Sunday, 29 September 2013

L'ignavia della banderuola

   L'Italia e', per certi versi, un paese sui generis. Pare non possedere una vera Societa', come gia' diceva Giacomo Leopardi in Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl' Italiani, intesa come "collettività umana storicamente e geograficamente definita, unita da leggi e istituzioni comuni al fine di garantire gli interessi generali e la reciproca coesione" (dizionario online del Corriere della Sera). O forse ne possiede fin troppe, differenti fra loro in fin troppe cose. Ne' tantomeno pare possedere (od aver posseduto) una classe sociale capace di prenderne la guida. La classe nobiliare era frammentata, derivata dalle iniezioni di popolazioni barbariche giunte da ogni punto cardinale con le inestinguibili ondate di invasioni dell' Alto Medio Evo, poi proseguite per tutto il Basso Medio Evo con le invasioni degli stati nazionali formatisi in tutta Europa, chiusi fuori della porta solo al termine della Grande Guerra.  La borghesia italiana ha piu' che altro da sempre dimostrato di essere brava nel mandare avanti qualcun altro, per poi infilarsi fra le maglie e mandare tutto a puttane nella ricerca del piu' meschino tornaconto personale. A rendere le cose piu' difficili, la presenza capillare sul territorio di un clero da sempre infiltrato ad ogni livello, il cui interesse e' l'interesse di uno stato straniero. Il popolo, per necessita' o inerzia o timore, da sempre abituato a volgersi  come una banderuola dove tira il vento.
     Cio' che pare, pero', unire come un filo rosso tutti gli abitanti del Bel Paese, e' un tendenziale rifiuto di metterci la faccia, un tendenziale rifiuto ad impegnarsi e rischiare in prima persona. Con l'aggravante di poi far di tutto per impedire che chi la faccia ce l'ha messa possa aver successo. Un qualsiasi tipo di successo. Meglio aspettare indolentemente il momento propizio per arraffare cio' che si puo' arraffare. Ma per non apparire indolenti, quale tattica e' migliore dell'impedirgli di lavorare? L'italiano non vuol rischiare niente, non si vuole esporre in prima persona, ma neanche vuole che il vicino raccolga i frutti del proprio impegno. 
      Il passaggio dall'indolenza all'invidia e' facile. Prima non si vuol passare da meno del vicino, poco dopo si vuole che il vicino passi da meno di noi. E se prima ci si concentrava sul bloccare ogni iniziativa, poi si finisce col concentrarsi su come danneggiare chiunque cerchi di elevarsi al di sopra del mare immotum della stagnazione italiana. E si finisce con l'essere disposti a far la fame, purche' si possa dire che abbiamo 50 centesimi in piu' del nostro vicino.
     Dalla politica all'economia, dalla religione al sociale, il Paese e' stato portato alla stagnazione dai suoi stessi cittadini. 

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