Saturday, 13 January 2018

La storia del venerdì: la crisi dell'Impero Romano



La crisi dell'Impero Romano maturò fra il III e il VII sec. d.C. L'interruzione delle guerre di conquista comportò una riduzione nell'approvvigionamento di manodopera schiavistica, mentre a causa di un raffreddamento del clima i raccolti si ridussero, si diffusero carestie ed epidemie che, a loro volta, innescarono una crisi demografica. Si stima che nell'anno 700 d.C. la popolazione della parte occidentale dell'Impero Romano era ridotta a 27 milioni di abitanti contro i 67 dell'anno 200. Altre stime fissano la cifra a 19/20 milioni. Le città si spopolarono, e così pure alcune aree rurali, con conseguenze sui commerci: quelli a lunga distanza andarono via via scomparendo lasciando il posto ad economie locali che continuarono a basarsi sul latifondo ma puntarono all'autosufficienza. Le disparità sociali aumentarono; le popolazioni barbariche furono lasciate insediarsi entro i confini per recuperare regioni ormai totalmente spopolate.
La crisi economica e demografica coincise col momento di maggior estensione dell'impero, la cui gestione aveva richiesto riforme in campo burocratico e militare, attuate da Diocleziano fra il 293 e il 301 d.C. e poi rafforzate dal successore Costantino. Tali riforme, sebbene necessarie, avevano reso burocrazia ed esercito ipertrofici e dispendiosi, con un conseguente e costante inasprimento del regime fiscale per sovvenzionarli. Riduzione della popolazione, evasione fiscale crescente, perdita al fisco di intere regioni ripopolate di germani condussero al collasso del sistema fiscale e di tutti quei servizi che da esso erano sostenuti: manutenzione viaria, acquedotti, scuole pubbliche, burocrazia, esercito, commercio smisero piano piano di funzionare e la pars Occidentis dell'impero si disgregò.
La politica immigratoria dell'impero fallì definitivamente quando i Visigoti, in fuga dagli Unni e lasciati passare il limes danubiano nel 375, si ribellarono e sconfissero l'esercito imperiale ad Adrianopoli nel 378, dove l'imperatore Valente morì. Da quel momento i confini iniziarono a logorarsi e cedettero definitivamente sul Reno nell'inverno del 406-407.
Le nuove popolazioni, sempre minoritarie rispetto alle popolazioni romane, interagirono in modi differenti con queste: alcune optarono per la sopraffazione (Vandali), altre evitarono ogni commistione (Ostrogoti), altre ancora si integrarono e convertirono al cattolicesimo, che dal 380 era la religione di stato dell'impero. Più veloce fu l'integrazione, più duratura fu la realtà che si creò, come il regno dei Franchi, che re Clodoveo portò dal paganesimo direttamente al cattolicesimo nel 496.
Nel V sec., ormai, l'impero in Occidente esisteva solo come concetto: i regni romano-barbarici riconoscevano l'autorità dell'imperatore solo teoricamente. E nel 476, Odoacre, un generale romano, depose l'ultimo imperatore Romolo Augustolo, creando in Italia un suo dominio personale che cadrà poi sotto la conquista ostrogota entro la fine del secolo. La dealfabetizzazione divenne sostanziale nel laicato e soprattutto fra l'aristocrazia: iniziò l'egemonia ecclesiastica della cultura che perdurerà fino a tutto l'XI sec.

Nella pars Orientis, invece, sostenuto da un'economia più forte, meno colpito dai cambiamenti climatici, l'impero riuscì a respingere le invasioni barbariche e continuerà ad esistere, sebbene sempre più ridotto in dimensioni e fra alterne vicende, fino alla conquista turca di Bisanzio nel 1453.


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