoctone già presenti in Europa al punto da sovrascrivere il proprio linguaggio ai loro. Una seconda teoria pone l'arrivo degli indoeuropei in relazione con il diffondersi dell'agricoltura in Europa: un'invasione pacifica, secondo questa teoria, ma ancora capace di cancellare i linguaggi, se non le culture, già presenti.
Negli anni '90 del secolo scorso una nuova teoria è stata presentata da tre linguisti e da tre archeologi, di differenti nazionalità e ognuno lavorando indipendentemente, dichiarando una ininterrotta continuità delle culture e dei linguaggi indoeuropei sin dal paleolitico. In pratica, l'invasione indoeuropea non sarebbe mai avvenuta e i popoli che noi chiamiamo indoeuropei sarebbero in realtà i popoli europei già stabiliti da lungo tempo sul continente all'epoca della presupposta rivoluzione linguistica.
La teoria della continuità neolitica si basa su dati che, al momento, nessuno ha contraddetto:
- l'impossibilità di individuare l'urheimat delle lingue indoeuropee, ovvero la loro area di origine;
- le prove archeologiche di una continuità fin dal paleolitico, attraverso il mesolitico e il neolitico, fino alle ere dei metalli delle culture europee e l'assenza di ogni prova di una avvenuta invasione: non ci sono tracce dell'arrivo dei celti, tantomeno dei germani, segno che tali popoli sono “sempre stati lì”;
- scarsi segni di infiltrazioni di altre culture e, là dove presenti, come in Italia e Grecia dove agricoltori del Medio Oriente sono effettivamente arrivati, il maggior discostamento dei linguaggi dal ceppo indoeuropeo. Segno che le popolazioni infiltratesi sono proprio i gruppi non indoeuropei;
- le prove linguistiche sono tutte contro l'ipotesi di una tarda introduzione dei linguaggi indoeuroepi, mancando quei fattori comuni tipici di una recente differenziazione: le terminologie agricole, per esempio, sono nettamente differenziate nelle varie lingue indoeuropee, segno che tali linguaggi si sono differenziati molto tempo prima dell'introduzione delle tecniche agricole in Europa.
I principali punti a favore della tesi della continuità nell'origine dei popoli e linguaggi indoeuropei sono i seguenti:
- la teoria della continuità è la più logica e quindi, in assenza di prove contrarie, la più plausibile;
- i linguaggi sono comprovatamente molto più antichi di quanto ritenuto dai teorizzatori dell'invasione e della dispersione indoeuropea, ed oltretutto molto più stabili di quanto in passato ritenuto: ovvero la conservazione è la legge di base del linguaggio ed esso non tende a cambiare secondo una “legge biologica”, bensì solo in concomitanza con un forte evento socio-economico di origine esterna;
- i nomi di molte invenzioni neolitiche, quali l'arco e le tecniche agricole, sono differenti nei vari linguaggi, indice che tali linguaggi si erano già differenziati al tempo di tali scoperte;
- i confini archeologici coincidono con i confini linguistici, negando quindi la teoria di una diffusione di tecniche da un'area ad un'altra;
- l'80% dello stock genetico europeo risale al paleolitico, ovvero non ci sono state significative migrazioni di popoli non indoeuropei dopo tale periodo.
Inserite in questo contesto, fatti quali la non discendenza dei toscani dagli etruschi, o l'incidenza nel DNA della popolazione inglese non superiore al 5% da parte dei popoli che dai romani in poi hanno invaso la Bretagna, acquisiscono una valenza nuova, indice di una origine delle popolazioni europee molto più antica di quanto supposto precedentemente.
Per chi fosse interessato a saperne di più sul paradigma della continuità paleolitica e su questa invasione che non è mai avvenuta: http://www.continuitas.org/intro.html.
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