Thursday, 26 September 2013

La casa (parte sesta)

Parte prima           Parte terza       Parte quinta

L'auto era entrata in moto senza difficolta', sebbene dal giovedi' precedente non l'avesse neppure piu' guardata (a questo punto la possibilita' che avesse lasciato i fari accesi si faceva plausibile), e lo aveva portato senza alcun problema fino al villaggio dove aveva fatto la spesa la prima sera. Ed ora era li', fermo a bordo strada, poche decine di metri prima dell'inizio delle case.
Tutto era esattamente come si ricordava. Eccetto che ogni edificio versava in stato di abbandono. Le porte erano sprangate con assi o semplicemente pendevano da un cardine o erano marce e si stavano sfaldando. Le finestre erano per lo piu' occhiaie vuote: chiuse dall'interno con pannelli di legno, molte coi vetri rotti (probabilmente da sassate). Non erano poche le case il cui tetto era collassato o si trovava sul punto di farlo. La strada era stata chiusa da una barriera fatta con tubi per ponteggi edili, ma era stata trascinata da un lato da chissa' chi. Spazzatura, per lo piu' cosi' datata da essere stata scolorita dal sole, imbrattava la strada ed era ammucchiata contro i muri.
Marco aveva la bocca secca. Ed una spiacevole sensazione allo stomaco, una contrazione ed un bruciore, al momento lieve e diffuso che pero', temeva, sarebbe ben presto esploso.
-Non e' possibile... non e' possibile...- mormorava a fior di labbra. Le nocche delle mani si erano sbiancate per la forza con cui stava stringendo il volante nel tentativo di combattere un tremito che gli stava trasformando i muscoli in acqua.
-Devo essere nel posto sbagliato-, disse a se stesso con tono deciso. Ma sapeva che non era cosi'. Piu' che altro lo aveva detto per interrompere la litania dei "non e' possibile" che stava avendo un potere ipnotico. Si sforzo' di inghiottire, cercando di riattivare la salivazione, ed inseri' la marcia.
Percorse la strada a passo d'uomo, evitando i cumuli di spazzatura con un lento zig-zag, osservando gli edifici con sguardo incredulo. Il negozio di alimentari era li', coi suoi due gradini prima della porta abbattuta all'interno e semidistesa a marcire su un mucchio di legno e calcinacci cadutti dal piano superiore. Passo' davanti all'off-licence e all'ufficio postale, o almeno a cio' che ricordava come tali, dato che nessuna insegna rimaneva, anche se i due edifici potevano essere associati per l'aspetto proprio con un off-licence e un ufficio postale. Nella sua mente almeno lui faceva tale associazione.
Mentre proseguiva verso la fine del paese si ricordo' di uno degli incubi avuti la prima notte. Il vento che lo spingeva verso la doppia fila di case... nel sogno le case erano esattamente come le vedeva ora. Esattamente.
Raggiunta e oltrepassata l'ultima fila di case si trovo' in breve alla fine della strada. Un monte di terra alto piu' di due metri era stato scaricato a chiudere la via: la vegetazione cresciutavi sopra, la quale includeva anche un paio di alberelli di almeno una decina d'anni di eta', indicava che il cumulo era li' da lungo tempo. Mentre altri cumuli di macerie ed ogni tipo di spazzatura, dalle bombole del gas ai materassi ai televisori, erano stati sicuramente abbandonati in tempi piu' recenti.
Preso a meta' fra la stizza e la paura, Marco fece manovra per tornare indietro e cio' che vide lo fece gridare. Sbaglio' ad inserire la marcia, l'auto sussulto' e si blocco' e il motore si spense. La spazzatura era scomparsa dalla strada, le case erano in ottimo stato di manutenzione, alcune persone camminavano lungo i marciapiedi o stavano attraversando la via. Occhi sbarrati, una contrazione nelle viscere, Marco rimase a fissare la scena scuotendo la testa.
Matto! Sto diventando matto!
Rimase a fissare il villaggio tornato alla vita, col cuore che batteva all'impazzata, finche' si accorse che le persone in strada si erano fermate e lo stavano fissando. Immobili. Poi altri cominciarono ad uscire dalle case. In principio erano cinque o sei, poi il loro numero prese a crescere rapidamemente, fino ad arrivare ad alcune decine. Affollavano la strada, tutti rivolti, uomini e donne, nella sua direzione. Sebbene Marco non riuscisse a definire chiaramente i loro lineamenti, come se i volti fossero sfocati, era sicuro si trattasse per lo piu' di persone di mezza eta', fra cui c'erano anche alcuni vecchi. Pochi giovani, per lo piu' ragazze; nessun bambino.
Fu come se un mormorio fosse corso fra la folla e tutti, all'unisono, presero a camminare verso di lui. Lentamente, inesorabilmente. Sull'orlo del panico, Marco giro' la chiave e premette sull'acceleratore, l'auto sussulto' in avanti e si spense nuovamente. Con un gemito torno' a girare la chiave, ingolfando il motore. Intanto la folla continuava ad avvicinarsi.
Al quarto, frenetico tentatvo, riusci' a mettere in moto, col motore che tossi' una decina di secondi, battendo in testa e trasmettendo una spiacevole vibrazione sussultoria a tutto il veicolo.
Che faccio? Li investo?
Ma la folla si era fermata. Come il motore aveva preso a girare appropriatamente ogni singolo individuo si era immobilizzato, all'unisono con tutti gli altri. Ora stavano fermi immobili a guardarlo. Marco inseri' la prima e, lavorando di frizione, mise l'auto in movimento, lentamente, verso la folla. E questa gli apri' la strada: senza fretta ma senza esitare le persone si disposero ai lati della strada, in due file irregolari, lasciando poco piu' spazio del minimo necessario per il passaggio dell'auto. Lentamente, spaventato all'idea di passare fra quelle persone ad una velocita' maggiore del passo d'uomo, scivolo' fra uomini e donne che lo guardavano fisso, per richiudersi dietro di lui e seguirlo verso l'uscita dal paese.
E poco dopo fu fuori. Guardo' nello specchietto retrovisore e non vide nessuno. Fermo' bruscamente l'auto e si volto' sul sedile per guardare dal lunotto. Nessuno in strada, gli edifici nuovamente in stato fatiscente, i cumuli di spazzatura sparsi ovunque. Di scatto torno' a sedersi e a guardare avanti, fisso, le braccia tese e rigide, le mani a stringere il volante spasmodicamente. Inseri' la marcia con gesto secco e deciso, facendo grattare il cambio, e parti' con un gran stridere di gomme.

Nel momento stesso in cui fermo' l'auto di fronte casa senti' la paura scemare, e quando l'aria fresca lo investi' nell' aprire lo sportello riusci' nuovamente a respirare regolarmente. Fatti due passi sul ghiaino aveva nuovamente ripreso padronanza di se'.
Che diavolo mi succede? Perche' quel cavolo di allucinazione?
Notando improvvisamente la presenza di un altro veicolo nel piazzale, un furgoncino cabinato, accantono' automaticamente ogni pensiero di Cold Ash e allucinazioni.
I cleaners...
A passo sicuro mosse verso la porta d' ingresso ed entro' in casa. Seguendo i rumori raggiunse la cucina, dove una donna in uniforme nera, stava lavando qualcosa nel lavandino. Il movimento di braccia e spalle faceva ondeggare una coda di cavallo sulla schiena. I pantaloni attillati delineavano le gambe e un fondo schiena degno di ammirazione.
Come diceva quel tipo strano che ho incontrato al Meet-Up? Ah, giusto: le polacche si riconoscono dal culo!
La donna si giro' e Marco fece appena in tempo a distogliere gli occhi dal suo sedere per alzarli al suo viso. Un sorriso comparve sul volto della donna (giovane donna) quando lo vide.
-Hello!- esclamo'. -You should be the new landlord.-
Chiaramente polacca dall'accento. -Ah... yeah, I am-, rispose Marco reprimendo un sorrisetto compiaciuto che l'altra avrebbe ovviamente frainteso.
-Lovely. I'm Paula. Nice to meet you.
-Ni...nice to meet you-, disse Marco facendo un passo verso di lei con la mano tesa, ma fermandosi quando lei sollevo' le mani insaponate.
-Sorry-, disse la donna con un sorriso contrito che non combaciava con i suoi occhi.
-Oh, no problem. It's fine.
La donna annui, quasi soddisfatta, e disse: -Hanna is in the library.
Detto questo volto' le spalle a Marco e torno' a fare cio' in cui era impegnata al momento del suo arrivo. Marco annui' alla sua schiena, dette un ultimo sguardo di apprezzamento e desiderio al suo fondo schiena, quindi si diresse verso lo studio.
Si suppone che io debba sapere chi sia questa Hanna, rimugino' mentre camminava.
-Hello?- chiamo' affacciandosi alla porta e non vedendo nessuno.
-Hello!- rispose una voce femminile (Hanna) ed un attimo dopo una testa si sollevo' da dietro' il sofa'. -Sorry, just a moment.
E la testa si riabbasso'. Marco rimase a guardare il sofa' per un poco, notando ora che era stato allontanato dalla parete, fin quando Hanna, che vestiva la stessa uniforme nera, si rialzo' da dietro di esso con in mano una grossa spazzola e la paletta per la polvere. Hanna era, probabilmente, sulla quarantina, mentre Paula aveva si e no trent'anni, penso' Marco. Era anche lei una donna di bell'aspetto, ma il viso era un po' sciupato. E i fianchi si erano appesantiti.
Mi sa che ormai non tutte le polacche si possono riconoscere dal culo... McDonalds sii maledetto!
-Nice to meet you-, disse Hanna, con il fiato corto per essere stata piegata. -I'm Hanna.
-I'm Marco. Nice to meet you.- Ed allungo' la mano.
-Sorry, my hands are dirty-, disse rapidamente Hanna, sollevando la paletta e la spazzola per mostrarle.
Marco interruppe il gesto e ritrasse la mano al lato della testa, palmo in fuori in gesto di resa, abbassando lo sguardo al pavimento per un attimo, stampandosi un sorriso cortese , sebbene un po' tirato, sulla faccia, quindi tornando a guardare Hanna negli occhi.
-It's fine.
Hanna annui' senza sorridere. -Frank told us you would be here.
Frank?
Hanna dovette notare la sua espressione perplessa, perche' spiego': -The estate agent.
-Ah, sure. Sorry, I know him as Franco-, menti' Marco, che il nome dell' agente non lo aveva mai afferrato. Com'era possibile?
Hanna annui' di nuovo. -Exactly. Frank.
Marco sollevo' le sopracciglia con un sorrisetto. Manco ci provi, eh?
-Frank gave me that envelop for you-, disse Hanna, ed indico' con la testa lo scrittoio, dove una grande busta bianca era stata appoggiata accanto al diario.
-I'm sorry for the diary.
-I don't understand.
-The diary. The rain spoiled it.
-Rain? Was the window open?
-No, of course.- Nella voce della donna c'era una nota oltraggiata. -A pigeon broke a glass during a storm. We found the mess two days later: everything soaked e the dead bird. We replaced the glass, cleaned and tidied up the mess, but the diary was gone.- Ed Hanna si strinse nelle spalle, mentre Marco annuiva.
-I apologize, but I have work to do.
-Sure, sorry-, rispose Marco facendosi da parte.
La donna passo' e, una volta alla porta, si fermo' per dirgli, in tono di rimprovero:-The gardeners work hard. You shouldn't walk in the flower bed.
-Flower bed? Which one?
-That one-, disse Hanna, indicando con la spazzola la finestra vicino al sofa'. E lascio' la stanza.
Un brivido corse lungo tutta la spina dorsale di Marco. Gli ci volle quasi un minuto per riuscire a muoversi, ma alla fine si forzo' ad uscire e raggiungere l'aiuola di cui Hanna parlava. Esattamente sotto la finestra alcune piante di lupino ed hemerocallis erano state calpestate, e l'impronta di una scarpa dalla suola liscia era impressa nella terra marrone.


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